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La doppia elica 30 anni dopo – James D. Watson — 6 commenti

  1. Naturalmente non posso giurare su tutti i dettagli del racconto di Watson perché non ero lì ma sono disposto a credergli per tre motivi:
    1) Nessuno gli ha contestato gli specifici fatti che egli racconta. Casomai qualcuno ha insinuato che non raccontasse qualche verità ancora più scomoda.
    2) Fatti analoghi sono accaduti anche a me. Uno l'ho rivelato: la faccenda dell'Undersampling (il più innocente!). Altri non me la sento di rivelarli, tanto il premio Nobel non l'ho vinto!
    3) Analoghi fatti, di cui ho certezza, sono accaduti a colleghi mentre altri me li hanno raccontati, come quel medico che ho citato.
    Pertanto quello che riporta Watson è la norma.
    La parte scientifica è inscindibile dalla vita quotidiana di un ricercatore, formano un intreccio inestricabile e contraddittorio.
    La ricerca è un ambiente darwiniano. Prevale il più forte, niente democrazia. I ricercatori sono tutti ambiziosi e pieni di sé ma hanno le debolezze di qualunque essere umano. Comunque non è un ambiente adatto ai timidi.
     

  2.  @ Ricotta. Quello che ho rilevato, scala di servizio o meno, è stato come Watson presenti in modo riduttivo e paradossale la propria ignoranza e quella altrui  (per esempio: "mi ero occupato soprattutto di ornitologia e avevo evitato accuratamente di seguire i corsi di fisica o chimica che presentassero anche una media difficoltà…" E poi le passeggiate con Maurice Wilkins che era venuto a Napoli con intenti non scientifici). E tutti che sembrano occupati a correre dietro alle belle ragazze, meglio se figlie o sorelle di uomini importanti. Naturalmente non può essere andata solo così. C'è troppa elusione in questo modo di descrivere se stesso e l'ambiente. Negli stessi anni le femministe sostenevano che la vita personale ha anche significato politico, ma  Watson fa pettegolezzo e maldicenza. 
     
     
     

  3. Mi riferivo ad un libro uscito tempo fa "la filosofia dalla scala di servizio … i grandi filosofi tra peniero e vita". Mi sembrava una bella sintesi di una questione: dietro una teoria, dietro una scoperta scientifica c'è un mondo complesso fatto di storie, pulsioni, retromarce, idee fisse, Non penso che quanto raccontato corrisponda alla norma, ma se il protagonista ne parla così, e non si tratta di Sgarbi, si tratta di prenderne atto.

     

  4. Per Cristiana.
    In effetti la frase "La storia della scienza vista dalla scala di servizio" l'ha interpolata Claudio Cereda. L'ho lasciata perché io l'avevo interpretata nel senso che quella è la prospettiva di un addetto, uno del backstage, di un insider e quindi quella giusta per me. Se ho ben capito invece tu l'hai interpretata in modo negativo del tipo "guardare dal buco della serratura" per scandalizzare. Su questa interpretazione non concordo. Essendo stato nell'ambiente della ricerca per 37,5 anni so che ciò che scrive Watson è la pura verità. Un mio amico medico che ha lavorato per anni come ricercatore all'Institut Pasteur a Parigi me ne ha raccontate di simili a quelle di Watson e sintetizzava l'ambiente come "Lì ho fatto la mia Legione Straniera"!
    Sugli understatement forse ti riferisci a certe affermazioni in cui Watson mette in luce le lacune della sua preparazione. Io invece credo sia sincero perché la specializzazione è così spinta che ci vogliono anni di pratica per padroneggiare certi concetti in uno specifico settore. E non ho dubbi che nella costruzione del modello del DNA egli usasse, come matematica, al massimo la regola del tre composto, data la sua formazione biologica, mentre Crick, essendo un fisico, ne sapeva sicuramente molto di più.
    Se deve creare questo tipo di ambiguità forse è meglio rimuovere la frase.

  5. Una visione "dalla scala di servizio" è anche quella con cui Watson si presenta,  non ti pare? Mi sembra che voglia proprio scandalizzare, descrivendosi a forza di understatements. Snobismo annche questo, vanità, simmetrica e contraria. 

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