quando il motore va in fuga
Dobbiamo andare indietro nel tempo alla primavera del 65, quasi sessantanni fa. Facevo la quinta elettrotecnica all’Hensemberger, la scuola in cui, molti anni dopo ho fatto il dirigente scolastico.
Le ore di laboratorio erano una cosa seria e, se non ricordo male, facevamo 8 ore la settimana di misure elettriche (due pomeriggi di 4 ore). L’elettrotecnica la studiavamo proprio bene con il mitico ingegner Bellini (che vedete nell’ultima fotografia insieme alla intera classe in visita alla Ercole Marelli di Sesto S. Giovanni che produceva grandi macchine elettriche e che ha costruito anche i grandi trasformatori della centrale di Bargi). A misure avevamo un ITP capace che si chiamava Arosio e un docente teorico non altrettanto valido, ma tanto ai difetti di insegnamento sopperiva l’Olivieri Ravelli (che aveva un intero volume, dei tre, dedicato alle misure, oltre a elettrotecnica generale e macchine elettriche).
Studiate le macchine elettriche, in quinta si facevano misure sulle macchine: funzionamento a vuoto e a carico, macchine in c.c. e in c.a., sistemi trifase su motori, dinamo, alternatori, trasformatori.
Il laboratorio dell’Hensemberger, fatto a rettangolo, era bellissimo con tanti banchi per le misure comandati da una consolle. Alcuni banchi avevano accesso alle macchine che erano sul lato lungo opposto agli ingressi, quello con i finestroni lungo via Cavallotti.
Si trattava di gruppi di due macchine che potevano comunicare elettricamente attraverso la rete sui nostri banchi: motori asincroni con freno per simulare un carico, dinamo, motore a corrente continua meccanicamente collegato ad un alternatore e proprio di questo vi voglio raccontare.
L’esperienza madre di tutte le misure è quella di simulare cio che accade nelle centrali: il funzionamento di un alternatore che viene collegato alla rete di distribuzione della energia elettrica. Nel fare questa operazione bisogna che l’alternatore giri alla velocità angolare giusta perché tutte le reti di distribuzione funzionano in corrente alternata a 50 Hertz (cioè la corrente, 50 volte al secondo, segue una sinusoide completa) e anche il tuo alternatore prima di essere connesso deve andare a 50 hertz. Se si tratta di una macchina a due poli dovrà fare 3000 giri al minuto, a 4 poli 1500, a 8 poli 750 e così via.
Per conoscere quando è il momento giusto per collegare l’alternatore alla rete non c’era bisogno di sofisticati frequenzimetri, ma si usava un geniale metodo che sfruttava un sistema di 3 lampadine (con un polo collegato all’alternatore e l’altro alla rete) che si accendevano a turno ruotando e ti dicevano se l’alternatore andava troppo svelto o troppo lento mentre smettavano di ruotare quando si arrivava al sincronismo.
Dunque si procedeva in questo modo:
- si faceva partire un motore asincrono trifase, di quelli che si usano in tutte le applicazioni industriali in tutto il mondo perché sono robusti, indistruttibili e facili da costruire (questo e anche altro che viene dopo) sono tutte cose inventate da fisici e ingegneri italiani tra fine 800 e inizio 900. Il motore asincrono era collegato meccanicamente ad una dinamo. La dinamo produce corrente continua e si può regolarne la tensione di uscita agendo sul circuito di comando del campo magnetico (cosa che facevamo dai banchi).
- La corrente continua prodotta dalla dinamo la usavamo per comandare un motore a corrente continua che ha la possibilità di regolare facilmente la velocitàsia agendo sulla tensione di alimentazione sia sul campo magnetico del rotore. Il motore era collegato meccanicamente ad un alternatore. Variando la tensione di alimentazione del motore si può far variare la sua velocità di rotazione che risulta essere proporzionale a tale tensione e inversamente proporzionale al flusso del campo magnetico a sua volta determinato dalla corrente che mandiamo nelle bobine dei poli del motore. Questo è un punto cruciale, se in un motore a c.c,. per una ragione qualsiasi, viene a mancare il campo magnetrico la velocità di rotazione tende a infinito (si dice che il motore va in fuga). Si variava la tensione della dinamo che faceva cambiare la velocità di rotazione del motore e dunque l’alternatore incominciava a produrre energia elettrica trifase con una frequenza dipendente dalla velocità di rotazione. Il valore di tensione prodotta dipende oltre che dalla velocità anche dal campo magnetico dell’alternatore ed agendo su quello controllavamo la tensione in uscita.
- quando la frequenza (lampadine) e la tensione erano quelle giuste abbassavamo gli interruttori e ci collegavamo alla rete e, spegnendo la alimentazione del motore a c.c., l’alternatore diventava un motore sincrono con velocità assolutamente fissata dalla frequenza della rete e il motore a c.c. diventava una dinamo.
Nella realtà delle centrali c’è l’alternatore ma, al posto del motore a c.c. c’è la turbina anche se lo schema concettuale del processo è lo stesso. Tutto bello. I comandi li davamo dai nostri banchi che erano collegati tra loro e agli strumenti di misura atraverso quei cavi con connettore a banana che si trovano in tutti i laboratori. Eravamo felici di avercela fatta ma uno di noi, non ricordo chi, invece di staccare la alimentazione del motore a c.c. ha staccato la alimentazione del campo magnetico del motore stesso.
Questione di un attimo: il motore ha cercato di andare in fuga ma l’alternatore ormai connesso alla rete non poteva andare a una velocità superiore e gli impediva di farlo. Dunque trovando qualcosa che lo frenava senza scampo il motore ha cominciato a chiedere più corrente alla dinamo.
Sono saltati tutti gli interruttori di protezione ma prima di ciò il laboratorio si è riempito di fumo; erano evaporate in un attimo tutte le protezioni di isolamento dei cavi che usavamo nei nostri banchi per mettere in funzione le macchine.
Alla centrale di Bargi non è andata così perché oggi quelle macchine elettriche sono piene di elettronica che allora non si usava ma quando ho sentito che i lavoratori presenti hanno parlato di uno strano rumore proveniente dall’alternatore la mia memoria è andata al 1965.