25 aprile: il piede in due scarpe

Tanti anni fa, diciamo negli anni 70, la manifestazione del 25 aprile di Milano era una cosa grossa e, quando non accadeva che le manifestazioni fossero addirittura due, la polemica all'nerno del corteo era molto secca: resistenza come momento di liberazione nazionale contro resistenza come premessa al socialismo: resistenza tricolore contro resistenza rossa.

I due temi hanno sempre convissuto all'interno del movimento antifascista e, anno dopo anno, risultano sempre più datati e inattuali. Il 25 aprile si è trasformato in "festa degli Italiani" o "festa della democrazia" e Giorgio Napolitano si è dato un bel da fare per arrivare al risultato.

Eppure tutti gli anni i nostalgici delle battaglie di principio si danno il loro da fare per introdurre elementi di rottura.

Ricordiamo il passato: Berlusconi che dichiara che lui il 25 aprile non lo celebra, la Moratti (Sindaco di MIlano) che viene fischiata perché "osa presentarsi".

Ricordiamo il presente: l'ANPI di Roma che dichiara non gradita la presenza di Renata Polverini (presidente della Regone) e di Roberto Alemanno (Sindaco). Solo Zingaretti (presidente PD della Provincia) sarebbe stato gradito. Per fortuna i tre si sono comportati da gentiluomini e hanno evitato azioni provocatorie scegliendo di restarsene a casa.

Alemanno ha un passato neo fascista militante. E allora? Si giudichino le cose dell'oggi e il ruolo istituzionale. Qualcuno si ricorda  che una parte significativa del gruppo dirigente del PCI (quella che non stava in esilio in Francia o in Russia) arrivò all'antifascismo passando dai littoriali della cultura?

Bisognerebbe che l'ANPI si decidesse: cosa vogliamo fare del 25 aprile? Se ne facciamo una festa della democrazia i rappresentanti delle istituzioni democratiche non solo devono esserci, ma è inammissibile che vengano discriminati in base alle appartenenze politiche.

Quello che è accaduto a Roma è grave e sarebbe opportuno che, con le dovute cautele legate al ruolo, anche il Presidente della Repubblica lo dicesse. Dal 1945 sono trascorsi 67 anni e sono ormai pochi i rappresentanti viventi della Resistenza.

Io riesco a capire che un Presidente come Arrigo Boldrini (il comandante Bulow) provasse un po' di disagio nel trasfomare il 25 aprile in festa di tutti gli Italiani. Erano altri tempi; i lutti e le efferatezze erano ancora vicine e le manifestazioni erano all'insegna della'ccosamento del rosso con il tricolore. Gli oratori ufficiali erano sempre un comunista, un socialista e un democristiano (purché partigiano).

La guerra civile è stata un brutta bestia, ma è ora di fare un passo in avanti. Non dimenticare chi aveva ragione e chi aveva torto, ma farlo guardando in avanti.

Guardate queste immagini di Milano con il Presidente della provincia Podestà, circondato da guardie del corpo (che facce !) mentre dei manifestanti espongono cartelli di censura nei suoi confronti. Si tratta di cartelli stampati, non di frutti della creatività personale. Non c'è più Berlusconi, e allora prendiamocela con Podestà, perché l'importante è avere un nemico.

Ieri sera al TGR della Toscana ho sentito che mentre il Sindaco Renzi ha fatto una iniziativa istituzionale di tipo unitario, la delegazione del PDL è andata al cimitero militare alleato; evidentemente per marcare, anche dall'altra parte, la polemichina (basta con i partigiani e con la favola della liberazione; siamo liberi grazie agli americani).

Dalla cultura e dallo stile di Beppe Grillo mi separano anni luce, ma trovo che quelli (a destra come a sinistra) che si comportano in questo modo meritino di essere definiti "salme"; io li defnirei "pesci in barile".

Fatemi capire: alla manifestazione di tutti non va bene la Presidente della Regione ma va invece bene la segretaria generale della CGIL in veste di oratore ufficiale?

Non ci siamo. E infatti il dibattito è diventato: il 25 aprile i supermercati possono stare aperti o vanno chiusi?