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1992-1999: di nuovo professore, ma allo Zucchi — 20 commenti

  1. Il liceo classico per me fu uno spartiacque, povero, figlio di poveri ostili allo studio; una scuola affrontata nell’ignoranza più totale del mondo, in mezzo a compagni di provenienza profondamente distante dalla mia (per la prima volta in pizzeria sentii ordinare un carpaccio, di cui non conoscevo neppure l’esistenza).
    Una scuola profondamente classista, dove vidi asfaltare chi era in difficoltà ma non aveva protezioni famigliari adeguate, ma una scuola in cui ho imparato, aperto la mente e fatto incontri decisivi.
    Ha ragione sui pericoli dell’insegnante con 18 ore al ginnasio, ma al sottoscritto per fortuna andò bene.
    Sulla Galbiati, ho rivalutato col tempo: l’episodio del Giudeo fu a mio avviso ingiusto, “t’a set propri un giudée” era infelice espressione dialettale, non sintomo di antisemitismo, ma ingenuamente molti ragazzi si schierarono ovviamente con il loro pari.
    All’occupazione fui tra i 5 firmatari, trascorsi 6 ore in presidenza fra rabbuffi melliflui e ricostruzioni dei fatti che non mi convincevano troppo: ebbi la sensazione di essere stato chiamato, con Samuele se non rammento male, come persona ragionevole e direttore di Bartolomeo.
    Forse qualche prof aveva perso un po’ la brocca, non ci si aspettava un’occupazione nell’austero Zucchi; qualche ragazzo pure ebbe comportamenti pericolosi. il clima era teso.
    Mangiai la foglia, gettare benzina sul fuoco non avrebbe fatto bene a nessuno.
    in quei giorni conobbi appunto Samuele, anche se non bene. Walter era a me ignoto.
    Ricordo il viaggio in auto quella domenica per ritrovarsi tutti insieme, ricordo il mattino dopo insostenibile a scuola. Per anni mi sono sognato quella tragica notte quando si avvicinava l’anniversario, fu un episodio dolorosissimo.
    Non conosco il mondo di adulti a cui allude, solo qualche docente che forse sbagliò qualche valutazione.
    Da direttore, feci uscire un Bartolomeo con la copertina bianca e un mio editoriale molto sofferto. Oggi avrei probabilmente vergogna a rileggerlo, alla maturità uscì una traccia che faceva riferimento a quanto accaduto anche se non in maniera esplicita: avrei potuto ricopiare a braccio quanto avevo già scritto, so che qualche compagno fece quel tema, io non me la sentii. Mi sembrava di lucrare e feci un mediocre tema di storia
    Su Bartolomeo, giornale inviso a Galbiati e alcuni docenti, ma che era bello anche per questo, guadagnato fino all’ultimo centesimo (oggi è istituzionalizzato), ricordo di aver dato il via libera a E-Bart: l’idea era di Rota, e io poco ci capivo dal punto di vista tecnico, ma intuivo che era il futuro, anche se continuo a prediligere la carta e nessuno credo abbia mai davvero letto quel Bartolomeo digitalizzato

    • I nomi e cognomi li ho messi nell’esposto alla procura. Il fatto che sapessero me lo hanno confermato loro stessi (genitori e professori) in un confronto drammatico a casa di Ilaria Penati. E alla domanda su come mai non ci avessero informato, una genitrice mi rispose in maniera sprezzante dicendo, in sostanza, che ero un traditore e che non valeva la pena di parlare con quelli come me. Ricordo ancora la reazione del padre di Ilaria che voleva sbatterli fuori di casa a calci nel sedere. Naturalmente di tutto ciò informammo i genitori di Walter che erano stati tenuti completamente all’oscuro.

  2. Triste vicenda quella dei due studenti….
    Purtroppo anche io ho avuto un’esperienza simile. Era una studentessa, ma non della mia classe. Si gettò dall’ultimo piano del Bianciardi di Grosseto e volò nel cortile cadendo davanti alla finestra della mia classe.
    Era pomeriggio, ed ero l’unico insegnate che faceva ancora lezione. Corsi di Sotto per le scale. Arrivai che era ancora viva e cosciente, ma completamente disarticolata.
    Le chiesi come si chiamava, lei mi disse di lasciarla in pace. Provai ancora, e lei mi disse il suo nome. Poi esalò l’ultimo respiro. Quando arrivò l’ambulanza, pochi minuti dopo, forse 5, non potè che constatare la morte.
    Mi rimase la sua immagine per mesi davanti agli occhi, e anche adesso. Mi scolvolse quel “lasciami in pace” che mi fece pensare se fosse stato più opportuno, a questo punto, arrivare qualche minuto dopo. Ma non avevo capito subito la portata del gesto, non ci avevo nemmeno pensato.
    Quando salimmo con la polizia nell’aula da dove si era lanciata, trovammo una cartella su una sedia e un quadernone di appunti aperto sul banco. Era là da sola. Sulla soglia di travertino bianco della finestra c’erano le inequivocabili impronte delle scarpe, segno che era salita in piedi sul davanzale.
    Circa un’ora dopo arrivò il padre. Era sconvolto, e lo sentivo urlare e sbraitare nel corridoio, ma non lo vidi. All’uscita, aveva parcheggiato la macchia, un grosso suv bianco, addirittura con le ruote sopra la scalinata, come se avesse voluto entrare nella scuola con tutta la macchina, senza farcela completamente. Poi andò con la polizia. La scuola rimase vuota, con la macchina sulla scalinata, ed una ruota alzata, quasi stesse per cadere di sotto anche lei.

  3. Buongiorno Professor Cereda,
    io l'ho avuta solo un anno, il suo primo anno allo Zucchi e la mia prima Liceo.
    Io passai da avere 8 in matematica ad avere 4 in matematica e fisica.
    Mi bocciaste, anche per le lacune nelle altre materie.
    Meglio, perché così potei andare in una sezione per me migliore (la B) dove ho potuto esprimermi e sbocciare.
    Ho fatto lo Zucchi obbligata a farlo, ora che sono adulta ritengo di aver avuto una esperienza migliore di molte altre scuole che avrei preferito fare, ma in sostanza lavorai sempre al ribasso, per la sufficienza, ed ancora oggi non so una sola parola di greco.
    Alla maturità presi 37, felicissima perché puntavo al 36; portai matematica come prima materia, e fu l’unica ad andare bene, latino scena muta e per gli scritti non so come ringraziare quella studentessa davanti a me che mi passò tutta la versione di Greco.
    Ora ho una vita piena, un marito, una figlia, un buon lavoro appagante.
    Oggi per caso ho trovato il Suo blog e ho letto questa Sua memoria dello Zucchi dei miei anni.
    Ho avuto i brividi e le lacrime dall'inizio alla fine.
    Anche se non ho apprezzato come altri il suo metodo di insegnamento e le simpatie poliche della sezione F, mi ritrovo a leggerLa e a commuovermi.
    Grazie per avermi fatto rivivere i miei anni del Liceo.
    Le auguro ogni bene,
    Marta

  4. Salve Prof. Di quegli anni ricordo un pirla affibiatomi sul loggiato dopo un'interrogazione a sorpresa e un pomeriggio rubatole nel parcheggio del Gigante di Villasanta per aiutarmi a preparare un'imminente verifica.
    Ho sempre voluto sperare che questi, come altri episodi che non cito per necessitá di sintesi, rappresentassero una stima (ovviamente ricambiata) e, in virtù della stessa, il desiderio di destarmi dalla mia innata pigrizia. Non che le sia riuscito, ma certo lei è stato uno degli esempi più alti di cosa voglia dire essere un INSEGNANTE. Non era l'unico di quegli anni ma non eravate tanti.
    Mentre scrivo mi vengono in mente altri aneddoti e altre qualitá per cui potrei complimentarmi, ma non voglio dilungarmi, quindi – – – – – – – – – – – – ⭕- – – – – – – – – e si passa ad un altro argomento

  5. Ho frequentato lo Zucchi in quel periodo e senza dubbio sono stati gli anni più divertenti della mia formazione scolastica.
    Però… da orgoglioso studente prima e da diplomato poi, il mio giudizio sullo Zucchi è andato in generale cambiando negli anni, soprattutto dopo la fine dell’università.
    Troppo sostenuto l’ambiente per quello che era in realtà, sia per quanto riguarda gli studenti che per quanto riguarda i professori. Ovviamente, le eccezioni non mancano e sono numerose: lei è una di queste.
    Una persona capace di mostrare come si possa avere un’opinione (condivisibile o meno) e sostenerla senza doversi rifare a concetti come autorità, età, esperienze e cose del genere.
    Ricordo una sua frase che ben riassume il concetto: “se vuoi darmi dello stronzo, dimostrami che sono stronzo altrimenti cerchi solo una scusa”. Puro Cereda. Per me, lei è stato un insegnante prima ancora che professore; una persona (fra le due o tre che ho incontrato fino ad ora) che mi hanno fatto vedere “perché e come si fa” e non “che è così”.
    Una differenza non trascurabile e con risvolti non da poco, a maggior ragione in un contesto del genere. Non l’ho mai ringraziata per questo. Lo faccio ora, più di vent’anni dopo.
    Potrei raccontare molti aneddoti ma concludo con un ricordo del quale rido ancora: una mattina della mia V ginnasio, all’uscita da scuola, cazzeggiavo con Giuliano Paterniti per piazza Trento e Trieste quando vedemmo una Harley con motore Aermacchi parcheggiata. Ci avvicinammo da un lato. “Oh hai visto ‘sta moto? Chissà chi è lo s****o che ce l’ha!” Senza dire nulla, sbucò fuori lei dall’altro lato della moto, rialzandosi dopo averla slegata.
    L’anno dopo venni smistato e finii per averla come professore.

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