a proposito di merito – cosa può fare il Dirigente Scolastico
Da un bel po' di tempo non scrivo più di scuola e la ragione di ciò sta nel fatto che per parlare di qualunque cosa ho bisogno di sentirne il profumo e la scuola l'ho lasciata nell'estate del 2012. Il baillame che si è scatenato sulla questione del merito mi spinge però a ritornarci sopra visto che si tratta di un questione di cui mi sono occupato con impegno nei miei primi anni come Dirigente Scolastico.
Nel 2008/2009 ho avuto il mio primo contratto proprio nella scuola in cui avevo studiato. Da docente avevo passato gli ultimi anni in un liceo di prestigio ad occuparmi di formazione scientifica dura dove la necessità di valorizzare il merito senza lasciare indietro nessuno era stata al centro del mio lavoro: dare molto, pretendere molto e adeguare le richieste alle caratteristiche di ciascuno.
Mi ritrovavo dentro la Istruzione tecnica in una bella scuola che aveva un grande bisogno di ritrovare una sua identità e un suo spirito di appartenenza, dai docenti agli studenti: biennio che rischiava di assomigliare ad un parcheggio in cui il problema per i docenti era spesso solo quello di riuscire a governare la barca, un triennio in cui chi voleva fare ed apprendere lo poteva fare ma doveva convivere con una maggioranza di compagni sdraiati nella indifferenza e nella rassegnazione.
Era la scuola in cui l'accezione di scuola di massa diventva sinonimo di appiattimento al ribasso e in cui gli studenti bravi dovevano quasi scusarsi di esserlo per farsi perdonare dai compagni. La cosa mi colpì molto negativamente perché di quella scuola, che era stata la mia nella prima metà degli anni 60 avevo ben altro ricordo; noi eravamo orgogliosi di stare all'Hensemberger e la cosa che ci dava fastidio, semmai era la presenza di qualche docente di bassa caratura, come ho raccontato nella mia autobiografia a proposito dell'episodio che mi cosò 15 giorni di sospensione (1964-1965: il diploma e quindici giorni di sospensione).
Così, sin da subito, decisi di occuparmi del tema della identità e del senso di appartenenza o detto in maniera diversa della valorizzazione degli esempi virtuosi. Gli studenti più bravi non dovevano essere dei drop-out, delle persone che quasi si vergognavano di anadare bene a scuola. Si trattava di rovesciare iun paradigma consolidato e contemporaneamente educare al valore del danaro (figlio di lavoro e impegno).
Proprio nello stesso periodo avevo preso contatto con la associazione dei Maestri del Lavoro (una sorta di Cavalieri del Lavoro in tono minore) e avevo avuto modo di conoscere storie di vita e di lavoro di persone che, formatisi con fatica all'Hensemberger, magari frequentandone i corsi serali, avevano raggiunto grazie alla caparbietà , alla voglia di emergere, alla coscienza di essere fautori del proprio destino, le vette più alte nel mondo della imnprenditoria o della direzione aziendale.
Incominciai così a ricercare nel territorio, persone, aziende, istituzioni disponibili a finanziare borse di studio personalizzate che avessero come unico parametro la consegna di un premio in danaro da erogare agli alunni meritevoli: i migliori per anno di corso, i migliori per specializzazione, o per indirizzo, il migliore in assoluto. Premi in danaro che andavano da qualche centinaio di euro sino ai mille euro e che venivano consegnati in una cerimonia pubblica davanti alla intera scuola. Ogni sponsor consegnava direttamente il suo assegno allo studente meritevole che era poi libero di farne l'uso più appropriato (un viaggio, un contributo alla famiglia, l'acquisto di libri, l'acquisto di di device tecnologici, …).
Ogni anno erano tra le 15 e le 20 borse di studio e gli sponsor erano: il sindacato, le associazioni imprenditoriali, singole aziende, enti locali ed istituzioni del territorio, ex alunni da ricercare tramite i miei collaboratori più stretti, gli stessi che si occupavano della alternanza scuola-lavoro. Questo del rapporto sistematico con i portatori di interesse (gli stake-holders) è un tema da perseguire più in generale nella scuola della autonomia perché o la scuola riesce ad essere in sinergia con il territorio in cui è collocata o la autonomia diventa una parola vuota (a Siena ho operato un solo anno ma una delle cose fatte fu la costruzione di un rapporto con l'organismo di coordinamenro delle contrade).
So già che qualcuno replicherà dicendo che il problema è un altro (quando cerchi far cambiare rotta alla barca c'è sempre qualcuno che afferma che il problema è un altro); che si tratta di costruire la scuola di tutti e di ciascuno, che bisogna occuparsi di garantire il successo formativo. No il problema non è un altro, i problemi della scuola sono tanti e bisogna prenderli in esame e cercare soluzioni per tutti.
Quello della valorizzazione del merito è uno di quelli, così come, a proposito di merito, si tratta di trovare nella scuola che tratta i suoi docenti allo stesso modo (siano essi impegnati o sdraiati, colti o ignoranti, impiegati od educatori, lavoratori di primo ordine o scansafatiche) forme di valorizzazione del merito sia in termini di coinvolgimento, sia di premi materiali pur in un contesto in cui mancando la meritocrazia, anche a livello apicale, il rischio è sempre quello del funzionamento burocratico.
P.S. Sempre a proposito di merito e di senso di appartenza, mi è arrivata di recente la notizia che si è finalmente ricostituita la associazione degli ex alunni. Ci sono voluti quasi 15 anni ma ci siamo arrivati. Il nome del ministero mi interessa relativamente, ciò che conta è che al cambio di nome corrispondano indicazioni di indirizzo chiare e magari qualche soldo, a destinazione vincolata, da aggiungere a ciò che le scuole saranno in grado di raggranellare.