Marcia trionfale: Marco Bellocchio
Qualcuno si sarà chiesto perché ho scritto poco in agosto e ad inizio settembre. Ero in ferie, le ferie prima della pensione e, come mi capita nei momenti di svolta di vita, ho scelto di fare altro. In questo caso fare una full immersion di cinema (ancora in atto). Così, approfittando della rete, mi sono visto da uno a due film al giorno, da Fellini a Pupi Avati, da Bellocchio al filone antimilitarista, da Monicelli a Giuliano Montaldo. Ne tratterò con calma nella nuova categoria FILM. La grande scoperta è stato Pupi Avati di cui avevo visto solo un paio di film. Proprio ieri mi sono accorto che non avevo mai visto La Cina è vicina, di Bellocchio, nonostante conoscessi quasi a memoria I pugni in tasca.
Marcia trionfale è un film di Marco Bellocchio del 1976 con Franco Nero nella parte del tipico capitano dell'esercito anni 70 (tutto durezza e forgiatura del carattere) e Michele Placido nella parte di un laureato in lettere che fa il soldato semplice in una caserma del nord d'Italia.
Sono andato a cercarlo stimolato dalla sentenza della Cassazione di cui ho trattato ieri (deficiente … chi?). Volevo ripassare qualche elemento sulla violenza vera delle istituzioni. Nel film c'è anche una storia (il rapporto tra Michele Placido e la moglie del capitano e c'è persino un finale tragico in cui Franco Nero, dopo averci tanto provato, si fa sparare da una sentinella in servizio), ma non è la storia l'elemento centrale del film.
Marcia trionfale può essere guardato come un documentario sulla vita militare negli anni 70, una vita militare che anche io ho vissuto e che ho descritto in uno dei miei primi saggi, scritto nel 1972, e dedicato al lavoro politico nelle forze armate. Il saggio sta nella rivista teorica di Avanguardia Operaia e, ovviamente non ce l'ho più.
- La violenza è presente ad ogni livello e si fonda su una idea di gerarchia assoluta che parte dagli ufficiali e scende pian piano sino alla truppa dove prende la forma del nonnismo. Gli ufficiali lo tollerano perché è funzionale a mantenere il clima di paura e perché introduce tra i soldati l'idea del soffrire oggi per stare meglio domani (anche tu diventerai un nonno).
- La violenza nell'addestramento e in camerata si basa sulla ripetizione ossessiva di gesti inutili quali la propria identificazione da urlare a voce alta finché il sergente non è soddisfatto (il film inizia proprio così) o sulle angherie quali i gavettoni in piena notte, il giuramento della "spina" che deve ossequiare i nonni (baciare la stecca, buonanotte nonnino il congedo è vicino, per te è finita per me c'è una vita), la merda sulle maniglie dei bagni. La libera uscita è un momento di liberazione, ma viene preceduta dalla ispezione con eliminazione del diritto di uscita per un capello fuori posto o per un errore sullo slogan del reggimento. Ho rivisto la scena della carta igienica che avevo vissuto (il soldato in libera uscita deve avere nella tasca posteriore 120 cm di carta igienica). Poi si va in libera uscita per andare a puttane o per fare marchette o per magiare in un'osteria piena di soli militari sino all'ora del rientro.
- Si sta in fila sotto l'acqua in attesa che l'ufficiale consenta di accedere al refettorio, i nonni (napoletani come i miei) che passano avanti, gli addetti alla distribuzione del rancio che, quando arriva il tuo turno, ti dicono che la carne è finita e ci sono solo i formaggini, l'ufficiale di servizio cui ti rivolgi per protestare che ti dice che le bistecche sono contate e che se sono finite vuol dire che quelli prima ne hanno prese due, i nonni che lordano una delle bistecche prese in più e te la sbattono in faccia, l'ufficiale che ti accusa di insubordinazione se rovesci il vassoio del cibo nel bidone senza avere mangiato.
- C'è lo squallore degli ufficiali ad una stella (di complemento) e a due stelle senza progetti di vita e molto voyerismo.
- C'è Franco Nero che rappresenta il modello di ufficiale fanatico (capitano di compagnia), violento con la giovane moglie, duro con i soldati e che pensa che la sofferenza, fisica e mentale, rafforzino il carattere (la sofferenza vera, fatta di violenze fisiche e di soprusi entro un rapporto di subalternità): o diventi un uomo o ti ammazzi.
- Sono immutate anche le filastrocche dei nonni: caporal maggior, caporal maggior, fammi una sega (quante volte sentita)
Quel mondo è finito nel giro di pochi anni da allora; prima la legge sul servizio civile, poi la fine della leva obbligatoria. La fine è stata determinata dalla insensatezza di quell'esercito costoso ed inutile ma voglio pensare che una mano l'abbiano data anche quelli che dal 1971, con Proletari in Divisa (e altre sigle meno note), si organizzarono nelle caserme. Il lavoro politico nelle forze armate era clandestino; bastava poco per finire in CPR, essere trasferito o finire a Gaeta. Eppure quella esperienza fu preziosa e servì comunque ad ottenere qualche diritto civile. I capitani alla Franco Nero, in quegli anni, fecero anche qualche "rumor di sciabole" e furono scoperti da quei soldati alla Michele Placido, che lavoravano nelle caserme.
Il mio voto: 8. Avrei dato 10 alla prima parte, ma la seconda è un po' da fogliettone.