Scurati e prete Liprando
I peggiori nemici di Giorgia Meloni sono i suoi collaboratori. Dovrebbero fare i lavapiatti nel retro di un ristorante dozzinale e invece li hanno messi in posti apicali ovunque ci sia la possibilità di agire contro la “egemonia” della sinistra. In questo caso non ci si è messo quello di Capodanno con la pistola ma un altro pistola che fa il dirigente alla RAI.
Quando oggi ho visto il post di Serena Bortone che dichiarava il suo stupore per l’annullamento del contratto di Scurati alla sua trasmissione dove avrebbe dovuto fare un monologo su Giacomo Matteotti e il significato del 25 aprile mi sono detto, ma perché Scurati, a fronte dell’annullamento del contratto, non ha dichiarato che sarebbe venuto lo stesso, gratuitamente, come fece il prete Liprando nella bellissima canzone di Jannacci?
Prete Liprando, ben visto dai poveri Cristi, andò dall’arcivescovo Agiosolano, in Sant’Ambrogio: “Sei ladro e simoniaco, – gli disse – venduto all’Imperatore, quel porco..” “Cus’ee?!? – disse l’Arcivescovo infuriato – Come ti permetti, prete? Sono ex-combattente; ho fatto la prima crociata, e anche la terza! (…la seconda no, perchè ero malato…) Prete Liprando rispose: “Lo so, più d’una città hai conquistata; lo so, più d’una città tu hai insanguinata; e adesso, Milano tu vuoi, incatenata, vederla prostrata!” “Liprando, a ‘sto punto esigo il Giudizio di Dio: dovrai camminare sui carboni (s’intende, ardenti!); le fascine di legna, quaranta (“Quaranta?”) s’intende, le pago io. Se tu non uscirai per niente arrostito, io me ne andrò dalla città solo e umiliato, e per giunta, appiedato! “Prete Liprando, domani, al calar del sole affronterà il Giudizio di Dio in Piazza Sant’Ambrogio!” Quaranta fascine furono ammucchiate in una catasta; la gente veniva fin da Venegòno e da Biandrate: “Indietro, su, non spingete, per Diana! C’è il fuoco, non lo vedete? ” “Ma io non vedo niente; non vedo un’accidente! Son venuto da Como per niente!” “Tornate tutti a casa! Non se ne fa più niente! Il Papa, da Romas l’ha proibito: lo spettacolo è finito!” “Ed io lo faccio lo stesso! – disse prete Liprando – ma le fascine, quaranta!- io non ce le ho!…” …La gente portava le fascine fin da Biandrate; facevano un sacco di fumo: la gente tossiva, tossiva e piangeva, ma non si muoveva! Che popolo pio! Voleva vedere il Giudizio di Dio!“E io lo faccio lo stesso disse il prete Liprando, ma le quaranta fascine io non ce le ho…” A Scurati non mancavano di sicuro le 40 fascine per mettere il portaborse di Giorgia Meloni in difficoltà presentandosi gratis alla Rai.
Tutto ciò l’avevo pensato prima che scoppiasse il casino (a colpi di 1500, no 1800 € per 1 minuto di monologo) da cui Giorgia Meloni ha tentato di sciogliersi pubblicando lei il discorso di Scurati, ma ormai i suoi leccapiedi l’avevano fatta grossa.
Pensate che bello “racconti che io volevo 1800, tu proponevi 1500 e a me non stava bene? Sai cosa ti dico … ci vengo gratis“. E io lo faccio lo stesso disse il prete Liutprando. Credendo di farle un piacere le hanno creato un casino, ma il finale alla prete Liutprando mi sarebbe piaciuto di più. Questo è il testo integrale del monologo con il finalino che ha fatto schiacciare una palla al dirigente RAI mentre si sedeva dopo aver letto il monologo rigorosamente in piedi.
Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.