parole – di Antonio J. Mariani

Stanare le parole che evitiamo di dire. Già mi ci sono soffermato; l’intento nei miei post è quello di sensibilizzare sensibilizzandomi.

M’interessa intrufolarmi nella varia e complessa rete di fattori in cui s’annidano le più disparate cause che portano al verificarsi di una determinata conseguenza.

Ieri, per esempio, mi premeva sottolineare che la ricerca smisurata della sicurezza concorre a far si che sia in crescendo l’inclinazione che porta ad un clima rivendicativo, dove il diritto è di gran lunga in vantaggio sul dovere.

Spesso le cause più disparate dipendono da parole improprie o da parole che si evitano di dire. Per esempio, non mi pare proprio che, nel comune interloquire, si faccia riferimento alla quantità di anni che uno, specie se maschio, presume (e spera) di aver davanti in quanto vitalità sessuale. E’ invece ricorrente il sottintendere un’inalterata e inarrestabile forza inebriante. Insomma, lo sguardo indulgente dei maschi verso se stessi non viene mai a mancare.

Talvolta, in coda a post scritti da donne, leggo imbarazzanti e ruvidi commenti maschili che mi portano a trattenermi dall’intervenire per dire: “ma tu, Ercolino sempre in piedi, davvero puoi far conto di quella vitalità che vai sbandierando?”.

Ecco, questo genere di domanda la farei a Donald Trump, se, per sbaglio, mi capitasse di partecipare ad una sua conferenza stampa. Domanda che non farei a Mick Jagger, anche se ha quattro anni in più, per il semplice fatto che il frontman dei Rolling Stones è arrivato ad una certa età soddisfacendosi briosamente attraverso il suo talento, il presidente a stelle e strisce, invece, è ancora lì ad impiegare un surplus di energie con l’intento di stravincere con foga sempre e comunque.


Tra le componenti che possono concorrere a determinare inquietudine, c’è sicuramente l’accresciuta tendenza a non voler correre rischi.

Per certi versi è naturalmente comprensibile ed è bene che sia così, perché può costituire una riprova di maturità, ma è innegabile che, in più casi, questa propensione ecceda. Evidentemente, è il terreno della salute su cui ciò si può primariamente verificare.

Specie prima della pandemia, al Pronto soccorso era facile imbattersi in persone che si trovavano lì per un nonnulla, che si autogiustificano con un “non si sa mai”.

Mi sa tanto che questi soggetti siano inclini ad affrontare gli eventi con scarsa obiettività, soprattutto non si fanno troppi scrupoli se questo modo di disporsi possa andare a scapito di altrui priorità e, conseguentemente, quanto questo procedere vada a pesare sulla collettività. Eppure, in ciascuno di noi dovrebbe essere presente un alfabeto di rimedi elementari per curare ferite, abrasioni, distorsioni di lieve entità che, inevitabilmente capitano a tutti; così pure, dovrebbe rientrare nel comune patrimonio di base saper alleggerire un momento di cedimento o di afflizione.

Non sono certo l’unico a cui è capitato di risultare una sorta di sciamano per aver consigliato un rimedio di buon senso a portata di chiunque; oppure, risultare un emulo di Piaget se, per favorire la digestione al neonato che strilla, hai buttato lì che, magari, un giretto con la carrozzina può tornar utile.

Ecco, pur conoscendo tutti rimedi del genere - così ci si augura - capita che, per essere sicuri al 100%, si ricorra dapprima al farmacista e, se proprio proprio, al Pronto soccorso. Perché, appunto, “non si sa mai”. Da questo tipo di andazzo, mi sono fatto l’idea che una certa dose della diffusa e sproporzionata componente rivendicativa, abbia radici anche in questo pretendere che, per ogni evenienza, ci sia pronta una figura preposta alla soluzione. E, se manca, apriti cielo.