quello che temevo

Quello che temevo sta puntualmente accadendo. E’ iniziata la campagna contro la scuola pubblica.

Andate per esempio a leggere Mario Giordano su Il Giornale con Se la scuola pubblica è il paradiso dell’ideologia oppure data un’occhiata a FaceBook (avrete qualche amico di destra – se non ne avete siete dei settari e allora hanno ragione loro).

E’ una sequela di amarcord di pessimi professori e di ancora peggiori manuali di storia. Professori ideologici, bambini costretti a cantare Bella Ciao, libri omissivi e quando non ci pensava il libro ci pensava il professore: bambini studiate da qui a lì, poi saltate tre pagine e poi ricominciate.

Agli scrutini mi intristivo, da professore di fisica, a sentire le valutazioni di storia e mi intristico ancora di più oggi che gli scrutini li vedo tutti.

Storia nella percezione degli studenti (e nella impostazione di molti docenti) è una cosa che si studia e basta (cioè non c’è niente da capire), tanto è vero che quando si vuol dire che uno studente è cretino o lavativo si dice va male persino in storia e si vorrebbe aggiungere se lo merita oppure non c’è proprio niente da fare.

Che tristezza. La parte del sapere che consente di capire questo strano mondo in cui operiamo è trattata come un dovere palloso. Escono manuali di storia sempre più belli, pieni di apparati iconografici, sempre più pesanti e sempre meno letti.

Cari amici della destra, questo è il punto. Nessun manuale di storia va mai bene, perché non si riesce a condensare la tragedia della II guerra mondiale in 30 o 50 pagine. Dalla lezione di storia deve venire la scintilla. Poi se non scatta la voglia di capire, di sapere, di approfondire, è dura.

Ci sono argomenti di storia di cui, dopo aver letto qualche decina di volumi, mi rendo conto improvvisamente di esere ignorante. Mi era sfuggito un aspetto; c’era un elemento importantissimo che era trascurato nelle cose che avevo letto, magari perché erano tutte di una medesima corrente storiografica.

Quando mi capita una cosa del genere non mi sogno mai di pensare che sono stato ingannato; prendo atto che la conoscenza non ha mai fine e ci dò dentro.

Faccio qualche esempio: ho appena finito di leggere Se non ora quando? di Primo Levi. Cosa sappiamo della Resistenza Europea? Ho letto di recente Il Cavallo Rosso di Corti, cosa sappiamo delle diversità tra i diversi corpi di cui era costituita l’ARMIR? Cosa sappiamo degli Ebrei di Russia? Cosa sappiamo del problema Giuliano Dalmata? Leggendo, recentemente, L’Esodo di Arrigo Petacco, oltre ad aver appreso tante cose sui 300’000 italiani costretti ad andarsene o massacrati nella prima pulizia etnica della nuova Jugoslavia, sono rimasto agghiacciato apprendendo delle decine di migliaia di cosacchi alleati nei nazisti che nel maggio 45 si sono annegati (soldati, carri e famiglie) per non finire nelle mani dei partigiani titini.

Non la faccio tanto lunga: il problema non è il manuale di storia; il problema è una dimensione di cultura in cui si fatica a trasmettere passione per il sapere e la colpa non è dei professori di sinistra o di destra. Forse la colpa è in una società che invece di trasmettere senso storico, cultura della responsabilità, senso e importanza della fatica si fonda sul gratta e vinci, sull’Isola dei famosi, su modelli del tipo calciatore + velina.

Per questo, caro Berlusconi, caro Giordano, fate male ad attaccare la scuola pubblica. Non si vince nessuna guerra, proprio nessuna, avvelenando i pozzi. Figuriamoci poi se la posta in gioco è la crescita della cittadinanza.

Consiglio per tutti: RAI Storia trasmette 24 ore al giorno sul digitale terrestre al canale 54. Approfittatene.