donne e pubblica amministrazione
Dopo l’elezione a rettore (rettrice mi pare brutto) della Università statale di Milano di una docente di letteratura tedesca (Marina Brambilla) che si aggiunge a quella della Bicocca (Giovanna Iannantuoni economista) e del Politecnico (Donatella Sciuto – ingegnere) si è aperta a livello giornalistico la solita discussione sugli incarichi dirigenziali. A Milano solo la Bocconi (Francesco Billari – demografo) e lo IULM (Gianni Canova ordinario di Storia del Cinema e amico di vecchia data) hanno un rettore maschio.
A Firenze c’è una donna, a Bologna un uomo, a Siena due uomini (e uno di questi lo vediamo sempre in TV), in Puglia 5 uomini, in Piemonte 4 uomini, in Veneto due uomini e due donne.
Con la elezione di Brambilla il quadro milanese ha fatto notizia perché si tratta della prima donna alla statale di via Festa del Perdono e perchè dei 99 rettori delle università italiane nel 2022 solo 12 erano donne
Il mondo della scuola presenta notevoli stranezze, la presenza delle donne è molto alta negli asili nido e nelle materne (dove sfiora la quasi totalità 99%), è ancora altamente prevalente nelle scuole primaria (96%). Nella secondaria di primo grado, le donne rappresentano il 78% dei docenti, e nella secondaria di secondo grado, la percentuale scende al 67% pur rimanendo maggioritaria.
A livello dirigenziale sino ai primi anni 2000 si aveva una predominanza maschile in rapporto di 2 a 1 ma, dopo la istituzione dei Dirigenti Scolastici (il primo concorso si è concluso nel 2007), il quadro si è invertito e ora le donne dirigenti rappresentano l’80% del totale (si veda il quadro con la situazione a livello regionale nella tabella qui a fianco) al punto che nel prossimo concorso sono state introdotte una sorta di quote blù che riguardano però solo la precedenza a parità di punteggio e dunque avranno tutto sommato una incidenza scarsa.
Le regioni coinvolte, dove il gap è superiore al 30% sono Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto.
Il gap dirigenziale altro non è che il riflesso della differenza di genere a favore delle donne presente nell’insegnamento ma, rispetto ad esso, occorre prestare attenzione su un punto: mentre la stragrande predominanza femminile ha a che fare con le comodità di orario connesse all’insegnamento per cui molto spesso l’insegnamento diventa un lavoro accessorio rispetto alla cura in famiglia, non si può dire la stessa cosa per il lavoro di DS che, formalmente non ha orario, ma che richiede invece un impegno e una presenza tra le 40 e le 60 ore settimanali. L’incidenza femminile rappresenta dunque, in questo caso, una vera affermazione dell’universo femminile rispetto a quella maschile.
Il gap a favore dei maschi è ancora presente nelle università e non si presentano segni di evoluzione tra il 2012 e il 2022 come si evince dalla tabella preparata dall’ANVUR per la conferenza dei rettori e ripresa dal Corriere. E’ come se, per una inspiegabile ragione, le donne non riuscissero ad emergere in ambito accademico; sono in maggioranza tra i laureati, vengono scavalcate debolmente tra i dottori di ricerca e i ricercatori e poi crollano tra gli associati e gli ordinari.
Accade il contrario con la magistratura dove il peso delle donne è andato via via crescendo come si vede dal diagramma con la serie storica di una professione storicamente riservata ai maschi ancora nel dopoguerra e che si è aperta alle donne solo negli anni 60.
Intorno agli 90 è avvenuta il raggiungimento della parità e con gli anni 2000 le donne hanno iniziato a volare alto superando gli uomini in un rapporto 60/40. La tabella dei magistrati attualmente in servizio con la visione analitica di quelli in ruolo, in tirocinio e fuori ruolo mostra bene la perdita di peso del genere blu (i maschi sono in maggioranza tra gli anziani).
Lo stesso fenomeno riguarda la avvocatura, F 47,7% degli iscritti all’albo degli avvocati, contro il 52,3% degli uomini mentre negli anni 90 le donne erano al 20%. Ma la iscrizione all’ordine non rispecchia alcuni elementi di diversità sostanziale che permangono, in genere legati al fatto che in Italia la donna madre deve sempre fare i conti con problemi che non riguardano, per ragioni di costume, gli uomini.
Rimane così un gap nei vertici degli studi legali, nel reddito, nel volume di affari (63.478 euro contro i 182.430 della media maschile). C’è poi da segnalare una sottile distinzione che determina modi diversi di vivere la professione e che rinvia alle differenze anche neurologiche tra maschile e femminile nel modo di gestire le differenze tra i due emisferi con conseguenze pratiche nel modo di vivere la professione.
Ci rimane da esaminare la sanità pubblica dove la presenza femminile è dominante in cifra assoluta 625’000 pari al 70%) ma ai vertici degli ospedali le donne sono il 25%
Le donne medico sono il 52% (percentuali più alte tra i recenti assunti) e nel personale infermieristico siamo al 76%. Per quanto riguarda le specializzazioni dell’area medica le donne sono al 36% in chirurgia, al 42,3% in medicina generale, al 70% tra i pediatri di libera scelta. Con riferimento alle scuole di specializzazione (dati 2021), le donne sono presenti con varie percentuali in tutte le specializzazioni. Solo in 5 specialità sono al di sotto del 20% (medicina dello sport, cardiochirurgia, ortopedia, chirurgia maxillo-facciale e urologia). Le specializzazioni più scelte dalle donne sono: neuropsichiatria infantile (75,9%), pediatria (71,0%), oncologia medica (62,0%), medicina fisica e riabilitazione (60,6%), genetica medica (60,2%), medicina di comunità e delle cure primarie (58,4%) anatomia patologica (57,8%), ematologia (57,8%), ginecologia ed ostetricia (56,8%).
La percentuale di dirigenti medici donna (che comprendono tutti i medici strutturati) è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, passando dal 38,4% del 2010 al 53,5% del 2024 con una prevalenza del genere femminile nelle classi di età under 45. Quando si parla si carriera, invece, i numeri scendono. Tra i direttori di struttura complessa (i primari), solo il 17,2% è di sesso femminile (vs 82.8% maschi), percentuale che sale al 34,7% (vs 63.3% maschi) per le struttura semplici.