fine vita: punti di vista
Da fronti opposti raccolgo punti di vista che potrebbero convergere adottando il principio della ragionevolezza.
Dice Ignazio Marino: rispettare le scelte dell'individuo garantendo nutrizione e idratazione artificiale sempre tranne a chi le abbia anticipatamente e coscientemente rifiutate.
Dice Francesco D'Agostino: prestiamo attenzione con atteggiamento compassionevole a tutti coloro che, in situazione di difficoltà, rischiano di essere lasciati soli. Analizza il punto di vista illuminista e quello realista per schierarsi a favore di quello realista in nome di un atteggiamento compassionevole. Il bisognoso, di fronte alla morte, chiede di non essere lasciato solo.
Si potrebbe obiettare a D'Agostino che, quando si tratta di consenso espresso, e c'è coscienza, nulla vieta di cambiare idea e conseguentemente di mutare la posizione su alimentazione e idratazione forzata. Ma il caso Englaro si è innestato su una situazione ben diversa sia rispetto allo stato di Eluana (processi irreversibili acclarati poi dalla autopsia), sia rispetto alla volontà ripetutamente espressa anquando stava bene, anche se non in maniera formale a causa della assenza di una legislazione.
Si potrebbe ancora obiettare che l'atteggiamento compassionevole e la attenzione appartengono agli stili di vita e di lavoro di chi opera in quelle strutture e che la realtà è purtroppo più sgradevole di quella descritta; mancano reparti esplicitamente dedicati al fine vita e alla sofferenza e in ospedale si muore male o si muore bene a seconda di come si capita.
Per esempio quanti malati terminali muiono per disidratazione in ospedale senza che ci sia stata una espressa volontà da parte della struttura? Forse si stava meglio quando si moriva a casa; quando l'anziano smetteva di mangiare e di bere perché dentro di sè capiva che era venuto il suo momento e moriva nella sua camera da letto con accanto le cose e le persone che gli erano più care.
Per esempio mia madre è morta sicuramente male, riportata in Pronto Soccorso due giorni dopo una dimissione (sbagliata) forzata da scarsità di posti letto (aveva avuto un infarto ed è rimasta 2 giorni in rianimazione e 2 giorni in cardiologia). E' morta con le sofferenze che chi sta molto male patisce nei Pronto Soccorso di tutta Italia (il freddo, l'abbandono, la nudità, …).
Ricordo un giovane medico che mi chiese cosa l'avessimo portata portata a fare che ebbe il pudore di stare zitto dopo aver visto che aveva 50 di massima. E' morta di notte, in rianimazione, da sola due ore dopo che i figli erano stati mandati a casa dicendo di stare tranquilli. Mi sono chiesto se non avessimo sbagliato a chiamare il 118 quella mattina. Sarebbe morta lo stesso, ma sarebbe morta meglio.
Si può lavorare per umanizzare gli ospedali, ma chi li frequenta, da parente o da paziente, anche per brevi periodi sa che chi sta nel letto non vede l'ora di andare altrove in un luogo non anonimo con a fianco le proprie cose e i propri affetti.
Proprio per tutte queste ragioni io penso che la cosa più opportuna sia difendere il diritto di scelta di chi lo esprime coscientemente. E' ben noto che la sofferenza fa cambiare idea, che la paura della morte esiste, che la paura di essere abbandonato dà angoscia. Per questa ragione chi deve gestire quei momenti è personale esperto che tranquillizzi ma non venda fumo e conversioni in nome della paura dell'ignoto.
Marino
Il Parlamento deve affrontare senza ideologia e senza arroganza la discussione sul testamento biologico. Gli italiani chiedono rispetto e meritano di essere ascoltati. Servirebbe un po' piu' di rispetto e un po' meno ideologia, piu' attenzione alla scienza e meno arroganza. Perche' tra pochi giorni il Parlamento dovra' votare sulla proposta di legge e temo che assisteremo a un pessimo spettacolo. Ma non e' su questo tema che si puo' ingaggiare una battaglia parlamentare come si fosse allo stadio, contando vincitori e vinti.
Occorre chiedersi se sia giusto utilizzare ogni terapia, anche quando e' evidente che non serve piu' o, addirittura, puo' servire solo a prolungare una agonia. Io credo che una legge amica della vita si debba basare su due principi complementari: rispetto per le scelte e liberta' dell'individuo basterebbe a questo scopo un solo articolo che, a proposito di nutrizione e idratazione artificiale, preveda che queste debbano sempre essere garantite per chi non le abbia esplicitamente rifiutate nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.
D'Agostino
La vera posta in gioco, però, non è come migliorare questo testo. Quello che è in gioco è un braccio di ferro bioetico tra "illuministi" e "realisti". Gli "illuministi" vedono la fine della vita umana posta sotto il segno di un’autodeterminazione lucida, serena, forte, coraggiosa, direi quasi "giovanile" e chiedono, in nome del rispetto per i diritti della persona, che la legge obblighi comunque i medici a rispettare l’autodeterminazione dei malati (indipendentemente dal fatto che possano essere o no malati terminali).
I "realisti" non negano, ovviamente, che l’autodeterminazione possa aver davvero rilievo in alcuni, rari casi, ma sono ben più attenti al dato di realtà, per il quale nella maggior parte dei casi la morte è evento senile, che si caratterizza per la fragilità, la debolezza, lo stato di paura e di assoluta dipendenza del morente. L’appello all’autodeterminazione, per i realisti, meriterebbe attenzione se non aprisse un varco inaccettabile all’abbandono terapeutico. I fautori della difesa ad oltranza dei diritti della persona non si rendono conto del fatto che, in buona sostanza, ne mettono a rischio il diritto più prezioso, quello alla vita. In questo consiste il loro (ingenuo?) "illuminismo".
Per convincersi di quanto sia concreto questo rischio basterebbe frequentare le corsie degli ospedali (l’hanno mai fatto i firmatari dell’appello sull’autodeterminazione?), in particolare di quelli che accolgono i malati terminali, i malati soli, gli "oldest old".
I morenti, gli anziani, gli abbandonati non sono illuministi; quello che davvero vogliono non è che si renda ossequio alla loro volontà, il più delle volte incerta, mutevole, dubbiosa; semplicemente non vogliono essere lasciati soli, vogliono essere "curati", cioè che ci si prenda cura di loro. Indurre i medici ad abbreviare la vita degli anziani, dei lungodegenti, dei malati terminali, vincolandoli a "rispettarne" lamenti, recriminazioni, richieste fatte in tempi lontani, esasperate da stati emotivi e carenti di adeguata informazione è un rischio che non possiamo correre e contro il quale il disegno di legge sul fine vita prende fermamente posizione, il che basta a renderlo apprezzabile.