come stai? bene grazie – di Antonio J. Mariani
E’ tra le domande più frequenti, in questi tempi di pandemia.
Quando me lo chiedono, di persona o al telefono, rispondo bene, con un tono di voce che include pure il contrario. E l’inizio di una conversazione avvincente, in genere, finisce nel pozzo delle parole inutili.
Per risultare meno sbrigativo, dovrei dire: “se veramente t’interessa sapere come sto, puoi – se ti va – dare un’occhiata a quel che scrivo ogni santo giorno su Fb”.
Sicuro come l’oro che otterrei quest’altra domanda: “che c’entra Facebook? A me preme sapere come stai di salute, come vai in generale, come ti butta, insomma?”.
Come se su Fb, dicendo la mia a proposito (direttamente o indirettamente) di argomenti di attualità, io non tendessi nel contempo ad esprimere implicitamente come la qual cosa fa presa su di me.
Mica scrivo per far piacere a Zuck o perché non so cosa farmene del mio tempo, oppure perché voglio specchiarmi in vetrina! Non di rado, dietro a quell’innocente “come stai?”, c’è principalmente un avvio di possibile dialogo che non mira tanto a comunicare con l’altro, ma ad intrattenersi per una manciata di tempo con l’interlocutore. Come se, dell’altro, già si avesse un’idea sufficientemente preconfezionata (e che c’è poco da aggiungere in quanto aggiornamento e, men che meno, in quanto possibile revisione).
Ci si è conosciuti, magari, vent’anni addietro e quell’impressione di allora vale in saecula saeculorum (preciso che, qui, il verbo conoscere include pure quel che s’intende in senso biblico).
Non so voi, ma, talmente sono appassionato a processare l’affacciarsi del divenire che, inevitabilmente, mi risulta naturale stabilire un rapporto dialettico tra quel che è stato e quel che sta avvenendo: cosicché l’impressione del passato non è in qualche cassetto, ma, il più delle volte, succede che sia lì, a far colazione con me.