A proposito di Alexandr Bogdanov … e noi – di Alvaro Ricotti

Il romanzo “Stella Rossa” è indubbiamente un romanzo molto particolare. Il suo autore, Aleksandr Bogdanov oltre a ipotizzare tecnologie futuribili per i suoi tempi, denotando una cultura scientifica di altissimo livello, prospetta rapporti sociali ed economici della società marziana che rispecchiano la sua visione di come avrebbe dovuto evolversi la futura società socialista.

Ma questo romanzo di fantascienza, seppur interessante per i suoi risvolti culturali e politici, non è sicuramente il lavoro di maggior rilievo di Bogdanov. Non posso aggiungere nulla alla puntuale ed esaustiva recensione di Claudio Cereda su Stella Rossa, colgo invece l’occasione per articolare una riflessione sul suo autore Bogdanov e le concatenazioni conseguenti che mi portano a parametrare concetti scientifici e metodologie d’analisi politica dei primi del’900 e gli analoghi concetti e metodi che abbiamo utilizzato nella nostra avventura politica degli anni ’70.

Aleksandr Aleksandrovic Malinovkij, meglio conosciuto come Bogdanov, fu uno dei più influenti intellettuali russi dei primi anni del ‘900, a lui si deve la traduzione in russo del Capitale di Marx. Di formazione scientifica, si laureò in medicina, ma fu anche un acuto filosofo ed economista; aderì fin da studente ai movimenti socialisti che gli costarono, in diverse riprese, soggiorni nelle galere zariste. Aderì alla frazione bolscevica del POSDR (Partito operaio socialdemocratico russo) in cui ricoprì incarichi di primissimo piano, come membro del Comitato Centrale e dirigente del Centro Bolscevico. Con l’amico Lenin fondò a Ginevra la prima rivista bolscevica, “Vpered”.

Subì l’influenza filosofico-scientifica del fisico e filosofo austriaco Ernst Mach di cui elaborò e sviluppò il pensiero, esponendo la sua concezione logico-scientifica nell’opera “Empiriomonismo”. Qui esplicita la sua visione della scienza come sistema dinamico di interconnessioni dove l’uomo è sia agente che oggetto in rapporto dialettico con il mondo che lo circonda. In questo sistema, dove fenomeni ed entità interagiscono e si auto-organizzano, anticipando di quasi cinquant’anni quello che sarà chiamato “Sistema delle complessità”, procede e si sviluppa il fenomeno della conoscenza e dell’interpretazione della realtà.

Come dicevo, Aleksandr Bognavov, oltre a essere uno dei massimi dirigenti dell’ala bolscevica del POSDR, a detta di Bucharin, Lunacarskij e Gorkij era la mente più scientifica di tutto il movimento rivoluzionario, in virtù della sua profonda cultura filosofica-scientifica tendeva a considerare il marxismo, al pari delle altre teorie scientifiche, un metodo d’indagine scevro del peso ideologico ripudiando quel principio di autorità in opposizione ai marxisti ortodossi che facevano discendere la loro prassi politica dalla correttezza filologica dei padri fondatori Marx e Engels. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 la contrapposizione tra gli ortodossi, di cui Lenin era la guida incontrastata, e il gruppo dei machisti si fece più dura.

Nel 1906 Bogdanov venne arrestato e trascorse quasi un anno in prigione e qui finì di scrivere la sua opera “Empiriomonismo”. La divergenza tra la sua interpretazione dell’uso scientifico del marxismo e la visione ideologica ortodossa divenne a questo punto insanabile e Lenin, senza mai citarlo, affrontò la questione sul piano filosofico con lo scritto “Materialismo ed Empiriocriticismo” proponendo la “giusta” visione del materialismo storico secondo la correttezza filologica dei testi marxiani. 

Non solo, ma dato che Lenin stava operando ad una convergenza tattica con i menscevichi e che questi accusavano i bolscevichi, sotto la guida di Bogdanov, di revisionismo di sinistra, per superare l’ostacolo propose ed ottenne l’espulsione dell’ex amico e compagno di lotta dalla corrente bolscevica e successivamente anche dal POSDR. A nulla valse la stima e l’appoggio dato a Bogdanov dall’amico comune Gorkij. Bogdanov rispose alla querelle di Lenin pubblicando “Fede e Scienza” in cui dimostra quanto poco rispondesse al metodo scientifico la posizione espressa dal capo dei bolscevichi in “Materialismo ed Empiriocriticismo”. Per Bogdanov Lenin era schiacciato da un atteggiamento fideistico e da un’ irragionevole e supino senso di sudditanza mentale all’autorità degli estensori del Capitale senza avere il coraggio intellettuale di storicizzarlo ai nuovi tempi e in un contesto, quello russo, ben diverso dal contesto tedesco, ad industrializzazione avanzata, al quale Marx ed Engels facevano invece riferimento.

Aleksandr Bogdanov proponeva un rinnovamento culturale che non partisse da verità assolute, stabilite una volta per tutte e immodificabili, ma da una epistemologia dell’esperienza continuamente edificabile e verificabile nella sua concretezza. I fenomeni sociali, politici ed economici avrebbero dovuto essere interpretati secondo correzioni delle leggi dedotte dall’impianto di base del materialismo storico ed anche questo a sua volta avrebbe dovuto plasmarsi secondo le nuove scoperte verificate della scienza in cui si incominciava ad intravvedere trasformazioni paradigmatiche epocali come le nuove concezioni della struttura della materia e i suoi legami inscindibili con l’energia.

Anche noi, nel nostro passato di militanti di sinistra, siamo rimasti vittime di questa interpretazione asfittica e di un’interpretazione puramente scolastica del marxismo. Così come ci siamo formati politicamente vantando una capacità critica inesistente assimilando come fosse il Verbo testi come “… il rinnegato Kautsky” senza nemmeno prenderci la briga, o un minimo di curiosità, di leggere qualche pagina sulle perplessità politiche di quello che fu il segretario di Engels e il curatore dell’edizione completa del Capitale.

Il rinnegato Kautsky manifestava e argomentava nei confronti della tattica leninista sulla dittatura del proletariato, così abbiamo fatto di “Materialismo ed Empiriocriticismo” un assoluto, non sapendo neanche che fu uno scritto in polemica con uno dei massimi intellettuali del partito bolscevico, cancellato dalla memoria storica della Rivoluzione d’Ottobre ancor prima della pratica dello sbianchettamento delle foto di Trotsky da parte di Stalin. La furia iconoclasta ha radici ben antecedenti alle ossessioni del “Grande Padre”.

Per un recupero di alcuni riferimenti storico-politici consiglio, oltre alle “Memorie di un rivoluzionario”, la lettura di “Fede e Scienza” di A. Bogdanov e “La dittatura del proletariato” nonché “Terrorismo e Comunismo” di Karl Kautsky. Un altro libro interessante è “Mjasnikov e la rivoluzione russa” di Roberto Sinigaglia. Non è un testo dell’epoca, ma un saggio storico dei tempi attuali giusto per sentire una campana di un suono diverso, di come la rivoluzione sia stata vissuta e partecipata dalla componente anarchica del movimento operaio, componente non insignificante nel contesto e di come questa componente operaista e consigliare si sia opposta all’evoluzione da tutto il potere ai soviet a tutto il potere al partito (bolscevico) e di come sia stata in seguito brutalmente liquidata.

“Memorie di un rivoluzionario” di V. Serge colpisce sicuramente di più sul piano emozionale, fa soffrire, mi ha fatto soffrire; ha rimesso in discussione, in modo feroce, il valore delle emozioni rivoluzionarie dei nostri vent’anni, ci ha svelato su quali inganni ideologici appoggiavano i nostri sogni e le nostre certezze. “Fede e Scienza” e “La dittatura del proletariato” mi hanno fatto incazzare e rammaricare….

Perché non li abbiamo letti prima (cinquant’anni fa)? Il rammarico è per la loro scoperta tardiva. Avremmo avuto uno strumento in più, avremmo potuto sviluppare maggiormente e affinare la capacità di critica nel confronto dialettico delle tesi divergenti. Avremmo potuto arricchire la nostra conoscenza analizzando il conflitto e le contraddizioni emergenti tra gruppi che si rifacevano alla stessa ideologia, ma proponevano strategie rivoluzionarie diverse per raggiungerle. Invece ci siamo formati politicamente sotto lo schiacciamento manicheo di un principio di autorità: da una parte i puri, i giusti, quelli che avevano capito tutto, dall’altra i traditori, i “rinnegati” quelli che con “falso linguaggio marxista” (parole di Lenin) agivano per sabotare il processo rivoluzionario al servizio della borghesia; e noi da che parte dovevamo stare? Dalla parte dei giusti naturalmente! Quindi ci siamo inconsapevolmente, ma colpevolmente, adagiati acriticamente su un’unica interpretazione della teoria marxista, quella che risultò a suo tempo vincente!

Il Principio d’Autorità, che per il metodo scientifico è l’espressione concreta della rinuncia a nuove scoperte e nuove soluzioni, veniva da noi metabolizzato a verità assoluta e immodificabile tanto che nel lessico si faceva riferimento ai “testi sacri” e alla “dottrina comunista”. Pensavo, e ci credevo veramente, che in occasione della presentazione di “Volevamo cambiare il mondo” si sviluppasse una riflessione critica sulle radici culturali della nostra utopia. Invece niente!

È stato quasi tutto un Amarcord e su quanto siamo stati bravi a non farci trascinare in tentazioni terroristiche o para-brigatiste. Da persone che stimo tantissimo sul piano intellettuale, per la loro preparazione politica e per la loro abnegazione nella militanza mi aspettavo di più. Da un Biorcio, da un Giovanni Lanzone, da un Vincenzo Vita gli ex militanti di base come me si sarebbero aspettati quel guizzo intellettuale particolare che avrebbe fatto la differenza su tutte le visioni retrospettive su gli anni ’70. A tal riguardo cito un passaggio di Franco Calamida in una videoconferenza su zoom per “Volevamo cambiare il mondo”. Nel suo intervento, peraltro interessantissimo ad un certo punto ha detto “…. Poi la rivoluzione non c’è stata….” È stato l’unico, mi pare, che nel suo intervento abbia usato espressamente il termine RIVOLUZIONE intesa, se ho ben capito, come momento o processo di rottura violenta dell’assetto istituzionale italiano e non come metafora di trasformazione per la quale, presumo, siamo ancora tutti rivoluzionari.

“Volevamo fare la rivoluzione” sarebbe stato il sottotitolo esplicativo se il libro delle memorie dei militanti di AO fosse stato realizzato a ridosso di quegli anni. Io mi chiedo, vi chiedo, cosa intendiamo adesso e cosa intendevamo allora per rivoluzione?

Bisognava essere molto ingenui, nella migliore delle ipotesi, o piuttosto imbecilli a pensare che fosse possibile innescare un processo rivoluzionario a modello bolscevico in Italia nella metà degli anni ’70. Una sorta di pazzia collettiva ha contagiato quella generazione sia in Italia che in Germania e in Francia. I nostri coetanei a Praga o a Berlino che rifiutavano il comunismo li giustificavamo perché si ribellavano alla degenerazione staliniana-krusciofiana- brezneviana del comunismo, non a quello vero, quello puro, quello di Lenin.

Nella società a capitalismo avanzato solo una parodia del processo rivoluzionario si è manifestata ad opera dei Tupamaros in Uruguay, da altre parti, nemmeno in occasioni di colpi di stato, vedi Cile e Argentina, le organizzazioni di sinistra, sia legali sia illegali, ebbero la forza e il consenso popolare per una risposta rivoluzionaria. Ho maturato oggi la convinzione che anche in Italia, nell’eventualità si fosse verificato un colpo di stato, le organizzazioni “rivoluzionarie” non sarebbero state capaci di ottenere quel consenso popolare di massa per una risposta rivoluzionaria, se non a portare ad un suicidio collettivo una intera generazione. Quindi mi  fa semplicemente terrore il ripensare che la rivoluzione alla quale guardavamo con ammirazione, rispetto e riferimento fattuale fosse la Rivoluzione d’Ottobre realizzata attraverso la strategia leninista con la conseguente dittatura del proletariato.

Oggi, se vogliamo essere seri, bisogna esplicitare cosa intendevamo per rivoluzione, e non riproporre una verginità ideologica continuando a sostenere e denunciare che quella che accadde i Russia a seguito della rivoluzione fu una degenerazione incontrollata (che invece fu controllatissima e pianificata) di un uomo e del suo enturage (come se Stalin e Beria fossero delle schegge impazzite) a distruggere il sogno utopico di Lenin per una società più giusta, ma accettare amaramente che tutto ciò che successe era la logica conseguenza di una concezione e una pratica liberticida e antidemocratica del partito bolscevico.