la forza di Lorentz ne combina di tutti i colori

Il titolo del capitolo “la forza magnetica e le sue applicazioni” va compreso nella sua interezza; descrivere le caratteristiche della forza magnetica è abbastanza semplice, ma sono le svariatissime applicazioni di questa forza a farla da padrone e, non a caso, tra un paragrafo l’altro ci sono ben 27 esercizi abbastanza tosti e svolti in maniera dettagliata.

La forza magnetica nella forma della interazione tra correnti è stata scoperta e studiata da Ampere a inizio 800 nello stesso contesto in cui è nata l’idea di corrente elettrica. Il primo paragrafo è dedicato alla illustrazione di quel contesto storico e agli sviluppi che ne ha fatto l’elettrotecnica con la invenzione degli strumenti di misura a bobina mobile e dei motori a corrente continua. Sul piano delle applicazioni, esemplare il wattmetro, il misuratore della potenza elettrica dove interagiscono magneticamente due bobine una legata alla corrente e l’altra alla d.d.p.

Dopo i doverosi richiami alla storia si passa a questioni in cui il moto delle cariche elettriche si lega strettamente alla fisica moderna e alle sue evoluzioni.

La forza magnetica è di tipo trasversale rispetto al moto delle cariche ed ecco comparire cariche che si muovono su traiettorie circolari. Siamo nei primi decenni del 900 e sulle lastre fotografiche appaiono due particelle che si muovono su due circonferenze tangenti formando un otto. Una è un elettrone e l’altra che, si muove allo stesso modo ma in verso opposto, deve avere carica positiva; siamo in presenza della prima scoperta dell’antimateria.

Le cariche in moto in presenza di campi magnetici possono avere energie anche molto grandi, maggiori di mc2 e in questo caso i calcoli richiedono l’uso della teoria della relatività perché, man mano che l’energia cresce, quella che aumenta non è più la velocità ma la massa della particella. Alcuni esercizi svolti vi insegnano il da farsi.

Il percorso storico legato al 900 prosegue con la presentazione dettagliata dei lavori di J.J. Thomson che portarono, partendo dai raggi catodici, alla scoperta del carattere granulare della elettricità e alla necessità di ripensare l’intera struttura della materia; tutte cose realizzate usando campi elettrici incrociati con campi magnetici, tubi di vetro, pompe a vuoto e grandi capacità sperimentali.

Il successivo balzo in avanti riguarda la scoperta del primo acceleratore di particelle, il ciclotrone, che sfrutta una strana proprietà delle cariche in moto in un campo magnetico: fanno traiettorie circolare con un raggio sempre più ampio man mano che si fa crescere la loro energia ma, meraviglia delle meraviglie, impiegano sempre lo stesso tempo a fare un giro e così gli impulsi di campo elettrico possono essere dati sempre con lo stesso ritmo almeno finché non si entra nel dominio della relatività.

Quando mi sono iscritto a fisica nel 1965, di fianco all’istituto, era stato appena terminata la costruzione di un grande ciclotrone che ha funzionato sino agli anni 80: ferro, rame, tanta energia e tante piccole reazioni nucleari che, con pazienza i laureandi leggevano guardando pellicole fotografiche nel capannino, una baracca di fianco al capannone, dove stava il ciclotrone.

I ciclotroni sono stati superati quando c’è stato bisogno di energie sempre più grandi, ma ci ha pensato la medicina nucleare a farli tornare di moda: oggi si usano come generatori di proiettili  per tutte quelle applicazioni diagnostiche e terapeutiche in cui servono isotopi radioattivi s vita media così breve che occorre fabbricarseli in casa. Se vuoi usare la PET (tomografia ad emissione di positroni) ti serve un ciclotrone.

I ciclotroni nella ricerca sulle particelle e in quella sui costituenti ultimi dell’universo sono stati sostituiti da un’intera famiglia di acceleratori circolari, relativistici e sempre più grandi, i sincrotroni; acceleratori così grandi che i laboratori ormai dentro allo strumento e non viceversa.

Descrivo il più grande oggi esistente quello del CERN con il suo anello di 27 km a 100 m di profondità con i 4 laboratori messi in grandi caverne in 4 punti della circonferenze. I magneti, che devono produrre campi molto intensi, sono messi lungo l’intero anello stanno immersi in elio liquido a 2 kelvin (–271 °C) per poter funzionare in condizioni di superconduttività. Pensate alle complicazioni pratiche …

Al CERN, attualmente si fanno scontrare protoni e antiprotoni che hanno ormai raggiunto l’energia di una zanzara, ma la zanzara è grande un millimetro e invece i protoni sono mille miliardi di volte più piccoli. Ma la ricerca va avanti ed europei e cinesi pensano al prossimo step con un anello di 100 km che lavorerà ad energie più basse ma utilizzerà elettroni ed antielettroni che consentono di tagliare la materia molto meglio, perché, a differenza dei protoni che sono fatti di quark, gli elettroni sono genuinamente elementari.

Dopo avervi parlato degli acceleratori vi parlo di una macchina molto più semplice, lo spettrografo di massa, sempre basato su campi elettrici e magnetici incrociati che ci ha consentito di misurare le masse atomiche e di scoprire che, quasi tutti gli elementi, hanno uno o più fratelli con le stesse proprietà chimiche ma masse leggermente diverse: gli isotopi.

Infine una scoperta del tardo 800 ma che è diventata importantissima nel 900 per indagare la capacità dei solidi di condurre l’elettricità: l’effetto Hall.

Con questo effetto sempre basato sulle stranezze dei campi magnetici siamo stati in grado, elemento per elemento, di misurare quanti elettroni per ogni atomo vengono messi a disposizione per la conduzione e di scoprire che quella che è stata chiamata conduzione per buchi nei semiconduttori (si veda il capitolo 0505) esiste per davvero nella forma di buchi: a nuoversi sono in realtà sempre e solo gli elettroni, ma l’effetto globale, che danno è quello di un moto di cariche positive in verso contrario ed è l’effetto Hall a dimostrarlo in maniera inequivocabile.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0507