Proibito: Mario Monicelli

Proibito (1954) è un film strano, a partire dal titolo. Con gli occhi di oggi, chissa cosa ci si immagina, e invece si tratta di un incrocio tra un film western, un documentario sulla società sarda e un fogliettone. Il tutto è tratto da un romanzo di Grazia Deledda e nel film non c'è praticamente nulla del Monicelli che avremmo imparato a conoscere a partire dagli anni 60 e 70. Fino ad allora aveva diretto farse (con Totò) e questo film segna un cambio di genere.

C'è una faida in atto tra due clan (), come per tutte le faide alle origini c'è una vicenda d'amore e per il resto ci sono il prete nativo del posto che cerca di mettere pace nel suo paese, cè una storia d'amore potenziale, c'è un capo clan (Amedeo Nazzari), ci sono tanti paesaggi selvaggi, tanti cavalli e i carabinieri.

Riprendo la trama da Wikipedia che mi pare particolarmente sintetica: Paolo Solinas, giovane parroco, ritorna al suo paese natìo, in Sardegna, dove si trova coinvolto nella faida tra due famiglie rivali: i Barras e i Corraine. Memore dell'amore che l'ha legato anni prima ad Agnese, una delle figlie dei Barras, Paolo tenta di riportare, con la mediazione della ragazza, la pace fra le due famiglie. Il tutto potrebbe finire lietamente, visto il desiderio del capofamiglia dei Corraine, Costantino, di far sposare il proprio nipote con Agnese; tuttavia, nessuno ha messo in conto i sentimenti della giovane che, ancora innamorata di Paolo, rifiuta categoricamente le nozze. La guerra, dunque, ricomincia più violenta di prima. Avendo compreso di provare ancora attrazione verso Agnese e di essere ricambiato, a Paolo non resta che un'alternativa: chiedere di essere trasferito. Sarà Agnese, però, ad andarsene, mentre Costantino il capofamiglia dei Corraine si costituisce alle autorità.

Paolo è Mel Ferrer, troppo alto e troppo poco sardo; Costantino è Amedeo Nazzari (sempre uguale a chi non beve con me, peste lo colga) che si muove bene nelle vesti di capo-bandito a cavallo; Agnese è Lea Massari al suo primo film (bella e imbronciata).

Ne parlo perché, al di là della vicenda in cui si segnala una interessante figura di maresciallo dei carabinieri perennemente lacerato tra le esigenze del dovere e la capacità di comprendere ciò che accade e ciò che sarebbe meglio fare, il film è uno splendido documentario sulla Sardegna (la gente, i paesaggi, i cavalli, il paese, le chiese immerse nel nulla; c'è persino un nuraghe. Mi sono rimaste impresse due scene: la processione al santuario di San Francesco con la gente che sale a piedi o a cavallo e quella in cui Agnese se ne va e prende un trenino da far west in una stazioncina isolata anche lei da far west.


Il mio voto al film: 7

Il mio voto alla fotografia e all'ambientazione: 9