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1992-1999: di nuovo professore, ma allo Zucchi — 20 commenti

  1. Ho frequentato lo Zucchi dal 1994/95.
    Oggi, come insegnante, ho un debito di riconoscenza per molti di coloro che furono i miei insegnanti. Non ultimo il prof. Cereda: non ero una cima in matematica e fisica, ma mi affascinava il fatto che le sue scelte avessero una forte attenzione alla realtà personale di ciascuno e all'aspetto formativo, non nozionistico, della didattica. Grazie!

  2. Chi mi conosce lo sa bene, ho sempre avuto parecchi problemi ad accettare l’autorità.
    Pensi che ho preferito creare un’azienda piuttosto che lavorare per qualcuno. Però in quegli anni quel rifiuto si sommava alla forza ribelle dell’adolescenza e per me era veramente impossibile accettare il fatto che qualcuno, così distante da quella realtà che pulsava fuori da quel cancello, potesse condizionare il mio tempo o i miei stati d’animo.
    Poi un giorno lei scelse di venire a insegnare in A e divenne il mio primo esempio da seguire fuori dall’ambito familiare, una delle persone da ascoltare con attenzione, perché senza dubbio aveva molto da insegnare, oltre la matematica, la fisica e le parametriche.
    Ho molti ricordi ma uno che custodisco gelosamente: una sera dopo un consiglio di istituto quando ero rappresentante e ne avevo combinata una delle mie mi disse: “tu hai la stoffa del leader e con quello ci sei nato, ma un leader senza preparazione fa solo danni”, è qualcosa a cui cerco di rimediare ogni giorno, peccato che che nessuno dei nostri attuali politici la abbia avuta come professore.
    Un forte abbraccio da Madrid.

    • Grazie Luca, il bello della autobiografia è che chi legge tira fuori episodi che non ci si ricordava. Confermo il giudizio sui leader che, per essere davvero tali, devono sapersi piegare alla fatica dello studio sistematico. Non bastano nè l’intuizione nè il carisma.

  3. Il 1995 fu un anno terribile.
    Ho sognato spesso quanto accadde con Walter e Samu, fu uno choc per noi ragazzi; ricordo la corsa in macchina a casa di uno di noi che aveva trascorso quella sera con loro.
    E la mattina dopo in classe in un clima surreale.
    Dirigevo il giornalino dello Zucchi, allora, decisi di uscire a tutti i costi col numero di quel mese (la Galbiati non voleva, ma all'epoca il giornale era fatto e pagato solo dai ragazzi). Feci fare una copertina completamente bianca. E scrissi un editoriale che mi costo' parecchio.
    Alla Maturita', usci' una traccia che sembrava concepita proprio su quell'evento. Non me la sentii, mi sembrava di specularci e optai per un tema di storia raffazzonato. Anche se scoprii che piu' di un compagno aveva fatto quel tema prendendo spunto proprio dal mio editoriale. O almeno questo mi fu detto.
    Abbastanza d'accordo, ma non su tutto, sulla sua ricostruzione di quegli anni. All'epoca avevo contestato anche io la Galbiati, il caso Frediani su tutto. Ma credo che avesse ragione Lei, prof.
    Fu molto montato, lo compresi piu' tardi e la Galbiati non era razzista. Proteggeva pero' un certo establishment, una scuola profondamente classista e con docenti, sparsi in diverse sezioni, a volte indecorosi, anche per preparazione.
    Io sono sicuramente un mediocre, ma ho (avevo) una certa lucidita' propria di chi viene dai bassifondi e potrei stare ore a spiegarle perché.
    Mi sarebbe piaciuto averla come docente, credo sarebbe stato stimolante, anche perche' di Lei ricordo solo le 6 ore trascorse in presidenza dopo i fatti dell'occupazione (ero fra i 5 firmatari del documento con cui si annunciava l'occupazione). Ma questa e' un'altra storia.
     

    • Sarebbe interessante avere e pubblicare quell’editoriale. In rete ho trovato solo due articoli di Repubblica uno sul fatto e l’altro di intervista agli amici.

  4. Una cosa però mi accomuna agli altri studenti che hanno scritto qui, ed è la gratitudine verso di lei per essere stato uno dei migliori insegnanti (non solo di Fisica e Matematica) che mi sia mai capitato di incontrare.
    Ho mille ricordi di quegli anni allo Zucchi, non tutti necessariamente positivi. Non mi si fraintenda, lo Zucchi "mi ha aperto la mente" e in questo ha tenuto fede al famoso detto sul liceo Classico. Non rimpiango di aver studiato Latino, Greco e Filosofia, specialmente ora che l'"inutilità" di queste materie viene sbandierata ai quattro venti da pseudo-innovatori che valutano la cultura al kilo.
    Una cosa però mi ha sempre infastidito di noi "fighetti" di Piazza Trento Trieste: quella posa da Crociani di bassa lega, quell'attitudine a snobbare le materie scientifiche come vile "techne" che non ha nulla a che vedere con la "vera" cultura dei classici e dei "sommi poeti" e altre baggianate di questo tipo.
    Ecco a me quest'atteggiamento ha sempre fatto girare i c…i, tanto per dirla da contessa:-). Poi in prima Liceo è arrivato Lei. Sempre un pò incazzoso (come qualcuno qui l'ha ben descritto) sempre in blue-jeans, con il suo intercalare dialettale  (fa balà l'ouch!) che faceva tremare le pareti del tempio della "Crusca" e con la ferma convinzione che il muro fra le "due culture" fosse da abbattere e subito!
    Cereda è stato per me il Feynman italiano: mi ha insegnato che la matematica e la fisica non appiattiscono il mondo, non fanno a pezzi la poesia, come qualcuno sosteneva, ma ne danno una visione più completa e affascinante.  Ora vivo negli States dove insegno Italiano all'università e ho scritto una tesi di dottorato sul rapporto tra letteratura e fisica. Il mio idolo: Cicerone?? No, Niels Bohr!
    Grazie Professore!! Un abbraccio,
    P.S. Non mi sono mai dimenticata l'espressione "Spocchiosa, aristocratica di sinistra" con cui lei mi aveva battezzato. Forse lo sono ancora. P.P.S. Ho ancora quella cassetta di canti popolari, anarchici e del lavoro che mi aveva registrato: "La casa è di chi l'abita è vile chi lo ignora, il tempo è dei filosofi, la terra di chi la lavora"!

  5. ho fatto fisica, ok, sono stata sua studente (anche se solo per un anno), ma non mi sarei aspettata un invito "diretto".
    Forse mi ricorda in quanto un po' "rompiballe" (parola che penso mi rappresenti meglio del semplice "analitica"), e quindi immaginava avrei avuto qualche commento. Forse perché per me l'insegnamento è passato sempre attraverso un rapporto fortissimo con l'insegnante per prima cosa, e poi con gli strumenti di lavoro. Forse perché ho sempre cercato questo rapporto con lei, sia quando lei era il mio professore, sia dopo.
    "Passione per la vita, per la scienza e la cultura." Questo per me ha sempre motivato la mia presenza a scuola, e le mie scelte successive. Non so come si trasmettano; ma so quanto possano essere potenti, e quanto l'assenza di passione possa far sentire "vuoti".
    Per me leggere le sue verifiche e seguire le sue lezioni nell'anno in cui fui sua alunna fu emozionante, perché mi mostrava un modo completamente diverso di fare matematica, che nessuno prima (e purtroppo neppure dopo, fino a che non arrivai a studiare analisi matematica) mi aveva mai mostrato. D'un tratto la matematica era interessante; le sue erano verifiche in cui era richiesto di pensare, non di eseguire istruzioni. Ho sempre odiato la matematica prima di conoscerla; dopo aver fatto un anno con lei, non avrei più potuto dire la stessa cosa. (Tutt'ora siamo in buoni rapporti, anche se l'amore non è mai sbocciato davvero.)
    Quello che avevo imparato da lei mi diede anche un po' sui nervi, diverse volte. Mi aveva mostrato come ciò che mi piaceva in altre materie (l'analisi come base per la comprensione del testo, sia in latino, greco o in italiano, per fare un esempio) era anche alla base della matematica – e che quindi, se non riuscivo a farla era "colpa mia", non stavo analizzando appieno il problema. Non potevo più nascondermi dietro alla scusa "non sono portata per questa materia". Gli errori di segno in un'equazione, erano solo il sintomo di quanto fossi stata pirla.
    Passione per le cose che ti trascina a guardarle sempre con un occhio diverso, a rianalizzare, a non "sederti" mai – e l'inconsistenza delle scuse dietro cui ci si nasconde quando invece "ci si siede" – sono forse le cose che più ho imparato dalla mia esperienza, con lei e con altri. "Come fa a sbattersi così alla sua età?" era quello che molti noi studenti ci chiedevamo (aveva già passato i 50 quando la conobbi, un'età che per un 14enne è un chiaro sintomo di "matusaggine"). E c'era chi la stimava per questo suo atteggiamento.
    Non è stato il mio professore di fisica – il mio amore per la fisica è nato fuori dalla scuola, prima ancora che iniziassi a studiarla in classe, per caso. Gli anni del liceo sono stati quelli in cui le grosse passioni della mia vita sono venute a galla. Passioni che ancora mi plasmano, e che nel periodo peggiore della mia vita ero convinta di aver perso, convincendomi così di aver perso contro la vita stessa. Con passioni così grosse, non ci si può nascondere dietro a nessuna scusa, e recuperarle è stato un percorso difficilissimo e necessario.
    Ora conosco la fatica di vivere all'estero (o in generale, di trasferirsi in posti dove non si conosce nessuno, a volte neppure la lingua), le relazioni a distanza e le incomprensioni, le difficoltà del dottorato, del fare i conti con le proprie scelte senza rimpiangerle, quanto costi cercare di capire cos'è che si vuole fare, cos'è che ci fa star bene davvero, volta per volta.
    Continuo ad innamorarmi delle cose, non leggo mai tutti gli articoli che vorrei leggere, non riesco a suonare tutta la musica che vorrei suonare, e ho sempre progetti incompiuti e libri non scritti in testa. Sono ancora incapace di sintesi quando scrivo (anche se nei testi scientifici ho fatto miglioramenti incredibili). Sono me stessa e sono diversa. Continuo a stimarla per le cose che fa e per come le fa. La stimo per aver scritto che "si gasa" leggendo le lettere degli alunni. 
     

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