Raoul Martini – di Guido Morano

Chi incontrava Raoul per la prima volta era colpito dal suo aspetto fisico. La sua caratteristica principale era il volto, caratterizzato in particolare dal  naso. Naso schiacciato, come quello dei pugili, frutto se non ricordo male, di un fortuito incidente di gioco da bambino e dell’intervento di qualche pessimo chirurgo.

Chi non lo conosceva pensava a una sua passione per la boxe e già questo incuteva  una certa prudenza verso di lui. Inoltre conferiva al viso, insieme a due occhi scuri e ai capelli mori, un’aria vagamente orientale che attirava l’attenzione. Raoul lo sapeva ed esibiva questa particolarità con ironia che celava credo, il disagio che quella malformazione gli aveva creato.

Era alto come me ma con una struttura fisica che evidenziava una notevole solidità. E questa era l’altra sua caratteristica fisica evidente: la solidità. Che significava prestanza  e forza fisica, sempre mitigata dall’autoironia e da una serena consapevolezza. 

Sono numerosi gli episodi di scontro fisico casuale o cercato anche per gioco, nei quali questa particolarità emergeva. Dalla capriola, provocata a chimica mentre si scherzava, all’ esuberante Pepe, allo scontro di calcio con me in una partitella nel cortile di  chimica, con relativa frattura del mio polso, da lui sempre spiegata con ironia, mi sei venuto  contro .

Ho spesso considerato la nostra amicizia, errando clamorosamente, come la coppia del braccio, lui, e della mente, io. Mi induceva in ciò la sua minore dimestichezza negli interventi pubblici e nelle riunioni, ma che non gli impediva di conquistare la fiducia di tutti, grazie alla serena sicurezza che trasmetteva, sempre accompagnata dalla sagacia e dalla ironia.

Nel privato Raoul era un vero romagnolo, gran mangiatore, memorabili le sue abbuffate di frutta e dolci a fine pasto, quando tutti avevano ormai mollato, e rimane famosa la sua battuta alla fine di molte abbuffate…quasi mi faccio un Vov… tra le risate increduli di tutti.

La nostra amicizia comincia al Molinari nel fuoco delle lotte del ’68, ma si consolida a chimica, dove approdiamo con poche certezze, spinti più dalla inevitabilità del percorso scelto, che da una profonda convinzione. E così comincia una amicizia che si cementa lungo la interminabile sequenza di esami, preparati in faticosi pomeriggi sul suo tavolo di cucina, alternati a abbondanti spaghettate, crolli di sonno e corse in facoltà per gli obblighi rivoluzionari.

Quei lunghi 5 anni universitari li abbiamo passati a stretto contatto studiando, in genere poco, e nella segreteria studenti di chimica, in un continuo alternarsi di riunioni, manifestazioni, occupazioni e tutti gli annessi di quegli anni. Ma intanto dovevamo crescere, perché nonostante le utopie rivoluzionarie, eravamo ragazzini cresciuti troppo in fretta, con tutti i problemi adolescenziali accantonati, ma non risolti.

Quindi nei lunghi pomeriggi sui libri, il tempo tra noi si divideva tra lo sforzo per  capire cosa stavamo studiando, cosa significava fare politica per un futuro rivoluzionario piuttosto incerto, ma anche come affrontare la questione centrale per i ragazzi di quegli anni: trovare la donna della vita o che ci potesse assomigliare. E la cosa si presentava tutt’altro che semplice, considerando che venivamo da un Itis prevalentemente maschile e un corso di laurea anche di più. E la militanza rivoluzionaria, pur fornendo fugaci occasioni, non aiutava .

I rapporti personali erano sempre definiti entro il moralismo leninista e maschilista e il famoso slogan, il personale è politico, contribuiva a creare ulteriore sconcerto, in menti già abbondantemente condizionate. Insomma il femminismo era ben lungi dallo scalfire  e dall’abbattere sia le convenzioni piccolo borghesi che il moralismo pseudocomunista. Insomma come si dice, quegli anni sono per me e Raoul, scuola di vita che ognuno vive coi mezzi che ha, col carattere che si ritrova, lui con la baldanza romagnola io con le timidezze e le paure del milanese piccolo, piccolo borghese.

Nel nostro percorso universitario procediamo appaiati, alcuni esami li passa lui , altri io, e questo è una fortuna perché non alimenta competizione tra noi. Sono numerosi gli episodi di esami finiti prematuramente, con un grazioso commiato del prof. di turno, che ci vedeva commentare, in genere più con ironia che con vergogna, la figuraccia fatta. Fino all’ultimo esame, nella mattina di un sabato, a matematica in Via Saldini, con una prof. esausta dopo numerosi incontri con noi a chiedere chiarimenti, in genere poco chiari per noi, ma più che altro col chiaro intento di sfiancare la sua resistenza.

Usciamo dalla facoltà e come primo cosa  buttiamo i libri in un cassonetto. Finisce cosi la nostra  non brillante carriera di universitaria, fatta più con lo spirito del militante con una missione da compiere che con lo spirito del giovane in cerca del sapere.

Anche nella carriera politica procediamo appaiati.  Prima nel Cub di chimica, poi quando gli anziani se ne vanno, su scienze, lui con responsabilità nella costruzione di un servizio  d’ordine efficiente e senza militarismi, io in un movimento di scienze che va perdendo quei caratteri di massa e di innovazione che lo distinguevano. Ma sono le vicende personali che ci uniscono e fanno di Raoul un fratello e della sua famiglia, la mia seconda. La conoscenza dei suoi parenti , che andiamo a trovare nel ferrarese in un mondo contadino credo sparito, rimane nella mia memoria , come  lo sono i suoi genitori, Teseo e Fernanda, che hanno di fatto condiviso con noi, in quella piccola cucina, gli anni dell’università.

Le vicende politiche , col travaglio che comincia ad attraversare  Avanguardia Operaia, non ci divide, non ricordo gravi conflitti. Rimaniamo, come si diceva, sinceri e ingenui rivoluzionari, militanti in un mondo che conosciamo solo attraverso lo spicchio che ci si offre da Città Studi o limitrofi.

Intorno al ‘74/75 Avanguardia Operaia chiede a molti militanti milanesi, di trasferirsi in altre città, per consolidare la sua presenza nazionale. A me propongono Padova, a lui Roma. Ricordo i dubbi, le incertezze e poi i sensi di colpa, per aver rifiutato gli ordini dei vertici del partito. Ricordo un episodio; col prof. Scatturin, il capo del dipartimento dove si son laureati molti chimici rivoluzionari, dove siamo anche io e lui, a cui chiesi consigli sul possibile trasferimento.

Mi rispose, in perfetto veneto qual’era, se non ero matto! Deciso, si fa per dire, a disobbedire alla missione assegnatami, dovetti e come me altri, subire gli aspri rimproveri del comitato centrale ed in particolare di un suo componente che mi cazziò dall’alto della sua storia operaia, come studentello borghese. A trarci di impaccio fu la chiamata alle armi dopo la laurea io diretto prima a Rieti e poi a Torino, bersagliere e lui a Roma, dove avrebbe trovato una favorevole occupazione, come accompagnatore di un non vedente. Questo gli diede modo di conoscere la realtà politica romana e quindi di avviare un nuovo percorso di vita. E’ li che conosce la sua prima moglie, e si inserisce a modo suo, nel gruppo romana di A.O.

Le nostre vite , così intensamente legate in quegli anni, cominciarono così a dividersi, la politica cessò rapidamente di essere l'ambiente unificante, ma rimase l’intesa emotiva, l’affetto cresciuto nella lunga quotidianietà di quegli anni. Questa non ci abbandonò, alimentata da incontri saltuari ma sempre intensi, nei frammenti della sua vita sentimentale, sempre agitata, ma sempre vissuta con distaccata autoironia, e da me criticata con spirito di fraterna comprensione. Ci ha infine unito, crudeltà di un destino indecifrabile, la malattia, uguale per tutti e due, fatale per lui, scampata per me. Non averlo potuto salutare  alla fine della sua esistenza, rimane per me un grande dolore.


Raoul Martini è nato nel 1949 nel ferrarese, emigra a Milano coi genitori e dopo le medie, si iscrive al Molinari. Dopo il Molinari si iscrive a chimica e si laurea nel 1974. Dopo il servizio militare come accompagnatore di un non vedente, inizia la sua attività professionale, prima come insegnante di chimica e poi, con altri, dà vita alla società cooperativa ConAl (controllo alimentare), attiva nel campo delle analisi ambientali e dei servizi di produzione dei pasti. Diventa responsabile commerciale della cooperativa, intervenendo su numerosi fronti di analisi e di bonifica ambientale, continuando la sua attività di insegnamento. Colpito nel 2015 da una grave malattia ematica, resiste alla malattia a cui cede nel 2016. Lascia due figlie.