#sollievo# di Antonio J. Mariani
Un tirar su, dal basso verso l’alto; un trovar conforto e pure liberazione; un passaggio, anche piccolo, da così a così.
Ecco, è consolante che il sollievo si manifesti (per esempio: svegliarsi dopo un incubo; ritrovare le chiavi o il telefonino).
Trovo sollievo, per esempio, quando, a furia di arrampicarmi, mi capita a tiro la parola appropriata da esprimere.
Provo sollievo, sapere che, al risveglio, c’è una fettina di torta di ciliegie in fianco alla scodella.
Provo sollievo quando, a qualcuno che se lo merita, mi viene voglia di dirgliene quattro nel modo più duro possibile e, invece, pur non rinunciando al rigore, scelgo di essere rispettoso.
Aggiungo che il sollievo prende quota quando, davanti ad una cosa che va storta, si fa strada il pensiero verso quel che mi aggrada: nell’attimo seguente non mi sento più così male.
E, di nuovo, provo sollievo quando salta l’esitazione e rivolgo una piccola frase, quella attesa, alla persona sconosciuta visibilmente in afflitto (qui il verbo compromettersi, in genere non esaltante, si riscatta).
Una volta, diciamo un secolo abbondante fa, salii in un’estate torrida su un treno vuoto e senza tempo più ancora che Il deserto dei Tartari e Aspettando Godot messi insieme: nello scorrere gli scompartimenti sgombri, notai una tipa con un fazzoletto in grembo pronto per gli occhi rossi.
Stavo già approdando alla carrozza successiva, ma tornai indietro e, facendo scorrere la porta: “sta a vedere che sono così fortunato da trovare posto in questo treno pieno come una scatola di sardine”. Che bello vederla singhiozzare dal ridere! Il problema ora era trovare una seconda frase. Accanto a lei c’era un libro letto: che sollievo!
“E’ un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
(Fabrizio De André/Ivano Fossati)
e dagli occhi cadere”.