non mi passerà facilmente, perché la scuola è la mia vita

Dunque Berlusconi ci ha offesi nuovamente. Gli riesce comodo sostenere che la scuola statale italiana sia piena di sordidi personaggi che passano la giornata ad indottrinare i giovani.

Dottrina, inculcare, tutti termini che non mi appartengono e che non mi appartenevano nemmeno quando (tanti anni fa) dedicavo una parte consistente del mio tempo alla attività politica. Nel mio DNA c'è da quasi 50 anni la passione per il gioco della scienza in tutti i suoi aspetti: la sfida dell'intelligenza, il senso critico, la voglia di capire attraverso il contraddittorio, la complessità, l'approfondimento dei concetti, la costruzione delle teorie tra volontà di creare e bisogno di capire il mondo.

Oggi abbiamo terminato regolarmente il Collegio dedicato all'approfondimento delle tematiche del limite delle assenze e ai problemi di organizzazione efficace degli scrutini di fine anno, Dopo il termine del Collegio (osservi Berlusconi questa finezza istituzionale di persone che hanno il senso dello stato e conoscono la differenza tra la scuola e casa propria) ci siamo fermati a ragionare degli insulti ricevuti in questi giorni, a farci una domanda semplice: ma perché gli Italiani apprezzano la nostra scuola, perché si fidano di questo sistema di istruzione e poi accettano che il Presidente del Consiglio insulti chi ogni giorno si fa carico della crescita dei loro figli?

Io faccio anche un'altra domanda e la faccio al ministro Gelmini? Perché permette che il capo del governo ci insulti e non muove un dito?

Se Berlusconi ha ragione, cioè se i docenti invece di lavorare nella applicazione del riordino che lei ha fortemente voluto perdono tempo o fanno indottrinamento, se i docenti invece di tentare di realizzare gli obiettivi di cittadinanza che l'Italia e l'Europa ci hanno indicato sono lassisti, tolleranti, egualitaristi, perché il ministro non interviene con gli strumenti amministrativi di cui dispone e non prende provvedimenti verso questa massa di funzionari dello stato che tradiscono lo stato?

Se invece Berlusconi ha torto perché il ministro permette che quei docenti bravi e seri di cui ha riconosciuto più volte il valore vengano svillaneggiati e additati al pubblico ludibrio da un personaggio che non riesce a controllare i suoi istinti decadenti e racconta barzellette sozze persino quando sta per appellarsi alla morale?

E' triste prendere atto che la scuola non faccia notizia quanto la magistratura. Se Berlusconi offende i magistrati si scatena il can can sulla stampa ed interviene (giustamente) Napolitano. Se Berlusconi offende la scuola, l'istituzione scuola, accade poco o nulla e al più si intervista qualche studente di sinistra in procinto di manifestare.

Servirebbe lo sciopero alla rovescia, lavorare di più e meglio ma farlo esplicitando protesta e disgusto: un segno di lutto al braccio, la richiesta alle famiglie di prendere la parola.

Non ho mai assunto atteggiamenti precostituiti nei confronti di questo governo e di questo ministro; cerco di trasmettere ai miei collaboratori l'importanza di stare a scuola con passione, l'importanza di promuovere il merito, l'importanza di educare alla legalità ed al rispetto delle regole, l'importanza di rilanciare l'istruzione tecnica, la necessità di avere un rapporto proficuo con il territorio e con il mondo delle imprese.

Quando la Gelmini si insediò dichiarò che avrebbe preso a cuore la condizione dei docenti. Bene: prenderne le difese di fronte ad attacchi volgari, fa bene alla scuola e non costa niente. Noi aspettiamo fiduciosi.

Stasera ha preso la parola anche Stefania Craxi per ricordargli con affetto e un po' di sofferenza che bisogna uscire di scena con dignità e senza lasciarsi andare alle pulsioni peggiori.


Stasera cercavo il testo di un famoso scritto di Einstein (1936) sulla Educazione e mi ha fatto piacere trovarlo sul sito della scuola steineriana di Milano dove Veronica Lario ha fatto studiare nei primi anni di vita i figli di Berlusconi. Chissa se lui ha mai letto queste cose:

A volte si vede nella scuola semplicemente lo strumento per tramandare una certa quantità massima di conoscenza alla generazione che sta formandosi. Ma questo non è esatto. La conoscenza è cosa morta; la scuola, invece, serve a vivere. Essa dovrebbe sviluppare nei giovani quelle qualità e quelle capacità che rappresentano un valore per il benessere della comunità. Ma ciò non significa che l’individualità debba essere distrutta e che l’individuo debba diventare un semplice strumento della comunità, come un’ape o una formica. Una comunità di individui tutti eguali, senza originalità e senza mete personali sarebbe una povera comunità senza possibilità di sviluppo. Al contrario, l’obiettivo deve essere l’educazione di individui che agiscono e pensino indipendentemente, i quali, tuttavia, vedano nel servizio della comunità il loro più alto problema di vita.

Si dovrà forse tentare di raggiungere questa meta attraverso il moralismo? No, affatto. Le parole sono e restano un suono vacuo, e la strada della perdizione è sempre stata caratterizzata dal rispetto non sentito per un ideale. Le personalità non vengono formate da ciò che sentono o vedono, ma dal lavoro e dall’attività.

Il più importante metodo di educazione, di conseguenza, è sempre stato quello dal quale l’allievo veniva spinto ad agire realmente. Ciò vale sia per i primi tentativi di scrivere del bambino, nelle scuole elementari, sia per la tesi di dottorato, dopo la laurea universitaria, sia per il semplice processo di mandare a memoria una poesia, sia per la stesura di una composizione, per l’interpretazione e la traduzione di un testo, per la risoluzione di un problema matematico o la pratica di uno sport fisico.

Ma dietro ogni conquista esiste la motivazione che ne è il fondamento e che a sua volta è rafforzata e rinvigorita dal compimento dell’impresa. Qui possono manifestarsi (il che è della massima importanza per il valore educativo della scuola) le più diverse condizioni. Lo stesso lavoro può essere motivato dalla paura e dalla costrizione, dal desiderio ambizioso di autorità o di distinzione, oppure da un amorevole interesse per l’oggetto e dal desiderio di verità e di comprensione, e così pure da quella divina curiosità che ogni bambino sano possiede, ma che tanto spesso viene precocemente soffocata. L’influenza educativa esercitata sull’allievo da uno stesso lavoro può essere estremamente varia, in dipendenza dall’esservi all’origine di tale lavoro la paura di un’offesa, la passione egoistica oppure il desiderio di piacere e di soddisfazione. Così pure nessuno sosterrà che la direzione della scuola e l’atteggiamento degli insegnati non abbia una influenza sulla formazione delle basi psicologiche degli allievi.

A me la cosa peggiore in una scuola sembra l’uso di metodi basati sulla paura, sulla forza e sull’autorità artificiosa. Un tale trattamento distrugge i sentimenti sani, la sincerità e la fiducia in sé stesso dell’allievo. Produce dei soggetti sottomessi. Non c’è da meravigliarsi che tali scuole siano la regola in Germania e in Russia. So che le scuole di questo paese non sono colpite da questo gravissimo male; ciò è vero anche in Svizzera e probabilmente in tutti i paesi governati democraticamente. E’ relativamente semplice tenere la scuola lontana da questo gravissimo male. Date all’insegnate il minore numero possibile di mezzi coercitivi, così che l’unica fonte di rispetto da parte dell’allievo sia costituita dalle qualità umane e intellettuali dell’insegnate stesso.

Il secondo motivo che abbiamo nominato, l’ambizione o, in termini più blandi, l’aspirazione al riconoscimento e alla considerazione, è fortemente radicato nella natura umana. Senza la presenza di uno stimolo mentale in questo tipo, la collaborazione umana sarebbe interamente impossibile; il desiderio di approvazione da parte dei propri simili è certamente uno dei legami più importanti della società. In questo complesso di sentimenti, le forze costruttive e distruttive sono legate tra loro molto strettamente. Il desiderio di essere approvati e stimati è un motivo sano; ma il desiderio di essere stimati migliori, più forti o più intelligenti del proprio collega o del proprio compagno conduce facilmente a un adattamento psicologico eccessivamente egoistico, che può diventare dannoso per l’individuo e per la comunità.

Perciò la scuola e l’insegnante devono guardarsi dall’impiegare la facile soluzione consistente nel provocare l’ambizione individuale, al fine di indurre gli allievi a un lavoro diligente.

La teoria di Darwin della lotta per l’esistenza e il principio della selezione che le è connesso sono stati citati da molti come un’autorizzazione ad incoraggiare lo spirito di competizione. Certuni in questo modo hanno anche tentato di dare una dimostrazione pseudoscientifica della necessità della lotta economica distruttrice nella competizione fra gli individui. Ma ciò è sbagliato, perché l’uomo deve la propria forza nella lotta per l’esistenza al fatto che è un animale sociale. Come poco essenziale alla sopravvivenza di un formicaio è una battaglia fra le singole formiche, così poco essenziale è in questo caso la lotta fra i singoli membri di una comunità.

Perciò ci si dovrebbe guardare dal predicare ai giovani il successo, inteso nel senso comune, come uno scopo della vita. Infatti un uomo di successo è quello che riceve una grande quantità di cose dai suoi simili, in genere incomparabilmente più di quanto corrisponda al servizio da lui prestato. Il valore di un uomo, tuttavia, dovrebbe essere posto in ciò che egli dà e non in ciò che egli può ricevere.

La motivazione più importante per il lavoro, nella scuola e nella vita, è il piacere del lavoro, piacere che si prova di fronte al suo risultato e alla consapevolezza del suo valore per la comunità. Nel risveglio e nel rafforzamento di queste forze psicologiche nel giovane io vedo il compito più importante della scuola. Un tale fondamento psicologico da solo conduce a un sereno desiderio delle più alte conquiste umane: la conoscenza e la capacità artistica.

Risvegliare queste capacità psicologiche produttive è certamente meno facile che usare la forza o risvegliare l’ambizione individuale, ma ha più valore. Il punto importante è sviluppare l’inclinazione infantile per il giuoco e il desiderio infantile di stima e guidare il fanciullo nei campi che sono fondamentali per la società; è questa l’educazione sostanzialmente fondata sul desiderio di un’ attività di successo e sul riconoscimento. Se la scuola riesce a operare con successo su queste vie, sarà altamente apprezzata dalla generazione che sorge e i compiti assegnati dalla scuola verranno accolti come una specie di premio. Ho conosciuto dei bambini che preferivano la scuola alle vacanze.

Una tale scuola esige che l’insegnante sia una specie di artista nel suo campo. Che cosa si può fare perché un tale spirito si diffonda nella scuola? Non vi è un rimedio universale come non ce n’è uno per l’individuo affinché resti sempre in salute. Vi sono però certe condizioni necessarie che si possono realizzare. In primo luogo, gli insegnati dovrebbero essere educati in tali scuole. In secondo luogo, l’insegnate dovrebbero ricevere un’ampia libertà nella scelta del materiale da insegnare e dei metodi di insegnamento da impiegare. Infatti è vero anche per lui che il piacere di organizzare il proprio lavoro è ucciso dalle violenze e dalle pressioni esterne.

Se avete seguito attentamente le mie riflessioni fino a questo punto, vi meraviglierete probabilmente di una cosa. Ho parlato ampiamente dello spirito nel quale, secondo me, la gioventù dovrebbe essere educata. Ma non ho ancora detto nulla sulla scelta degli argomenti di insegnamento, né sul metodo di insegnamento. Dovrebbe predominare la letteratura o l’educazione tecnica e scientifica?

Risponderò così: secondo me tutto ciò è di secondaria importanza. Se un giovane ha allenato i propri muscoli e la propria resistenza fisica con la ginnastica e con le passeggiate, egli sarà adatto più tardi a ogni lavoro fisico. Ciò è anche vero per l’allenamento della mente e per l’esercizio dell’abilità mentale e manuale. Così, non sbagliò quella persona spiritosa che definì l’educazione con queste parole: “ L’educazione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato quanto si è imparato a scuola”. Per questo motivo non sono affatto ansioso di prendere posizione nella lotta fra i seguaci dell’educazione classica, filologica e storica e quelli dell’educazione più attenta alle scienze naturali.

D’altra parte intendo respingere l’idea che la scuola debba insegnare direttamente quelle conoscenze specializzate e quelle cognizioni che si dovranno usare poi direttamente nella vita. Le esigenze della vita sono troppo molteplici perché appaia possibile un tale insegnamento specializzato nella scuola. A parte ciò, mi sembra poi discutibile trattare gli individui come degli strumenti senza vita. La scuola dovrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniose, non ridotti a specialisti. Questo, secondo me, è vero in certa misura anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno a una ben determinata professione. Lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e giudicare indipendentemente, dovrebbe sempre essere al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate.