Michele Randazzo nel ricordo di Rizzo, Forcolini e Molinari
… commissario politico molto fraterno
La mia familiarita’ con Michele fu all’inizio, piu’ mediata dalla lettura dei suoi contributi sulla nostra rivista teorica che da una diretta frequentazione personale. Il suo lavoro nella Segreteria Nazionale di A.O. lo poneva ad un livello di direzione che incrociava solo occasionalmente l’attività della federazione milanese.
Avevo tuttavia imparato ad apprezzarne sia le riflessioni scritte, ricche di richiami teorici, ma mai ideologiche ed astratte, sia gli interventi nel Comitato Centrale (sì lo chiamavamo così !) di A.O. sia nei gruppi e seminari di studio che lo vedevano come autorevole formatore di quadri per la nostra organizzazione.
Cominciai a conoscerlo meglio quando la Segreteria Nazionale – onestamente non ricordo a seguito di quale contingenza particolare della nostra attività- decise di fargli seguire da vicino la Federazione di Milano.
Il suo ruolo (una sorta di “commissario” politico) non era ovviamente semplice, soprattutto nel primo impatto. Eppure Michele ci stupi’ per l’assenza totale di qualsiasi sfumatura autoritaria o burocratica. Un fratello maggiore che si offriva come un aiuto sincero; mai parole forti e soprattutto la capacita’ di ascoltare. Non parlava mai per primo, stimolava i nostri interventi e le nostre valutazioni e solo alla fine diceva la sua.
Lo faceva senza alzare mai la voce, senza mai imporre idee, ma proponendosi di convincere e di portare sulle sue posizioni con il ragionamento e la riflessione. Michele praticava nei confronti di noi suoi interlocutori una sorta di maieutica cosi’ che, senza rinunciare a raggiungere il punto d’arrivo che si era proposto, tutti ci si arrivasse per convinzione e non per obbedienza.
Sono passati moltissimi anni, ma a pensarci me lo rivedo nelle stanze polverose e un po’ buie di via Vetere, con la bonomia che ispirano naturalmente le persone che vestono large e che in Michele si manifestava al meglio, ma anche con quell’argomentare che gli studi scientifici sanno dare a chi è convinto delle proprie idee: stringente, cartesiano, che non da’ via di scampo.
Ma sempre – anche questo mi piace ricordare, perche’ merce rara, negli anni in cui il primato assegnato alla politica sembrava vergognarsi dei problemi personali- al termine della riunione vi era una parola buttata li’ per ognuno di noi sulla nostra vita, sullo studio o sul lavoro o sulla famiglia, per stemperare asprezze e giusto per ricordare, senza retorica, cosa significa nel profondo essere compagni, vivere una straordinaria esperienza comune. E noi, forse di errori ne avremo fatti tanti, ma, in A.O. compagni, abbiamo imparato e sapevamo esserlo. Grazie a maestri come Michele.
Basilio Rizzo
… ci spiegava la teoria senza annoiarci
Per ricordare Michele, devo ritornare indietro al 1969, alla gioventù, ai sette anni più importanti della mia vita, non lo so ma forse lo sono stati anche per Michele, forse anche per te cara Giovanna: Fino al 1976, dopo le nostre strade si sono divise, per non incrociare più quella di Michele e rivedere Giovanna solo recentemente. Allora ci si divideva in politica e ci si divideva nella vita.
Ma in quei sette anni di storia ci si incontrava quasi quotidianamente. Se ci penso è straordinario: credo che in tutto quel tempo non ci fosse una sera, un Sabato o una Domenica in cui non incrociavo Michele Randazzo, la sua grande mole, la sua barba ispida, in contrasto con la sua fragilità ad una riunione, un’assemblea, un direttivo in qualche scantinato di via Bacchiglione, di via Giason del Maino, di Sesto San Giovanni, a una manifestazione, ai turni di vigilanza alla sede di via Vetere o a cena a devastarci il colesterolo che entrambi avevamo molto alto. A proposito, Michele era un maestro ai fornelli.
Ma allora ci si incontrava in tanti, tutti a vivere un sogno collettivo a progettare lotte che spesso vincevamo e a studiare per cambiare il mondo. Sì perché la prima immagine di Michele che riaffiora dai miei ricordi, è quella dei gruppi di studio sul marxismo, che Avanguardia Operaia ai primissimi albori, teneva a studenti e operai alla domenica mattina, in un circolo dalle parti di Foro Bonaparte: il Mandel, l’ABC del comunismo, Stato e Rivoluzione, il Che Fare…
Michele era il migliore, quello che si faceva capire, che ti coinvolgeva rendendo i testi attuali, mentre Luigi, Vanghelis e Gino Meloni erano delle pizze tremende. Grandi discussioni sullo Stato borghese si che abbatte e non si cambia…cose da pazzi!
Vorrei poter dire: ci pensi Michele? A 40 anni dal ‘68 ci ritroviamo a difendere con le unghie e con i denti questo Stato da un orda di barbari … sono sicuro che di nuovo saremmo assieme.
Emilio Molinari
… Michele visto da vicino
Michele Randazzo nasce in Sicilia, emigra a Milano, riemigra a Trento e conclude la sua vita in Spagna. Michele è stato un migrante capace, in tutta la sua esistenza, nonostante la precarietà economica ( salvo negli ultimo anni), di affrontare la sua vita con una determinazione, una lucidità ed una autonomia intellettuale che pochi avrebbero saputo mantenere attraverso tutte le prove che nel suo percorso ha dovuto affrontare.
Lo conobbi nel 1966 come compagno capace di una autonomia critica, in tempi di dogmatismo dilagante, e tale si mantenne negli anni successivi in tutte le fasi dl percorso militante politico e culturale che affrontammo insieme sino a doverne riconoscere il fallimento e l’inevitabile necessità di affrontarlo con la radicalità necessaria ad assumerci tutte le responsabilità che ne conseguivano.
Nonostante ciò, se i militanti formatisi in Avanguardia Operaia non subirono la deriva, variegata ma negativa, di quelli di altre organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, si dovette al tipo di formazione che compagni come Michele, allora responsabile dei gruppi di studio per la formazione dei militanti, seppero trasmettere fornendo gli strumenti critici per affrontare la realtà non solo in quel contesto, ma anche per il futuro di ciascuno di noi.
Aveva sacrificato transitoriamente, per l’attività politica a tempo pieno, la conclusione dei suoi studi di ingegneria. Ci pensò il futuro suocero a imporgli di laurearsi usando Giovanna come ricatto. Mi chiese cosa ne pensavo, gli risposi che doveva concludere gli studi; forse per quel consiglio, ma sicuramente per l’amore per Giovanna. Riprese a studiare, superò quel paio di esami che gli mancavano e concluse “ in bellezza” la laurea anche perché gli prestai una cravatta che allora non aveva e che a quei tempi era indispensabile, con la relativa giacca, per laurearsi al Politecnico di Milano.
La famiglia, il rientro nel processo del lavoro produttivo a Trento, ancora una volta da migrante, la capacità di superare i momenti di depressione più nera nel vedere frustrate le sue antiche aspettative politiche e sociali, riuscire a mantenere una capacità di analisi e di giudizio critico su quello che lo circondava è ciò che ha permesso a Michele di vivere con serietà e coerenza senza rinunciare o tradire le premesse dalle quali era partito.
Nelle nostre ultime conversazioni, due furono gli argomenti importanti sui quali si soffermò e che mi colpirono particolarmente. Primo il suo stupore, misto quasi ad un senso di vergogna per il salto di reddito che il successo imprenditoriale di Giovanna stava procurando alla sua famiglia che mi riconfermò la sua straordinaria lucidità nonché la sua grande coerenza morale. Secondo la scelta del figlio Luca di dedicarsi all’insegnamento nelle scuole elementari, di diventare un maestro, ne coglieva la capacità di suo figlio a percorrere una strada scelta in totale autonomia , certamente aderente ai suoi desideri, sicuramente non con superficialità, ma certo che si trattasse di una scelta matura.
Quelle poche decine di metri che mancavano alla laurea di Luca, lui sapeva che si potevano sempre percorrere, perché lo aveva già fatto. Infatti così è avvenuto, come anche lui, oltre all’oltranzista Giovanna, si augurava.
Da ultimo Michele lo ricordo nel suo profondo rapporto con la natura, dalle camminate negli anni sessanta sulle alpi valdostane, per lui le prime, alle ultime in Trentino, quando indomito, nonostante la malattia, saliva con grande fatica sui sentieri con una volontà e una tenacia incredibile.
Devo inoltre a lui la conoscenza e l’apprezzamento per il vino di qualità che, arrivato da pochissimo a Trento, lui stesso cominciò ad apprezzare e a farmi conoscere. Insomma Michele era un compagno nel senso più profondo e completo del termine, un uomo capace di mettere in comune con gli altri sentimenti e pensieri, gioie e dolori, che sapeva costruire rapporti profondi, capaci per la loro qualità, di durare una vita. Veramente un compagno straordinario.
Francesco Forcolini
Questi ricordi sono stati scritti nel 2008 in occasione del decennale della morte di Michele Randazzo. Gli altri articoli su Michele e sui nostri morti.