la mossa del cavallo – di Anto J. Mariani

Formulazione di un’ipotesi alquanto spericolata sul perché Renzi l’avrebbe fatta grossa. Ci arrivo dopo che, sulla crisi di governo, mi sono soffermato a lungo con quattro post, perché, specie di fronte ad una questione di tale portata, sarebbe superficiale oltre che ingiusto, dare corda ad un’interpretazione, che all’incirca suona così: Renzi è un kamikaze. Punto.

Davanti ad uno scenario globale, devastato dagli effetti, di natura sanitaria, economica e sociale, derivanti dalla pandemia, credo sia deleterio assumere posizioni tranchant di fronte a scelte politiche che risultano incomprensibili. Insomma, Renzi non lo si può liquidare (e lapidare) ricorrendo ad una decrittazione che fa leva unicamente sulla peculiarità narcisistica, che indiscutibilmente gli appartiene.

Se nel 2014 è arrivato ad ottenere quel consenso stellare del 41% non è perché gli italiani hanno preso una sbronza collettiva, ma perché riconoscevano in lui un politico di razza, pur con le sue già evidenti propensioni che lo rendono non poco urticante. Dopo i quattro post, di cui parlavo all’inizio, ora provo a togliere le pieghe con un’ipotesi che, lo dico subito, risulterà un po’ lacunosa, ma che, forse, ci può stare. Comincio dal dire che tutto era già scritto: letteralmente.

Sappiamo che l’ultimo libro (che non ho letto) del leader di Italia viva s’intitola “La mossa del cavallo”. Il particolare movimento a “L” di questo pezzo scacchistico viene solitamente inteso come tra i più adatti per liberarsi da un impedimento e lo si ritiene funzionale per tentare di uscire da una situazione critica. A questo tipo di mossa, Renzi è già ricorso – per fortuna – alla fine dell’estate del 2019, quando tutti erano lì con il cerino in mano e non sapevano come venirne fuori dalla pretesa di Salvini di assumere pieni poteri.

Succede, allora, che il 9 settembre la scacchiera la porti da casa Renzi e, inaspettatamente, con la sua consueta acrobazia tatticista, fa in modo che sia Conte il re della compagine bianca. Succede che quest’ultimo dismette l’abito dell’esecutore di ordini (indossato per un anno e mezzo con i pentaleghisti) per confezionarsi progressivamente un vestito su misura.

Col passare del tempo, re Conte comincia – per fortuna – a ritagliarsi un ruolo personale nei rapporti con tutti coloro che contano a livello internazionale. E, con l’avvento della pandemia è riuscito a rafforzare l’immagine che ha costruito di sé: fulcro centrale della politica italiana.

Fin qui tutto bene; o quasi. Non del tutto bene perché Conte ci ha preso gusto ad indossare questo abito che, talvolta, ricorda un po’ troppo lo stile vivacchiante andreottiano. La cosa gli viene così, anche perché ha a che fare con un certo dilettantismo del M5s e una certa tendenza al tentennamento da parte del PD.
In questa cornice, Renzi manifesta il suo limite principale: l’impazienza. Per certi versi, non ha tutti i torti, ma l’essere smanioso fa sì che la sua mossa del cavallo arrivi a compierla nel momento sbagliato, con il rischio molto alto di scompaginare l’intera scacchiera. Che lo strappo si possa ricucire è assai difficile, ma è doveroso farlo, anche perché credo che tirar fuori dalla naftalina l’incellofanato abito made in Mastella può portare a subire lo scacco più stupido che ci sia: quello del barbiere, in cui spesso incappano i principianti.