8 e mezzo? No dal quattro al cinque: Federico Fellini
Dopo Le notti di Cabiria mi sono rivisto La Strada, di cui avevo un ricordo tutto giocato su Zampanò e Gelsomina, sulla tromba, sul trucco da clown della Masina, sulla mascolinità di Anthony Quinn. Non ricordavo la trama, non ricordavo l'omicidio del Matto da parte di Zampanò, non ricordavo il finale tragico e commovente. La Strada e Le Notti di Cabiria sono due autentici capolavori perché Fellini ci racconta l'Italia degli anni 50, quella della vita reale, e lo fa in maniera soffice anche quando tratta di cose pesanti; non ha bisogno di grandi mezzi e ha delle cose da dire e delle immagini da trasmettere.
Da la Strada sono passato a 8 e 1/2 (1963) e la delusione è stata cocente. Grandi mezzi, grandi attori, clima da "come me la tiro", poche idee, ma confuse (dicevano i professori di lettere). Persino il titolo è un non titolo: 7 film prima di lui e un episodio in Boccaccio 70.
Chissa se quel che si racconta sulla genesi di questo film corrisponde al film stesso: Fellini a Chianciano, gli investimenti, il film che a un certo punto scompare dalla testa del regista, Angelo Rizzoli giustamente preoccupato.
- Scriveva Wittgenstein che: Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere. Ho letto nelle recensioni a 8 e mezzo richiami al simbolismo, alle inquietudini dell'uomo del 900, paragoni a Joyce, Svevo e Pirandello. Il film è troppo lungo, troppo lezioso nell'indugiare a "tirarsela", troppo pieno di personaggi romani che danno il voltastomaco. Ancora con Wittgenstein: Chi non è certo di nessun dato di fatto, non può neanche esser sicuro del senso delle sue parole.
- Si salvano alcune scene come quella nota sulla Saraghina e sul clima del Collegio o quella sull'harem di Mastroianni
- Ho molto apprezzato le due figure femminili di Anouk Aimée (la moglie) e Rossella Falk (l'amica) mentre, anche a distanza di anni, ho trovato stucchevole il ruolo e la interpretazione dell'amante (Sandra Milo).
Il film finisce con una danza corale da circo in cui Fellini, insieme alla miriade di protagonisti ci vuole mostrare la complessità del suo sè e la complessità del mondo. Mi si dice che questa scena è entrata nella storia del cinema. Mah ?!?
Ho visto La Dolce Vita (1960) dopo 8 e 1/2 e, anche se è stata una esperienza migliore, vi ho trovato, in nuce, i limiti di 8 e mezzo. In quest'ultimo un regista in crisi si balocca con se stesso e il non film nel film consiste nel raccontare la incapacità di fare un film.
La Dolce Vita, per lo meno, racconta una storia, anche se, più che di una storia si tratta di un film ad episodi (forse potevano uscire due film invece di uno, troppo lungo). Quando si parla de La dolce vita, regolarmente ci fanno vedere Anitona Ekberg che fa il bagno nella Fontana di Trevi e chiama a sè il bel Marcello. Nella economia del film si tratta di un elemento decisamente irrilevante rispetto ad altre cose: il mondo di via Veneto, la figura del ricco intellettuale inglese che Marcello ad un certo punto vede come traguardo di una vita e che alla fine si suicida, quello della aristocrazia romana, l'episodio della apparizione della Madonna nella campagna romana con una bagarre che mi ha richiamato la vicenda di Alfredino, il bimbo morto in un pozzo artesiano 20 anni dopo, l'incontro con il papà che arrivato a Roma cerca di rivivere pezzi di giovinezza da tombeur de femmes.
Dentro la Dolce Vita c'è molta Roma con il suo fascino e la sua decadenza, c'è la società italiana in trasformazione, c'è il Fellini alla ricerca di se stesso e che, man mano che abbandona le origini profonde, quelle romagnole, per scegliere il pezzo romano che ha in sè, perde il contatto con il reale. Non a caso, la ripresa avverrà, anni dopo, con Amarcord e con la scelta di ricordare partendo da Rimini (lo stesso ambiente dei vitelloni).
Voto a 8 e mezzo: cinque
Voto a le notti di Cabiria: 9
Voto a La strada: 9
Voto a La dolce vita: 6.5