duellanti – di Anto J. Mariani

Prendersela con uno dei duellanti non serve a niente …. Anche perché, spesso, prendere di petto qualcuno, comporta ricorrere ad invettive; quindi: frasi polemiche, concitate, acerbe, irridenti, talvolta non lontane da quell’aggressività tipicamente reazionaria, che è un misto di mediocrità e protervia.

Utilizzare il repertorio comunicativo dell’avversario è già una resa; dovremmo saperlo: le parole non sono semplici insiemi di fonemi, diventano un segno valoriale dell’esprimersi.

Nel post di ieri, ho cercato di unire i puntini che rivelano soprattutto chi dei due duellanti risulta il guastatore per eccellenza. Ma, mi son guardato bene dallo sparare giudizi inappellabili ad altezza uomo. Anche perché non dimentico il fatto che Machiavelli distingueva in due categorie gli uomini politici: ci sono gli impetuosi e ci sono i respettivi (quelli che procedono con cautela). E, pur dichiarando la sua preferenza – “io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo” – , riteneva, a ragione, che ci fosse bisogno degli uni e degli altri.

Dello stesso parere era Joseph Conrad: nel breve capolavoro “I duellanti” (portato magnificamente sullo schermo da Ridley Scott). Uno dei due duellanti è pugnace ed intrepido, detesta l’altro: lo ritiene un damerino, abile a ingraziarsi i superiori, ma inferiore a lui per capacità, iniziativa e coraggio; l’altro è un tipo posato, fiducioso nei suoi mezzi, lucido anche sotto il fuoco amico e nemico, ci tiene a far bene il suo dovere, ma senza alzare l’asticella più di tanto.

Caratterialmente così diversi, i duellanti seguitano ad affrontarsi, ma, verosimilmente dimenticano che, come sempre, il confronto è con se stessi: il nemico va ricercato innanzitutto e soprattutto entro noi e l'apparente dualità va ricomposta, cogliendo le cause del conflitto; solo dopo la composizione il duello finirà e le risonanze negative possono finalmente trasformarsi nel loro opposto.


ieri

L’attuale crisi di governo è la dimostrazione che, nei confronti della realtà, e’ in corso un distacco, non un distanziamento. Sì, perché c’è differenza tra il separarsi e l’allontanarsi da qualcosa: un muro divide e impedisce di vedere; invece, un posizionarsi ad una certa distanza permette di guardare (quindi, cogliere).

Per vedere se un dato oggetto sta bene in un ambiente non ci stiamo appresso, ci distanziamo di qualche metro. Una crisi come questa è la prova che si è eccessivamente presi dalla politica.

Quest’ultima è evidentemente importante e non deve essere per niente sottovalutata, ma non è che uno spicchio dell’umana esperienza. Se viene sopravvalutata, sopravviene il gusto di dividersi, di scendere in campo l’un verso l’altro armati, dando adito ad uno sguardo da tifoso, non da sportivo.

E così accade che certe persone sono talmente sicure di sé e della propria abilità che, paradossalmente, sentono la necessità di verificare incessantemente se tale supposta superiorità è riconosciuta dagli altri.

Non per niente, i primi della classe difficilmente riscuotono simpatia: presi come sono nel differenziarsi dagli altri, arrivano a non riconoscere che, ignorare lo stile, significa indebolire per almeno tre quarti il significato della propria azione.

La politica, alla stregua della filosofia, della psicoanalisi, ecc., è esperienza pensata, continuo ragionamento critico. Essa è una delle tante chiavi per una comprensione più piena del mondo e prevede un’attività di continua messa a punto, che fa leva sulla curiosità di vedere cosa può venirne fuori dal togliere le pieghe esistenti tra l’uno e l’altro.

Per comprendere meglio la differenza intercorrente tra distacco e distanziamento, raccomanderei di leggere un racconto di Robert Musil: “Percezioni finissime”. In quelle due pagine di uno straordinario nitore e tersa bellezza, un uomo s’innamora di una donna che non ha mai visto, e che sta nella stanza accanto alla sua, in albergo. A dimostrazione che, spesso, c’è distacco insanabile tra due persone conviventi e, invece, vicinanza tra individui distanziati.