misurare, valutare, … – di Roberto Ceriani

Non mi ha mai entusiasmato il ricorrente dibattito sulla scuola senza voti. Ogni tanto, come accade da qualche settimana, i giornali portano la notizia di "una scuola sperimentale dove sono stati aboliti i voti numerici… gli studenti studiano di più… poi accedono alle migliori Università…".

Trovo molto superficiale associare una sola variabile (mancanza di voti) a un effetto dovuto a cento cause (successo universitario). Trovo invece più interessante capire cos'è il voto. Per capirlo possiamo usare come esempio il suo utilizzo per la valutazione nel caso più semplice: valutare la quantità di informazioni immagazzinate studiando su un libro.E' un esempio didatticamente poco utile, ma ha il vantaggio di essere più facile da trattare della valutazione di molte altre competenze, di maggiore interesse scolastico, per le quali però sono valide considerazioni abbastanza simili.

Come si fa a valutare "quante informazioni sono state memorizzate"? Si fa un'indagine campionaria. Si scelgono 3-4 domande che esplorano le informazioni memorizzate su 3-4 argomenti scelti a caso fra un centinaio di argomenti possibili. E' la stessa tecnica statistica usata per qualsiasi indagine campionaria: intenzioni di voto, misura del colesterolo, tasso di inquinamento, ecc.

In base alle risposte ottenute dallo studente si valuta la sua preparazione nel rispondere alle 3-4 domande e si immagina che prestazioni simili si sarebbero ottenute se il ragazzo fosse stato sottoposto a un'indagine censuaria estesa a tutto il centinaio di argomenti possibili. Ovviamente le 3-4 domande dovrebbero essere abbastanza rappresentative della popolazione intera di tutti gli argomenti possibili, ma anche così l'indagine è sempre affetta da un inevitabile "margine di errore".

A questo punto si attribuisce un voto, per esempio 7, cioè si colloca lo studente in una classe di equivalenza chiamata 7 che significa: tutti gli studenti che si trovano nella classe di equivalenza 7 hanno una preparazione simile sull'insieme del centinaio di argomenti possibili.

Come qualunque indagine statistica, l'attribuzione di un elemento a una classe di equivalenza è soggetta a un certo margine di errore, quindi il numero massimo di classi di equivalenza utilizzate va opportunamente adeguato. Per esempio, se pensiamo che la valutazione della quantità di informazioni immagazzinate studiando su un libro sia soggetta a un errore del 10%, sarà bene usare non più di 9-10 classi di equivalenza (per esempio: i numeri interi da 1 a 10, oppure i numeri semi-interi da 4 a 8, ecc.). Sarebbe un po' "presuntuoso" usare una ventina di classi (per esempio: i numeri semi-interi da 1 a 10) perché sottintenderebbe la capacità di ridurre l'errore a circa il 5%.

Il problema del "voto numerico" è che viene solitamente considerato un numero. Invece le classi di equivalenza sono ordinate fra loro in modo comparativo (la classe 7 indica una preparazione migliore della classe 5), ma non sono valori trattabili come numeri. Se lo fossero dovremmo dire che chi è collocato nella classe 8 ha una preparazione doppia di chi è nella classe 4, quadrupla di quelli del gruppo 2 e 8 volte quella di chi è nel gruppo 1.

Invece le classi di equivalenza sono una scala ordinale, non una scala di valori numerici analoghi a quelli di una misura. L'equivoco nasce dall'avere attribuito al nome di ogni classe  di equivalenza un numero, invece per esempio di una lettera o un altro indicatore nominativo. Questo equivoco genera facilmente alcune diffuse patologie didattiche basate sul "fare la media numerica fra diversi voti", a volte usando calcoli numerici fino al terzo decimale (chi non ha mai visto a uno scrutinio un insegnante dichiarare: "A me risulta una media di 5,638"?).

Penso che anche gli psicologi usino apposite scale ordinali di classi di equivalenza del tipo "Il Sig. X è più emotivo del Sig. Y", ma scapperei via da uno psicologo che mi dicesse che "Il Sig. X è 5,638 volte più emotivo del Sig. Y". Questo perché la trattazione delle scale ordinali non ha nulla a che vedere con la trattazione delle scale numeriche utilizzate per le misure di grandezze.

Questa piccola riflessione non porta a negare la necessità di attribuire valutazioni nelle scuole. Anzi, al contrario vuole confermare l'esigenza di farlo in quanto è molto utile sia per lo studente, sia per l'organizzazione del sistema scolastico.

Non nega neanche la necessità di considerare più valutazioni periodiche per ottenere una valutazione sintetica; chiede solo di farlo con la consapevolezza che non si sta lavorando con numeri, ma con entità più complesse da trattare (per esempio: è utile usare la "media" come riferimento concettuale, ma non come indiscusso valore numerico).

Qui volevo solo sottolineare quanto mi sembri poco interessante e fuori luogo il dibattito "Voto SI o voto NO?", oltretutto spesso usato come se tutta la scuola fosse sempre uguale a sé stessa (primaria o pre-universitaria, liceale o professionalizzante, ecc.). Non nego che poi il voto possa avere effetti traumatizzanti sugli studenti, ma questo è un altro problema, anche se temo che più spesso sia un problema degli insegnanti, purtroppo spesso carenti su tutto quanto riguarda la cultura della valutazione.