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1974-1976: QdL – la grande avventura — 17 commenti

  1. Ricordo che contribuii ad un inserto sull’Università. Poi, siccome avevo una macchina grande una notte mi facero fare una consegna credo a Venezia. Era inverno, una nebbia incredibile, andavo da 60 km/h intorno alle 4 o 5 del mattino. A un certo punto vidi davanti a me emergere dalla nebbia un’auto che aveva colpito la barriera in un tratto di scambio corsie, ero talmente terrorizzato dalla nebbia che tirai dritto, d’altra parte avrei potuto fare ben poco non avendo alcuna esperienza di soccorso. Non c’erano i cellulari e non potevo neanche avvertire la polizia stradale, però pochi chilometri dopo incrocia la Stradale a sirene spiegate che evidentemente stava raggiungendo il luogo dell’incidente. Mi rifiutai di fare altre consegne, non ne avevo il coraggio …

  2. Un caro amico mi ha segnalato qualche giorno fa questo tuo scritto. Mi è piaciuto molto e ti ringrazio per aver ricordato così bene la "grande avventura" (la piantina della redazione è "toccante"). Io cominciai al Qdl come addetto alla distribuzione del giornale, poi entrai in redazione dove nacque quell'idea, molto particolare, della cronaca cittadina milanese applicata ad un quotidiano "rivoluzionario". Per quei tempi, e per un giorale come il Qdl, un'assoluta novità. Poi la vita ci ha portato ognuno per la sua strada ma è bello, a distanza di tanti anni, che tu abbia sentito l'esigenza di scriverne.
    P.S. Ho letto che Gigi Gerosa si chiede che fine ho fatto. Eccomi qui ! Anche a me piacerebbe rivederti(vi)

    • caro Mario, ci sono tanti compagni (di quelli veri) che ti rivedrebbero volentieri. Comincia aguardare i miei amici su FB e da lì ricostruisci relazioni. Ma sei a Firenze? In quel caso ci si vede presto. Ciao

  3. PROCESSO ALLA BANDA DEI TRE?
    Sulla espulsione (o radiazione) di tre compagni di AO nel 1975
    1.
    Parto dalla testimonianza di Cereda: «nel corso del 75 avvenne quella che reputo una grande ingiustizia, da parte del gruppo dirigente alto, la supersegreteria (Oskian, Vinci, Gorla). Furono espulsi con ignominia due compagni che avevano curato il finanziamento e l'amministrazione e che avevano osato mettere in discussione talune scelte: erano Flavio Crippa e Pietro Spotti, due cari amici di vecchissima data, due persone pulite e serie che avevano osato chiedere dei chiarimenti ed osservare che una parte del danaro ricavato da compagni che si erano venduti le case, era stato speso malamente».(Va aggiunto, come è stato fatto rilevare, un terzo, Maurizio Bertasi)
    E riassumo i dati certi finora così: i tre chiesero conto (anzi: chiesero chiarimenti) su spese che ritenevano non giustificate o sbagliate («si trattava di rilievi relativi all’acquisto della tipografia»); la «supersegreteria», invece di fornire chiarimenti, li mise sotto accusa; e li fece espellere (dal Comitato Centrale) «con ignominia» o, come Maurilio Riva ha ora precisato, li radiò (capitò nel '68 anche a quelli de “il manifesto” che erano nel PCI); e «al termine del periodo di radiazione [quando? e dalla stessa «supersegreteria»?] furono riammessi; solo pochi (Calamida e i due fratelli Molinari) li difesero, contrastando nel Comitato centrale, pur da una posizione sfavorevole e già in partenza vissuta come perdente («Sapevamo che saremmo stati sconfitti», Calamida), la decisione della «supersegreteria».
    2.
    Marx diceva che gli uomini fanno la storia senza saperlo. Domanda: “noi di AO” che storia abbiamo fatto senza saperlo? E che senso dare a questo episodio nella storia (purtroppo ancora non scritta) di AO? Dove, cioè, collocarlo? Nella cornice psicologica che ci fa vedere le miserie *umane, troppo umane* dei singoli individui? Oppure nella catena di atti e scelte *politiche* che portarono alla spaccatura di AO e alla dispersione di un patrimonio socio-politico, notevole soprattutto a Milano e dintorni, di relazioni costruttive? (Altro che soltanto di un *sogno*!).
    3.
    Ragionandoci su, se optiamo per la prima ipotesi, ci possiamo chiedere: ma quale poi fu la vera o presunta “colpa” dei tre compagni (Spotti, Crippa, Bertasi)? Nessuna. E potremmo concludere che si trattò di un equivoco o di un difetto di comunicazione o dell’emergere incontrollato del “lato oscuro” e insondabile dell’anima umana, ecc.
    4. Se scegliamo invece di valutare la cosa su un piano storico-politico, il discorso mi pare più drammatico, perché FORSE fu attraverso atti come questi che si avviò la disgregazione di AO e quella nostra esperienza, che aveva una chiara matrice di sinistra, “nuova” o “rivoluzionaria”, o comunque abbastanza anticapitalista, fini (ingloriosamente secondo me). E tutti finimmo nelle secche di esperienze che con quella matrice non avevano più nulla a che fare (fossero quelle di DP o di quanti rientrarono nel PCI o di quelli che andarono altrove o rifluirono nel “privato”).
    5.
    Calamida e Cereda tendono a spiegare quel dramma (e quella “miseria”) con il condizionamento (che pesava su tutti) dell’ideologia. Come per il PCI, l’«unita del partito» – dice Calamida – allora « era un vero e proprio totem». Un atto, che metteva in discussione l’autorità del segretario, l’avrebbe incrinata e sarebbe stato considerato «di per sé un tradimento». Sarebbe stato il modello leninista che, dunque, ci dominava e annebbiava. E anche Marina Massenz, in un suo intervento, pare non avere oggi alcun dubbio, se ha scritto: «il pensiero politico che c'era dietro [l’esperienza di AO] era errato, sarebbe meglio dirselo una volta per tutte;[…] Il partito del centralismo democratico di matrice bolscevica è stato una concettualizzazione errata, la cui pratica ha avuto esiti disgraziati» .
    6.
    A me viene da obbiettare: ma chiedere chiarimenti o, più concretamente, esprimere dubbi su spese considerate opinabili o non giustificate (e poi fatte da chi? dalla «supersegreteria» in blocco o dal solo segretario Oskian? questo ancora oggi non si capisce…) metteva davvero in discussione «l’autorità del segretario» o della «supersegreteria»? Certo «chi non visse quei tempi forse non può capire cosa implicò quello scontro» (Calamida) specie sul piano emotivo. Ma, allora, bisognerebbe farsi un’altra domanda: la dialettica democratica interna (prevista dal modello leninista di partito!) s’era già, in quel 1975, così bloccata che ormai solo un’esigua minoranza (Calamida, Molinari e forse altri) osavano dissentire?
    7.
    In un precedente commento ho già fatto notare a Cereda, il quale aveva scritto: « furono passati per le armi in senso metaforico; carogne, traditori, controrivoluzionari, nella miglior tradizione della storia del comunismo siamo rimasti zitti», che la migliore tradizione comunista era un'altra: quella di chi difendeva la verità. «La verità è rivoluzionaria» era allora uno slogan serio, non ancora censurato o deriso. E, nell’AO di quell’anno 1975, a difendere la verità e a dar prova della miglior tradizione della storia del comunismo» furono, se la testimonianza di Calamida è, come penso, attendibile, proprio Calamida e i due Molinari. Dunque, quella scelta di espulsione o radiazione non poteva essere presentata (allora e neppure adesso, secondo me) «una conseguenza diretta del nostro leninismo messo alla prova dei fatti» (Cereda). Semmai fu una sua negazione. Che doveva allarmare e mettere sul chi va là. (E si pensi poi che AO si professava antistalinista e da molti era ritenuta addirittura trotzkista).
    8.
    Aggiungerei che quel modello leninista non venne sempre e da tutti applicato alla lettera o in modi scolastici. Ed era, a pensarci bene, *corretto* dal modello luxemburghiano. Cos’erano, infatti, i CUB, i contenitori delle “avanguardie di massa”, se non un tentativo (magari eclettico e fragile) di correzione di un leninismo “duro e puro” o elitario e decisionista? Anzi io ritengo che, solo quando si rinunciò a questa “quadratura del cerchio” e prevalse la linea della confluenza nel Pdup (e poi nel PCI) arrivò la fine certa della nostra esperienza. Solo allora si finì per ricalcare le orme del Padre PCI, prima contestato e poi rivalutato o abbracciato da tanti figliul prodighi.
    9.
    Non credo, perciò, che quella faccenda dell’espulsione o della radiazione sia rubricabile alla voce “miserie umane” o che fosse dovuta ad una applicazione rigida e scolastica del modello leninista. E affaccio un’altra ipotesi – che può essere smentita o confermata o corretta: che quell’episodio rientrasse già nello strisciante processo di scissione avviatosi non so da quando a nostra ( dei militanti e anche di molti dirigenti)
    Insaputa. Me lo fa pensare l’accenno di Calamida alla «personalizzazione della politica» e all’«accentramento dei poteri». E posso anche pensare che, come rimedio più o meno “emergenziale”, la «supersegreteria» (?) sopperisse con una stretta elitaria dell’organizzazione, già presentendo che tutto stesse colando a picco.
    10.
    Se il contesto interno era già di questo tipo, allora l’episodio dell’espulsione o radiazione potrebbe essere letto come uno degli anelli della catena che poi portò alla spaccatura di AO. Detto altrimenti – e al momento ancora con tutto il rispetto sia per gli “inquisiti” (Spotti, Crippa e Bertasi) e sia gli “inquisitori” (la «supersegreteria»? o il solo Oskian?), ci sarebbero due domande a cui qualcuno più informato o che ha riflettuto di più dovrebbe dare risposta: – in quel 1975 i primi agivano del tutto “ingenuamente” o “da soli” ed erano preoccupati soltanto per quel singolo episodio circoscritto? O avevano già altri elementi (e persino un “secondo fine") nel sollevare la questione, mirando davvero a mettere in discussione «l’autorità del segretario» o della «supersegreteria»? E questa, nel trattarli come emissari di un’”altra linea”, reagì malamente di fronte ad una minaccia in parte reale o no?
    11.
    Non credo, cioè, che la reazione della «supersegreteria» fosse dovuta solo a tracotanza o fosse una mossa compiuta soltanto «per affermare l’esercizio di un potere» in modo astratto, « imponendo qualcosa [cioè persino una decisione sbagliata?] solo in funzione del potere stesso»; e quindi ormai solo per il “gusto di comandare”; e, dunque, indipendentemente dall’accertamento di una verità di fatto, empirica, come pare si possa intendere dalla testimonianza di Calamida.
    12.
    C’è poi il problema del silenzio, dell’incertezza o della paura degli altri che non intervennero, finendo per accettare, come scrive (con troppa enfasi?) Cereda, che «si passasse come degli schiacciasassi sul corpo e l’anima di due [tre in effetti] compagni validi e fedelissimi (tanto è vero che erano incaricati di seguire questioni delicate come finanziamento e amministrazione)». O, come dice Rino, che preferirono «una furbesca quanto imbelle non alzata di mano sulla risoluzione di radiazione dei tre (3, di numero!) processati». Anche questo "silenzio" andrebbe interrogato più a fondo. No, non ricorrerei alla psicologia dei singoli. Né evocherei fantasmi da storia della Chiesa cattolica («processo alla streghe»; «ricerca liturgica del capro espiatorio» «Santa Inquisizione», «eretici»).
    13.
    Insomma, c’era o non c’era già allora in AO lo scontro tra le “due linee” che portò poi alla fine della nostra esperienza? C’era o non c’era qualcosa che potesse somigliare a quell’ «indimostrato complotto, addirittura tramato nel campo revisionista, ai danni del nostro quotidiano»(Riva)? E, comunque, non vorrei concludere amaramente e disperatamente con l’andante “ tali padri tali figli”: «Ci eravamo incamminati sullo stesso tragitto, compiendo gli stessi errori – da noi criticati – commessi da quelli che erano venuti prima e non lo sapevamo. Volevamo cambiare la fisionomia al mondo ma non riuscivamo a modificare in noi ciò che il mondo aveva storicamente e stolidamente prodotto» (Riva).
    14.
    Marina Massenz ha anche scritto: « questa storia ci pesa e non è stata digerita. Personalmente mi agito molto e anche un po' mi angoscio in questa discussione. Colpe vere e proprie non riesco a darmene, tranne la mia ingenuità». Io penso, con Fortini, che bisogna uscire «di pianto in ragione». E perciò mi manterrei sul piano storico-politico. Ed eviterei perciò una visione tutta *inter nos* (“noi di AO” di allora o ex di oggi).
    Da valutare, ad es., resta l’intero contesto politico, che si divaricava e portava alla nascita del compromesso storico e (non certo a caso) di Autonomia e poi delle BR. Per me, DP da una parte e la confluenza nel Pdup (anticamera del PCI) dall’altra furono anche forme di fuga dai problemi ormai feroci posti dalla crisi. Ma di questo in altra occasione.

    • Cerco di dire la mia usando come scheletro l’intervento di Ennio
      1.
      Avevo rimosso la presenza di Maurizio; confermo che i tre erano gli incaricati di seguire la partita del finanziamento; se non erro furono radiati i due che rimasero zitti (Crippa e Bertasi) mentre Spotti fu espulso
      Non ricordo di aver assistito ad alcuna riunione formale; di sicuro niente alla presenza degli interessati. Al CC non ero presente, ma comunque mi accontentai come il primo degli ingenui.
      2.
      L’episodio lo colloco insieme ad altri nella fase del volontarismo spinto. Non ha a che fare con la rottura politica successiva. Stringevamo i denti convinti che bastasse farlo per farcela; e nello stringere i denti abbassavamo la testa. C’era chi accettava di essere spedito a Napoli, a Palermo o a Firenze; chi si licenziava, chi regalava alla organizzazione tutti i suoi beni, …
      Eravamo comunisti e leninisti e la storia del comunismo, anche di quello che ci piaceva, è piena di tragedie del genere (ma più gravi), di atti di volontarismo rubricati come eroismo, compresa gente che si è fatta fucilare dal partito gridando viva il partito, viva il comunismo
      Sono in attesa che mi consegnino i Senzamao di Corvisieri e sono curioso di leggere cosa dice della sua decisione di andar via dal giornale; anche di quello non si discusse e il periodo è lo stesso.
      3.
      vedi punto 2
      4.
      La disgregazione di AO è statta accelerata dall’attacco preparato in segreto e poi iniziato in segreteria alla segreteria di Oskian condotto, a freddo da parte di Vinci, con una richiesta di dimissioni nella primavera del 96; qui siamo alla fine del 95
      Ho detto accelerata perché tutta la sinistra rivoluzionaria era in crisi attanagliata tra scelte incompatibili (ragionare politicamente accelerando l’unità nella sinistra rivoluzionaria, proseguire con il volontarismo, sciogliersi nella contrapposizione sociale).
      5.
      Confermo che l’episodio è figlio di un mix di ideologia e volontarismo. Si accettava che di certe cose si occupassero compagni fidati dipendenti dalla supersegreteria. Loro sapevano i dettagli e noi, anche al vertice accettavamo ciò che ci veniva detto.
      Spotti, che è un brianzolo tosto non accettò di tacere e fu trattato peggio degli altri
      6.
      Si metteva in discussione la gestione dei soldi. Lo facevano persone che si occupavano di raccoglierli e a cui non tornavano i conti. Era più di una richiesta di chiarimento. Ricordo che mi fu detto, en passant, che erano degli incapaci e che dopo il loro allontanamento, con la nuova gestione affidata a Carlo Forcolini, che era un imprenditore, sarebbe cambiato tutto. Non cambiò nulla: affanno nei pagamenti, stipendi in ritardo, accelerazione della spremitura dei compagni.
      Ribadisco che queste decisioni, il cosa dire e non dire, lo decidevano in tre.
      7.
      Caro Ennio, la tradizione comunista, amche se l’abbiamo scoperto dopo, era questa: prima di tutto viene il partito
      Il riferimento a Trotkij, sul piano storico, è fuori luogo (si vedano alcuni aspetti della riviluzione del 17/19 che lo videro protagonista)
      8.
      E’ vero, avevamo la componente operaia e una sfaccettatura operaista e di democrazia consiliare che, secondo me, sulle cose importanti aveva solo una funzione iconografica (anche questo fa parte della storia del leninismo)
      9.
      Ribadisco: volontarismo+leninismo, la scissione non c’entra nulla, perché la supersegreteria si mosse come un sol uomo anche se, mi risulta, dopo la doppia scissione-unificazione ci fu la riabilitazione perché adesso la responsabilità era diventata solo di Oskian
      10.
      avevano scoperto delle cose e volevano la verità, o ancora meglio la riconsiderazione di certe scelte, che furono invece confermate
      11.
      La reazione è stata del tipo: cosa cazzo vogliono questi tre; fuori dalle palle
      12.
      Il silenzio fu figlio del non sapere e, detto per inciso, continuiamo a discutere sul non sapere. La cosa interessante è che non si pretese di sapere ma ci si oppose alla espulsione o la si accettò in silenzio
      13.
      ho già detto
      14.
      ??

      Piccolo ricordo sulle cose che mi fecero perdere l’innocenza: primavera estate 76: viaggio a Roma per incontrare la Rossanda; in via Tomacelli incontro Foa che, pensando che io fossi un emissario di Vinci, me ne dice di tutti i colori contro Magri e quelli del Manifesto, per poi chiedermi notizie sulle cose di AO. Mi chiesi: cazzo, ma questo è Vittorio Foa?
      Sognavamo la rivoluzione ed è finita che Magri, senza avere alcuna malattia incurabile, si è fatto accompagnare in Svizzera per il suicidio assistito.
      Quindi: è stato un episodio triste; piantiamola di masticare acqua; se verranno testimonianze da parte delle vittime, sul merito dei fatti sarò lieto di ascoltarle.

  4. E’ molto vero, molto importante, molto giusto: dobbiamo capire come avvenne che tre compagni vennero espulsi con ignominia e con l’accusa di complotto e attentato all unità del partito.
    Furono tre, fu cacciato anche Maurizio Bertasi. L’ignominia non fu loro, ma nostra, di chi deliberò. Dico nostra perché bisogna assumere come collettive le responsabilità.
    Io allora ero un dirigente, ricordo la sequenza dei fatti, come accaddero, ricordo quanto terribili furono,quanto dolorosi anche sul piano personale e delle relazioni personali.
    La prima domanda: quanti e chi era convinto della colpevolezza dei tre? Quanti erano invece certi che le critiche avanzate dai tre compagni erano del tutto legitttime, che non c’era nessun complotto o tradimento? Ancora oggi non lo so.
    Non basta chiedere scusa, non serve quasi a nulla. Bisogna capire, perché non accada più. La resposabilità è collettiva,certo, ma le responsabilità personali non sono le stesse per tutti.
    Emilio Molinari e io stesso si opposero in segreteria; lo scontro fu, come potete immaginare durissimo. Dicemmo: non vi è stato atto alcuno contro il partito, l’espulsione è invece un atto contro il partito. Allora l’unità del partito, il partito, era un vero e proprio totem. Mettere in discussione l’autorità del segretario incrinava l’unità del partito. Era di per sè un tradimento.
    Eppure eravamo stati, all’inizio contro la personalizzazione della politica e l’accentramento dei poteri. Chi non visse quei tempi forse non può capire cosa implicò quello scontro. Forse, non so. Fu dura difendere le proprie idee contrapposte a chi voleva l’espulsione per affermare l’esercizio di un potere.
    Il potere si afferma proprio imponendo qualcosa solo in funzione del potere stesso. Lo faccio perché posso farlo, la verità è cio che io affermo. Non avrai altra verità all’infuori di me. E’ così non esagero.
    O meglio : questa è la mia lettura, ve ne possono essere altre. Quale fu la sede della decisione formale?
    Fu il Comitato centrale. Emilio e io stesso intervenimmo per evitare una decisione tanto grave, insopportabile, dannosa, contraria ai nostri valori con argomenti equilibrati che tenevano conto dei rapporti di forza a noi assai sfavorevoli. Sapevamo che saremmo stati sconfitti.
    Antonio Molinari , che non faceva parte della segretaria, li difese senza timore alcuno, accusando chi li accusava di complotto, chiaro e netto.
    Poi vi fu uno, o forse più di uno , che minacciò di sanzioni anche Antonio Molinari. Come per la Santa Inquisizione chi protegge gli eretici è sospettato di eresia.
    La teoria del tradimento ha arrecato danni grandissimi al movimenti operaio. Antonio Molinari faceva parte del Gruppo di studio della Philips (i CUB degli impiegati ), nel quale anche io militavo, che aveva legami di solidarietà solidissimi, ferrei.
    Intervenni di nuovo, chiaro e netto. Ogni provvedimento contro Antonio riguarda direttamente anche me. La linea rossa non fu superata, Antonio ne uscì formalmente illeso. Formalmente, nella sostanza ne uscimmo tutti, o quasi , profondamente scossi , con sofferenza. Al voto del CC Antonio votò contro, Emilio e io stesso ci astenemmo.

    • Caro Franco,
      prima di sollevare la questione ci ho pensato bene. Condivido gran parte delle cose che dici salvo il fatto di considerarle una conseguenza diretta del nostro leninismo messo alla prova dei fatti (certe cose fanno parte della storia del comunismo di tutto il mondo). Inoltre penso che le scuse siano doverose da parte mia, anche a distanza di tempo, perché accettai che si passasse come degli schiacciasassi sul corpo e l’anima di due compagni validi e fedelissimi (tanto è vero che erano incaricati di seguire questioni delicate come finanziamento e amministrazione).
      Non ricordavo i dettagli ma mi pesava l’essere rimasto zitto per i rapporti di amicizia e di stima che avevo per entrambi. Con Pietro per la costruzione della federazione di Monza, con Flavio, addirittura dal 66, prima di AO.
      Mi ricordavo di una rapidissima informativa in segreteria perché certe faccende (considerate super-riservate) venivano trattate direttamente da Vanghelis, Luigi e Massimo in cui non furono forniti i dettagli se non l’aver osato mettere in dubbio …
      Prima di scrivere il pezzo ne ho parlato per telefono con Pietro Spotti che mi ha raccontato come è andata e soprattutto quale fosse il problema che lui e Flavio ponevano e non intendo parlarne se non lo faranno i diretti interessati perché si trattava di rilievi relativi all’acquisto della tipografia.
      Lui mi dice che fu un ufficio politico a decidere il che contrasta con la presenza di Antonio.
      Io non ricordo ma sono certo di non aver partecipato ad alcuna riunuone oltre alla segreteria. E’ possibile che fosse di giorno feriale e sia rimasto al giornale?
      Ti risulta che “la sinistra” dopo la scissione li abbia riabilitati? In effetti ho visto che Maurizio compare per cose organizzative di Punto Rosso.
      Ciao

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