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da Avanguardia Operaia al Quotidiano dei Lavoratori – di Lorenzo Baldi — 6 commenti

  1. Mi intrometto nello scambio tra i vostri ricordi che ripercorrono anni che vi hanno visto protagonisti in ruoli significativi nella crescita e nel declino di quella formazione politica di cui ancor oggi mi vanto di aver fatto parte.
    Certo non in ruoli importanti come i vostri, ero e sono sempre stato un militante di base impossibilitato ad assumermi i ben che minimi ruoli di responsabilità, gravato da responsabilità familiari che nella mia scala di valori non coincidevano perfettamente con i valori dei politici di professione di derivazione leninista.
    Alla fine, prima del rompete le righe e ognuno per la sua strada senza nessuna indicazione, mi sono sentito come quegli orsi bianchi su una lastra di pack, alla deriva nell’oceano, che inesorabilmente e incomprensibilmente si sta sciogliendo. Rifletto da più di quarant’anni su quegli anni e delle risposte me le sono anche date e tutte si riannodano a pochi fenomeni.
    Una contingenza internazionale, una società in trasformazione che disarticolava i presupposti sui quali si basava la nostra misera analisi politica, una classe operaia che nella sua struttura storica stava scomparendo per ricostituirsi in un nuovo soggetto economico non coincidente con la nostra dogmatica visione della classe operaia e non da ultimi i soliti conflitti personalistici tra i dirigenti per la leadership.
    Naturalmente queste conclusioni necessitano di analisi ben articolate che mi sarei aspettato da coloro che quei ruoli hanno occupato. Invece mi sembrate, senza offesa, vittime della sindrome di London, nel senso di Artur London, quello de La Confessione che a distanza di decenni riconobbe gli errori nefasti di un sistema, considerandoli sempre come degenerazioni personali e giustificandoli in fondo, anche perché di quel sistema ne fece parte in posizioni significative.
    Abbiamo, avete, un grosso vantaggio, quello chiamato il senno di poi, possiamo, potete, vedere come la storia si è sviluppata da una parte e dall’altra della barricata, e non analizzarla nel suo evolversi quotidiano, quello lo lasciamo a menti eccezionali, anche se non se ne vedono all’orizzonte, ma almeno sul passato, che diamine, un po’ di coraggio.
    Solo Riva, in un suo commento alle vicende ricordate, ha dimostrato un po’ di carattere e questo gli fa onore, ha parlato di drammi (lui ha usato il termine più pesante di crimini), di scontri personali e passionali, ma lui ha questa vena d’artista che glielo permette, ma voi lucidi pensatori razionali potete superare le resistenze viscide, che abbiamo tutti ben inteso, e raccontarci come sono andati realmente i fatti e soprattutto perché in quel modo?
    Fatelo per quelli che non ci sono più, ma a maggior ragione per quelli che ancora a distanza di quasi cinquant’anni se la menano ancora e abbiano gli strumenti per riconoscere gli errori e i limiti di quegli anni che qualcuno ha forse frettolosamente chiamato ‘Formidabili’. Certo di passione ce ne era tanta, ma questa non può giustificare tutto.
    Mi piacerebbe sapere, e non è solo una curiosità, ma avendo come la maggior parte di voi superato la soglia dei settanta, per avere degli strumenti di conoscenza ulteriore per fare un bilancio di quegli anni che ci hanno segnato profondamente. Come e perché la nave dei nostri sogni e delle nostre speranze naufragò? Fu colpa degli ufficiali o della ciurma che accettava con scarso senso critico la rotta? La rotta era sbagliata o le mappe erano fasulle? Da dove provenivano le mappe che ciecamente ci apprestammo a percorrere? Quali furono gli scogli che le mappe non segnalavano sui quali la nostra nave andò a sbattere? E se qualcuno ebbe il sospetto che la rotta fosse sbagliata perché non lo disse; per paura, per convenienza, per piaggeria? A voi le risposte, vi aspetto.
     

  2. Ho scelto deliberatamente di raccontare piuttosto che commentare o indagare, di parlare di persone che amo ricordare e di ambienti che mi hanno stimolato in bene o in male. Ne ho tralasciati molti, anche perché scavare nella memoria non riesce sempre bene. Dopo più di 40 anni, non mi è sembrato il caso di sottolineare conflitti personali.
    Condivido l'indignazione per gli esiti tremendi della deriva muscolare di quegli anni, tanto più che, già allora, mi è sembrata motivata più da ragioni di identità e visibilità che da ragioni politiche (che non sarebbero comunque state un attenuante). Non ne ho parlato per non andare fuori tema e perché, direttamente, ne so quanto Wikipedia.
    Direi che con le organizzazioni della "sinistra rivoluzionaria", e anche con quelle della sinistra socialista e comunista, i conti li ha fatti la storia e ciascuno di noi li ha fatti poi a modo suo, riorientando il modo di pensare e di vivere. Solo, cominciammo, prima di altri, a disfare la tela.

  3. Due parole che prendono spunto dai commenti di Rino (Riva) e di Ennio (Abate).
    La mia insistenza nello spingere a ricordare e a raccontare deriva dalla convinzione che si tratti di tirar fuori testimonianze di una microstoria da mettere a disposizione di chi se ne vorrà occupare sul piano storico (se ne varrà la pena).
    Anche raccontare richiede di mettersi in atteggiamento pensoso (sono passati quasi 50 anni); per questa ragione insisto perché anche i commenti vengano collegati all'articolo e non rimangano in quella specie di cestino della spazzatura che è Facebook.
    A volte si raccontano cose dolorose e dovremmo avere l'intelligenza di depurarle dagli aspetti più emozionali o reattivi, che ci stanno, ma non devono.essere i soli.
    Anche io, come Lorenzo, penso che nelle questioni interne alla esplosione della redazione del Quotidiano dei Lavoratori, non fossero preminenti questioni di linea politica legate allo scontro tra la maggioranza filo-Vinci e la minoranza filo-Campi. C'era qualcosa di più profondo che veniva dalla presa d'atto della impossibilità e insensatezza di una stampa di partito, del piegare dei lavoratori intellettuali ad un rapporto prima con la organizzazione e solo poi con il reale complesso, multiforme ed in rapida evoluzione.
    Ci sembrava misero stare a leccarci le ferite, declinare lo slogan avanti con le lotte, mentre il mondo in cui avevamo creduto si rivelava mancante di solidi riferimenti di teoria politica. Non reputo un caso che quel gruppo di giovani giornalisti abbia poi preso strade politiche e professionali diverse ed è per quello (oltre che per logoramento personale) nei mesi di dicembre e gennaio mi dichiarai non disponibile a coordinare quel gruppo per mettere in piedi una rivista di orientamento politico e culturale.
    Non mi ritenevo all'altezza e pensavo che l'unica unità che avremmo potuto avere era quella della diversità. Faccio un esempio concreto riferito ad una persona a cui ho voluto molto bene: Pierluigi Sullo.
    Lui è andato al Manifesto, ci ha lavorato con impegno fino ad occuparsi della cucina del giornale (il caporedattore che fa un lavoro logorante e ben sui presta alla operosità bergamasca o brianzola). Poi all'improvviso se ne è andato, ha messo in piedi una rivista sui temi del mondialismo, ma ricordo anche le domande sui movimenti emergenti.
    Io ho fatto il contrario; sono andato a scuola, mi sono interfacciato con poche persone alla volta, mi sono rimesso a studiare le scienze dure e la riflessione filosofica su di esse e politicamente mi sono avvicinato al PCI.
    Raccontare, raccontare, raccontare.

  4. Sono vicende tristissime. Anche per me che le seguii da una sezione di periferia (Cologno Monzese-Sesto- Cinisello) e non avevo  il polso  dello scontro che avveniva in Direzione o al Quotidiano dei lavoratori.
    Ma a distanza di tanto tempo resto deluso anche da una ]rievocazione dei "fatti" che non va al di là della cronaca
    personale.
    Parlare di "differenziazione […] antropologica" o "culturale" ("La differenziazione, in redazione, prese anche una piega antropologica: ci sembrava che la linea di frattura tra i fautori dell’unificazione col Pdup e quelli di un rafforzamento identitario di Ao ne nascondesse un’altra, di tipo culturale: da una parte, pensavamo, ci sono quelli come noi, curiosi, aperti al nuovo, dall’altra parte, invece, si guardava sempre vicino e si pensava in termini di identità e organizzazione, rifiutando i cambiamenti")  e presentare gli uni come "curiosi, aperti al nuovo" e gli altri come miopi ("si guardava sempre vicino") o ostili ai "cambiamenti", senza dire cos'era allora il "nuovo" ( il PCI?) e dove hanno portato poi i "cambiamenti" (quali?) mi pare davvero superficiale  e senza alcun respiro storico.
     
     

  5. Oggi non vado di fioretto. E' un commento e tiro fuori dalle scarpe un po' di sassolini. Ne sono avvenute di porcate in quei due ultimi anni di permanenza in Avanguardia Operaia. La cosa straordinaria è che noi competevamo di fioretto, loro, LORO, con i cannoni. Sono stati usati i mezzi più schifosi, più orrendi, più vecchi, più squalificati per dare addosso ai "destri". E' storia concreta, storia nostra, storia che fa male perché in nome nostro si sono perfino commessi dei delitti. Sì, delitti. Non antifascismo militante ma vero e proprio terrorismo di gruppo.
    Ricordo che a uno degli ultimi Comitati Centrali avevo di fronte a me Vittorio Borrelli e questo individuo a un certo punto si è messo a vomitare cose inaudite su di me. L'ho guardato e gli ho fatto un cenno con le  mani come per dirgli: "Giò de doss" e subito dopo ho fatto un intervento lucidissimo che Giovanni Lanzone citò quasi per intero in un articolo di fondo del QdL. Vittorio Borelli scrisse un libro poco tempo tempo parlando della triste vicenda di un  compagno studente della mia Sezione e militante del S.d'O. che a un certo punto si è tolto la vita gasandosi dentro l'auto del genitore in un box. Reputo che Vittorio Borelli abbia scritto questo libro per rifarsi una verginità morale. Infatti, immediatamente finì a dirigere un magazine di tirature importanti.

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