dai libri alla TV

Non so se sia un segno dell'età, ma ultimamente mi sto dedicando più alla visione delle serie TV che ai libri e alla carta stampata in genere e, dopo questa indigestione ho deciso di farci sopra qualche ragionamento.

Ho iniziato con la visualizzazione della lunghissima serie di Un passo dal cielo che inizialmente sembrava essere l'occasione per gialli leggeri in un contesto ambientale di alta montagna e di rapporto con la natura (forestale, arrampicatori, veterinari, lupi, cavalli, la palafitta sul lago di Braies). Sin dall'inizio era presente un po' di clima da fotoromanzo e poi, man mano, questo clima da fotoromanzo ha preso il sopravvento al punto che nella fase calda degli amori contrastati tra la fotomodella spagnola e il vice questore Nappi utilizzavo la apposita funzione di avanzamento di 10 s per saltare le mielose ed inutili parti sdolcinate.

Poi, con la trasformazione del corpo forestale dello stato in carabinieri forestali e con la sostituzione dei protagonisti la parte ambientale si è sempre più ridotta e un passo dal cielo è diventato un fotoromanzo movie pieno zeppo di pubblicità più o meno occulte dall'Alto Adige al Cadore. Buon per loro, ma la settima stagione, attualmente in corso mi è bastata per 10' e ho chiuso nonostante parti piacevoli legate alla interpretazione di Janniello e alla saggezza proverbiale di Huber.

In precedenza mi sono guardato le vicende del commissario Nardone della mobile di Milano (l'inventore della squadra mobile) per una immersione nella Milano anni 50 e ho ritrovato tratti di cronaca della mia infanzia a partire dall'infame quotidiano del pomeriggio  La Notte che anche mio papà acquistava e che dunque vedevo girare per casa. Uno spaccato interessante del come vivevamo e chi eravamo.

Su suggerimento di mia moglie sono passato alla serie del vicequestore Schiavone. I romanzi di Manzini, editi da Sellerio, me li ero letti in sequenza un paio d'anni fa ed ero rimasto affascinato sia dalla sceneggiatura (che ben si prestava ad una traduzione televisiva), sia dai personaggi comprimari (i collaboratori alla questura di Aosta e gli amici malavitosi romani), sia dal protagonista un intelligente e moderno Robin Hood con una visione di cosa sia giusto netta e schematica che porta un servitore dello stato a vivere costantemente dentro e fuori dai vincoli della legge.

Intelligenza, acume, sentimento, contrasto tra cultura del nord e mondo romano, complessità e contraddizione del mondo del ministero degli interni, figure femminili interessanti e affascinanti, a partire dal fantasma della moglie Marina che fa da psicoanalista di Rocco, sdoganamento della Marijuana, un medico legale assolutamente unico (Fumagalli), una bella figura di PM, in parte condizionato da Rocco ma ligio al suo essere magistrato e che, dunque, non fa sconti.

La serie di Schiavone, bella, nulla toglie alla necessità e utilità di leggere gli originali cartacei. Ora sono alle prese con la Basilicata di Imma Tataranni, altro bel personaggio in cui la intelligenza si mischia con una interpretazione femminile fuori dal comune (tra ruoli di magistrato, madre, moglie e figlia). Vi saprò dire.

PS. sulla app di RaiPlay la pubblicità è davvero fastidiosa; va beh all'inizio e alla fine, ma la intromissione anche se metti in pausa o sbagli un tap è eccessiva. Si può ovviare usando il browser, munito di blocco della pubblicità non solo sul PC ma anche sullo smartphone.

 

 




Stella rossa (romanzo-utopia) – di Alexandr Bogdanov (recensione)

Stella Rossa è un romanzo sull'utopia del comunismo scritto da Bogdanov nel 1907 dopo il fallimento della esperienza rivoluzionaria del 1905 che aveva visto Bogdanov come massimo esponente a Pietroburgo del partito bolscevico.

Bogdanov era figlio di un fisico, laureato in medicina e per tutta la vita si è interessato della possibilità costruire un accordo tra le scoperte scientifiche del primo Novecento e della riflessione su di esse portata avanti da quelli che in Russia si sarebbero detti empiriocriticisti e che erano, semplicemente, i seguaci delle teorie di Mach il padre di quella versione dell'empirismo che avrebbe dato vita, qualche anno dopo, all'empirismo logico o neopositivismo. Nel recensire "Lenin e l'antirivoluziuone russa" ho messo la famosa immagine della sua partita a scacchi con Lenin sotto gli occhi di Gorkij.

Bogdanov, dopo aver rotto con Lenin su questioni di carattere ideologico legate alla teoria della conoscenza (è lui il puntaspilli di Materialismo ed empiriocriticismo), ha continuato a occuparsi di rivoluzione culturale e dopo la rivoluzione del 17 si è occupato prevalentemente di medicina diventando uno dei massimi esponenti delle problematiche trasfusionali; finendo per morire a causa di una trasfusione effettuata su di sé con un donatore infetto da malaria. Si dice che si sia trattato di un suicidio, ma la cosa non è acclarata.

Ha scritto opere sulla teoria dei sistemi che sono considerate ancora oggi tra le fondazioni della cibernetica e della teoria della organizzazione. Ne parlo perché Stella Rossa è una miniera di suggestioni ed immaginazioni che lasciano stupiti per la correttezza delle intuizioni e delle proposte avanzate solo nel primo decennio del Novecento.

Il protagonista viene avvicinato è convinto a seguirli da un gruppo di marziani che si sono recati sulla terra per studiarne le caratteristiche di civiltà e individuare possibili persone con cui interagire. Viene convinto a seguirli e il romanzo oscilla tra la descrizione degli strumenti tecnologici già in possesso dei marziani e la descrizione di una società nella quale da alcuni secoli si è ormai realizzata l'utopia comunista.

Il motore dell'astronave funzione attraverso processi di disintegrazione radioattiva che producono espulsione di particelle ad altissima velocità in grado di produrre il movimento in senso opposto (conservazione della quantità di moto). Il viaggio dalla terra a Marte che dura alcuni mesi si svolge attraverso una tecnica che prevede una bassa e costante accelerazione che, a metà viaggio, viene poi cambiata di segno rimanendo sempre costante e togliendo di mezzo tutte le problematiche di tipo violento connesse all'utilizzo di accelerazioni elevate.

Bogdanov immagine che Marte sia completamente abitata al di sotto dei canali che aveva osservato l'astronomo italiano Schiapparelli a fine 800 e che avevano fatto pensare, all'inizio del 900, ad una possibilità di un mondo dove fosse presente la vita. La società marziana si trova già nella situazione di Comunismo realizzato e dunque sono stati già affrontati con esito positivo le problematiche che la rivoluzione bolscevica avrebbe dovuto affrontare con esiti negativi qualche anno dopo: la durata ridotta della giornata lavorativa, il principio del da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni, la pianificazione basata su un sistema di raccolta delle informazioni in tempo reale che fa pensare alla rivoluzione informatica, l'educazione degli adolescenti nelle case dei bambini con criteri pedagogici molto avanzati.

E' un romanzo, c'è una storia e quella non ve la racconto, ma sono rimasto impressionato dal continuo riafforare di problematiche che saranno al centro dei processi rivoluzionari ma che, nel momento in cui il romanzo viene scritto, non si sono ancora presentati: il socialismo si può realizzare in un singolo paese? si possono sacrificare migliaia di persone in nome di un bene superiore? quali sono i diritti degli uomini nei confronti della natura e dell'universo?

La formazione scientifica di Bogdanov emerge in continuazione nalla capacità di inventare macchinari che poi faranno poarte della storia della tecnologia o nel parlare con competenza di materiali che entreranno da padroni nella storia dell'industria aereo-spaziale.

Apparentemente su Marte le cose vanno a meraviglia grazie alla padronanza delle tecnologie della informazione (il contrario di quanto avverrà con i piani quinquennali di Stalin), ma c'è un ma che ha a che fare con il carattere limitato delle risorse.

Alcatraz ha recentemente pubblicato in un unico volume e a prezzo basso i romanzi su Marte di Bogdanov e vi segnalo dunque questa versione (l'ingegner Menni è uno dei maitre a penser della civiltà marziana e sarà lui a individuare Leonid, giovane matematico e rivoluzionario marxista, come prototipo di personaggio su cui impostare gli studi sulla razza umana in vista di una eventuale collaborazione in un sistema planetario a risorse limitate perché come sosteneva Marx, nella società comunista finiscono le contraddizioni tra gli uomini legate ai rapporti di produzione ma non quelle con la natura.


l'Istituto di Statistica

L’Istituto di Statistica ha i suoi agenti che monitorano lo spostamento dei prodotti nei depositi, la produttività di tutte le aziende e la variazione del numero dei loro lavoratori. In questo modo, si calcola in maniera esatta cosa e quanto sia necessario produrre in un determinato periodo e quante ore di lavoro servano per farlo. In seguito, l’istituto non deve fare altro che calcolare in ogni settore di lavoro la differenza tra i dati esistenti e la situazione ideale e darne comunicazione a tutti. Il flusso di volontari, allora, ristabilisce l’equilibrio....

i bisogni

«Il consumo dei prodotti non è limitato in qualche modo?». «In nessun modo: ognuno prende ciò di cui ha bisogno e nella quantità che vuole». «E tutto ciò è possibile senza che venga richiesto nulla di simile al denaro, senza che ci sia un’attestazione sulla quantità di lavoro compiuto o sull’impegno nel svolgerlo, o cose del genere?».

«Nulla del genere. In una condizione di lavoro libero, come la nostra, non c’è mai carenza: il lavoro è una necessità naturale di un uomo socialista evoluto e qualsivoglia costrizione nascosta o palese per noi è del tutto superflua»...

«Ma se il consumo è illimitato, non sono possibili brusche oscillazioni, tali da ribaltare tutti i calcoli della statistica?». «Certo che no. Una singola persona, forse, può mangiare il doppio o il triplo rispetto al normale, o decidere di cambiare dieci vestiti in dieci giorni, ma una società di tre miliardi di individui non è soggetta a tali fluttuazioni. Con numeri simili, oscillazioni nell’una o nell’altra direzione si bilanciano e i valori medi cambiano molto lentamente e con regolarità».

«Proprio così, e su questo poggiano le basi del nostro sistema. Duecento anni fa, quando il lavoro collettivo bastava appena a soddisfare i bisogni della società, era necessaria una massima precisione nei calcoli e la distribuzione del lavoro non poteva avvenire in modo del tutto libero: la giornata lavorativa era obbligatoria, dunque, non era sempre possibile considerare la predisposizione dei compagni. Ma ogni nuova scoperta, sebbene facesse insorgere qualche complicazione temporanea a livello statistico, poneva rimedio alla questione principale, ovvero la transizione verso una libertà di lavoro illimitata. All’inizio la giornata lavorativa fu accorciata, poi quando in tutti i settori si rivelò un’eccedenza, l’obbligatorietà decadde. Notate come fossero insignificanti le cifre di carenza di forza lavoro nell’industria: migliaia, decine, centinaia di migliaia di ore di lavoro, al massimo, in confronto a milioni o decine di milioni di ore di lavoro che già si spendono in quelle industrie».

la casa dei bambini

Chiesi a Nella perché nella “Casa dei Bambini” stessero assieme giovani di età differente, invece di essere divisi a seconda degli anni in una specifica Casa, il che avrebbe facilitato in modo significativo la divisione del lavoro tra gli educatori e semplificato i loro compiti.

«Perché in tal caso non si tratterebbe di una vera educazione», rispose Nella. «Per riceverne una congrua, un bambino deve vivere la società dall’interno. I bambini acquisiscono il massimo dall’esperienza e dalla conoscenza relazionandosi l’uno con l’altro. Isolare una fascia d’età dall’altra vorrebbe dire instaurare un ambiente di vita ristretto e unilaterale, nel quale lo sviluppo dell’uomo del domani deve avvenire con lentezza, in modo blando e monotono. La differenza di età dà i migliori risultati in termini di vivacità. I bambini più grandi sono i nostri migliori aiutanti nella cura dei piccoli. Non solo amalgamiamo con coscienza bambini di tutte le età, ogni Casa cerca anche di selezionare educatori dalle età e specializzazioni pratiche più diverse».

rapporti tra gli uomini e rapporti con la natura

«Felice? Pacifica? Da dove avete preso quest’idea? Da noi regna la pace tra le persone, è vero, ma non c’è pace con le forze della natura, e non potrà mai esserci. E questo è un nemico da cui a ogni sconfitta sorge una nuova minaccia. Nell’ultimo periodo della nostra storia, abbiamo intensificato di dieci volte lo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta. La nostra popolazione sta crescendo e, ancor più in fretta, sta aumentando il nostro fabbisogno. Il pericolo dell’esaurimento delle risorse naturali si è già presentato diverse volte in vari settori lavorativi. Finora siamo riusciti a porvi rimedio, senza dover incorrere in una temuta riduzione dell’aspettativa di vita, nostra e delle generazioni future; tuttavia proprio adesso la lotta sta assumendo un aspetto assai critico».


Alexandr Bogdanov

Su Marte (Stella Rossa, Ingegner Menni, Un Marziano Abbandonato sulla Terra) – tre romanzi

Editore Agenzia Alcatraz

Pagine 376 15 €


 




Buio a mezzogiorno – di Arthur Koestler (recensione)

Quando ho recensito il caso Toulaev di Victor Serge mi sono reso conto, sia dai riferimenti nella introduzione, sia dai commenti degli amici, che non avevo mai letto l'altro libro di riferimento, scritto nello stesso periodo (1938/1939) e riferito ai grandi processi del 37-38, "Buio a Mezzogiorno".

Anche Koestler (Budapest 1905 – Londra 1983), come Serge, è un militante comunista, ma nel suo caso si tratta di un comunista prevalentemente vissuto al di qua del confine con l'est. Koestler è ungherese (viene dalla capitale dell'impero asburgico), proviene da una famiglia ebraica, studia a Vienna e dunque scrive in tedesco ( anche perché, sul piano profeessionale ha lungamente operato in Germania) e sino alla fine, cerca suo malgrado, di di essere fedele al punto di vista di Mosca.

La sua storia di scrittore inizia da giovanissimo, con il racconto della sua esperienza in Palestina a lavorare in un Kibbutz ("La schiuma della terra") stretto tra le ostilità degli Inglesi e degli Arabi. Dopo il periodo palestinese riesce a farsi assumere da grandi gruppi editoriali tedeschi e in quegli anni (anche dopo l'adesione al partito comunista tedesco) continuerà a lavorare per il partito, in incognito, con la indicazione di apparire come un giornalista liberal che però, quando può, difende gli interessi dell'URSS. Lo farà in Germania, poi in Spagna e infine in Francia.

La sua rottura con il comunismo e la denuncia dei crimini dello stalinismo avviene solo nel 1938 perché, nonostante viva a contatto con i problemi del totalitarismo staliniano, mette sempre al primo posto la resistenza al nazismo e la necessità che le forze antinaziste rimangano unite. Tutto ciò nonostante tocchi con mano, sin dal primo viaggio in URSS pensato come propagandistico, le condizioni di vita della popolazione russa, lo strangolamento dei kulachi, la persecuzione, di qua e di là del confine sovietico degli oppositori. Buona parte del materiale documentario del romanzo gli viene da una testimone diretta (di carceri e inchieste) che aveva conosciuto nel corso del viaggio in URSS Eva Weissberg e che è stata liberata grazie a pressioni internazionali mentre il marito Alex era stato consegnato alla Gestapo.

Buio a mezzogiorno, insieme ad altri due romanzi dello stesso periodo, I Gladiatori e Arrivo e Partenza ha come tema centrale il rifiuto del principio secondo cui "il fine giustifica i mezzi": il partito è infallibile in quanto avanguardia del proletariato e il proletariato era l'incarnazione del processo storico verso il progresso. Per una ampia biografia su Koestler potete leggere il sito della storica Valentina Piattelli.

Il romanzo, in cui qualcuno ha individiato elementi legati al processo a Bucharin per via della confessionefinale, racconta il processo ad un ex commissario del popolo, Nicola Salmanovič Rubashov, l'ultimo sopravvissuto, oltre a Stalin, della foto di gruppo della vecchia guardia che fino a poco prima stava in tutti gli uffici pubblici (e anche alla Lubjanka), che ora non c'è più perché la vecchia guardia, le teste numerate della fotografia, non c'è più.

Ci sono elementi di similitudine con quanto già scritto da Serge (le celle, i corridoi, gli interrogatori notturni, le figure degli inquisitori, il sotterraneo delle esecuzioni) ma questa volta (a differenza del caso Toulaev) c'è una unica vicenda e un racconto in cui, man mano che procedono gli interrogatori ci sono i salti indietro che ci descrivono la vita e il ruolo di Rubashov che negli anni 30, per conto della Internazionale si dedicava agli interventi di raddrizzamento ed espulsione di militanti delle cellule all'estero (in Germania in pieno nazismo e poi in Belgio).

Rubashov è sereno ma fermissimo; non sono ammessi dissensi, chi dissente è fuori, come capita ai membri della cellula degli scaricatori di un porto del Belgio che avevano organizzato il boicottaggio delle merci dedicate ai nazifascisti e che, la sera prima dello sbarco, apprendono che stanno arrivando dalla patria del socialismo cinque cargo neri, ciascuno con il nome di un grande capo della Rivoluzione e con la bandiera rossa bella in vista. Sono carichi di petrolio da instradare poi, via terra, verso l'Italia di Mussolini, impegnata nella aggressione all'Etiopia e soggetta all'embargo da parte della Società delle Nazioni,

Questo è lo scambio finale con Riccardo, il militante tedesco che ha osato non distribuire il materiale propagandistico giunto da Mosca e sostituirlo con cose scritte sul posto, perché più aderenti alla realtà.


«Il Partito non può mai sbagliare» disse allora Rubasciov. «Tu ed io possiamo commettere degli errori, ma non il Partito. Il Partito, compagno, è piú di te, di me e di mille altri come te e come me. Il Partito è l’incarnazione dell’idea rivoluzionaria nella Storia. La Storia non conosce né scrupoli né esitazioni. Scorre, inerte e infallibile, verso la sua meta. Ad ogni curva del suo corso lascia il fango che porta con sé e i cadaveri degli affogati. La Storia sa dove va. Non commette errori. Colui che non ha una fede assoluta nella Storia non è nelle file del Partito.»

«Hai impedito la diffusione del nostro materiale; hai soppresso la voce del Partito. Hai distribuito volantini ogni parola dei quali era pericolosa e falsa. Hai scritto: “I resti del movimento rivoluzionario debbono unirsi e tutte le forze ostili alla tirannide formare un blocco; dobbiamo porre fine alle nostre vecchie lotte interne e cominciare di nuovo la lotta comune”. Questo è un errore. Il Partito non deve allearsi ai moderati. Sono essi che in perfetta buona fede hanno innumerevoli volte tradito il movimento, e lo faranno ancora alla prossima occasione, e poi ancora alla prossima. Chi scende a un compromesso con essi uccide la rivoluzione. Hai scritto: “Quando la casa brucia, tutti devono contribuire a soffocare l’incendio; se continuiamo a discutere sulle teorie, l’incendio ci ridurrà tutti in cenere”. Altro errore. Noi combattiamo il fuoco con l’acqua; gli altri con l’olio. Pertanto dobbiamo prima decidere quale è il sistema giusto, se l’acqua o l’olio, prima di unire le brigate dei pompieri.


Quando Rubasciov torna in Russia dopo due anni di carcere in Germania trova che molti degli uomini barbuti della fotografia non esistevano più e che i loro nomi non potevano nemmeno essere pronunciati e per questa ragione rimane solo 15 giorni prima di essere inviato in Belgio sui sua richiesta dove gestirà la ribellione dei portuali.


Un’immagine gli comparve alla mente, una grande fotografia in una cornice di legno: i delegati al primo Congresso del Partito. Erano seduti attorno a una grande tavola, chi con i gomiti puntati sopra, altri con le mani sulle ginocchia; seri e barbuti tutti guardavano fisso verso l’obiettivo. Sopra ogni testa si vedeva un piccolo cerchio, che racchiudeva un numero corrispondente a un nome stampato ai piedi della fotografia. Tutti erano solenni, solo il vecchio che presiedeva aveva un’espressione scaltra e divertita negli occhi obliqui da tartaro. Rubasciov era il secondo alla sua destra, col pince-nez sul naso. Il N. 1 era seduto all’altro capo della tavola, in fondo, massiccio e quadrato. Sembrava la riunione del Consiglio municipale di una cittadina di provincia, e preparavano invece la piú grande rivoluzione della Storia. Erano a quel tempo un pugno d’uomini di una specie interamente nuova: filosofi militanti. Conoscevano tutti le prigioni delle città europee come i viaggiatori di commercio conoscono gli alberghi delle loro “piazze”. Sognavano la conquista del potere per abolire il potere; di governare sul popolo per svezzarlo dall’abitudine di essere governato. Tutti i loro pensieri si trasformavano in fatti e tutti i loro sogni divenivano realtà. Dove erano? I loro cervelli, che avevano cambiato il corso del mondo, avevano ricevuto ognuno una scarica di piombo. Chi nella fronte, chi nella nuca. Solo due o tre s’erano salvati, erano spersi per il mondo, logori, finiti. E lui; e il N. 1.


Nonostante ciò Rubashov va in Belgio a gestire la espulsione degli scaricatori, fa espellere i capi della sezione e denuncia il loro leader Nano Loewy come agente provocatore ed è nel periodo belga che Rubashov entra in contatto con labbro leporino il figlio di un diplomatico che sarà utilizzato per imbastire le accuse contro di lui.

In epoca staliniana le eliminazioni seguono due strade:

  • la pratica amministrativa (storicamente ampiamente utlizzata contro i tecnici e gli agronomi) in cui il partito decide che non ci sia interesse ad arrivare al processo e si viene eliminati direttamente su indicazione degli inquirenti (è quanto accade ad un vecchi amico di Rubashov, Bogrov per una questione relativa al tonnellaggio dei sottomarini).
  • il processo pubblico che viene istruito utilizzando chiamate di correità, confessioni, raccolte di documentazione mentre il potenziale imputato è in libertà, si perfeziona con l'arresto e gli interrogatori notturni che hanno la funzione di portare l'imputato allo sfinimento sino a fargli ammettere qualsiasi cosa pur di riposare e che ha come livello massimo di perfezione la ammissione, da parte dell'imputato delle verità più assurde sino al pentimento finale e alla richiesta di espiazione (inclusa la morte) in nome del socialismo.

Rubasciov è un dirigente rivoluzionario e dunque la sua pratica viene affidata ad un amico della prima ora, il giudice Ivanov che si trova ad interagire con un sottoposto della generazione successiva Gletkin, un fanatico convinto che l'imputato vada spezzato distruggendolo. Anche Ivanov, dopo che è riuscito a convincere Rubashov della sua colpevolezza, finirà eliminato per via amministrativa e la pratica passerà all'esperto in confessioni e connessioni in cui da un pelo si costruisce una pelliccia: Rubashov ha ammesso di avere sbagliato convinto dai ragionamenti di Ivanov e Gletkin farà il resto.

Rubashov, reso dubbioso dalle cose che ha visto, ha dei dubbi sull'Io e sul Noi. La dottrina rivoluzionaria si basa sulla divisione aritmetica: l'individuo è il frutto della divisione "una moltitudine di un milione divisa per un milione" ed è su questi temi che viene convinto da UIvanov, ma alla fine, nella sua cella, dopo che il processo si è concluso con la condanna alla fucilazione Rubashov continua ad interrogarsi.


Per che cosa muori tu, in realtà?”, non trovava alcuna risposta. C’era un errore nel sistema; forse consisteva nel precetto, ch’egli aveva considerato finora incontestabile, in nome del quale aveva sacrificato gli altri ed ora egli stesso veniva sacrificato: nel precetto, che il fine giustifica i mezzi. Era questa frase che aveva ucciso la grande fraternità della Rivoluzione e gettato tutti allo sbaraglio. Che cosa aveva scritto egli una volta nel suo diario? “Abbiamo gettato a mare tutte le convenzioni, la nostra sola guida è quella della logica conseguente; navighiamo senza zavorra etica.

Forse la radice del male era tutta qui. Forse non s’addiceva all’umanità navigare senza zavorra. E forse la ragione soltanto era una bussola difettosa, che faceva seguire una rotta cosí tortuosa da fare sparire nella nebbia il punto d’approdo. Forse ora veniva il tempo della grande tenebra.

Forse piú tardi, molto piú tardi, il nuovo movimento sarebbe sorto… con nuove bandiere, con un nuovo spirito, conscio e della fatalità economica e del “senso oceanico”. Forse i membri del nuovo partito avrebbero portato tonache fratesche e predicato che solo la purità dei mezzi può giustificare il fine. Forse avrebbero insegnato ch’è fallace il detto secondo cui un uomo è il prodotto di un milione diviso per un milione e avrebbero introdotto una nuova specie di aritmetica basata sulla moltiplicazione, in modo da formare con un milione di individui una nuova entità che, non piú massa amorfa, sviluppasse una coscienza e un’individualità propria, con una “sensazione oceanica” accresciuta di un milione di volte, in uno spazio illimitato e tuttavia contenuto in se stesso.


Potrei riempirvi di altre decine di citazioni. Il processo razionale che porta Rubashov ad accettare la sua colpevolezza è complesso.Il moderno Prometeo si è annullato nel Partito, ha ammesso di essere al servizio della storia e null'altro conta. I comportamenti delle teste numerate mandate alla fucilazione dal numero 1 sono stati tra loro diversi: c'è chi ha confessato e chiesto la grazia, c'è chi ha ammesso la organizzazione di una opposizione ed è andato con dignità nel corridoio delle cantine della Lubjanka, chi come Zinov'ev è crollato psicologicamente e ha dovuto essere sorretto dai carcerieri. Una tragedia raccontata con grande attenzione all'uomo e alla storia, i due corni del dilemma.


Arthur Koestler

Buio a Mezzogiorno




Il caso Tulaev – di Victor Serge (recensione)

Victor Serge (Viktor L'vovič Kibal'čič Bruxelles 1890 – Città del Messico 1947) è un rivoluzionario e scrittore nato in Belgio da profughi russi antizaristi che ha avuto una esistenza all'insegna dell'impegno politico rivoluzionario in Francia, in Spagna, in URSS, poi in giro per l'Europa per conto della III internazionale, poi di nuovo in URSS dove è stato arrestato e confinato perché si era schierato con la opposizione di sinistra, dopo essere stato liberato ed espulso per effetto delle pressioni internazionali è tornato in Francia e poi in Messico dove è morto di infarto, in povertà, su un taxi (ma gli ambienti anarchici sostengono che sia stato assassinato da Vittorio Vidali per conto di Stalin).

Da un certo momento in poi della sua vita si è dedicato ai libri: romanzi contro il totalitarismo e scritti di riflessione sulla esperienza rivoluzionaria in Russia di cui fu un protagonista. Questa vita personale ricca e complessa è descritta nella sua autobiografia Memorie di un rivoluzionario un libro affascinante per la descrizione delle pieghe e della complessità dell'animo umano attraverso la storia di una vita.

Ma qui vi voglio parlare di un romanzo scritto tra il 1940 e il 1942 prima in Francia e poi in Messico e dedicato al clima di sospetto e terrore in URSS culminato nei tre processi di Mosca con cui vennero eliminati fisicamente quasi tutti i membri della vecchia guardia bolscevica prima prendendo spunto dall'attentato a Rykov e poi nel delirio della lotta alle opposizioni di destra e di sinistra.

Quando Serge scrive, quei processi, quegli annientamenti psicologici, quelle fucilazioni ci sono già state, ma in Europa non se ne parla e Serge anticipa tematiche sul totalitarismo e sul regime criminale di Stalin che diventeranno oggetto di discussione e riflessione solo a partire dalla seconda metà degli anni 50 (inclusi i gulag).

La forza del libro sta nella realtà romanzata che consente di ripercorrere le storie personali, di descrivere la vita nelle città e nelle campagne, di analizzare la struttura sociale della realtà sovietica, di raccontare la struttura di un sistema totalitario gigantesco in cui si mischiano un po' di fatalismo, la convinzione di essere nel giusto, il bisogno di tutelarsi diffamando e agendo con prudenza, la capacità di tener duro perché è meglio sbagliare con il partito che avere ragione da soli.

Prendo dal frontespizio del libro: Mosca 1938. Il giovane Kostja uccide Tulaev, membro del comitato centrale del Partito Comunista. In seguito all’attentato, la polizia segreta organizza la ricerca non tanto dell’esecutore materiale, quanto dei responsabili morali che, con il loro atteggiamento critico dello stalinismo, avrebbero contribuito a creare il clima in cui è maturato il delitto. Cinque sono i colpevoli designati: l’intellettuale Rublev, l’alto commissario di polizia Erchov, il contadino-soldato Makeev, il vecchio bolscevico Kondriatiev e il trockista irriducibile Ryjik.

Ci sono i 5 imputati, il giovane assassino omicida per un raptus per lui inspiegabile e inspiegato, il mondo dei giudici governato da un vecchio rivoluzionario che si è adeguato al sistema Popov e c'è persino il capo Stalin che interviene in diversi momenti interagendo con alcuni dei protagonisti.

Nei 10 capitoli possiamo distinguere due fasi: il fatto e l'inquadramento dei personaggi, il loro ruolo, le loro miserie, l'ascesa e la caduta in disgrazia mentre nella seconda parte viene tessuto il filo delle imputazioni:

I Le comete nascono di notte
II Le spade della giustizia sono cieche
III Gli uomini accerchiati
IV Costruire vuol dire perire
V Viaggio attraverso la sconfitta
VI Ognuno s’annega a modo suo
VII La valle dell’oblio
VIII La via dell’oro
IX Che la purezza sia tradimento
X Lo slittamento della banchisa continuava…

Serge traccia uno spaccato della società sovietica, ai vertici con l'apparato repressivo e poliziesco e alla periferia con la vita nelle città (in primo luogo Mosca), quella nei colchoz, i piani che vengono continuamente disattesi e rifatti, quella della Russia profonda a nord del circolo polare o est degli Urali. Incombe una strana paura mista alla fiducia: ci sarà la guerra e dunque bisogna stringersi intorno al partito, le cose che non vanno si vedono ma non possono nemmeno essere pensate, perché il solo pensarle sarebbe indice di cedimento oltre che di rischi.

Il sistema repressivo è molto diverso da quello dei totalitarismi nazifascisti. C'è una specie di dispotismo garantista: sarai fucilato in quanto traditore, ma lo stato socialista ti accudisce, ti garantisce prigioni tutto sommato decenti, ti nutre, hai accesso ai libri e allo scrivere perché il punto di arrivo deve essere la confessione. Non si sa di cosa e non lo sanno nemmeno gli inquirenti.

Ti danno del lei e ti chiamano cittadino ora che non sei più compagno. Sarebbe bello che Rublev, Erchov e Makeev fossero parte di un grande complotto ordito contro il partito, ma vengono a mancare quelli che erano stati pensati come i due capisaldi: il vecchio bolscevico Kondratiev e il trotkista Ryjk.

Kondratev al ritorno da una missione nella Spagna repubblicana (che sta soccombendo ai franchisti) si rivolge direttamente a Stalin per denunciare l'agonia della repubblica dovuta alla mancanza di armi e di sostegno oltre che la insensatezza della persecuzione degli anarchici e dei trotkisti. E' l'unico che si rapporta a Stalin dalla forza del suo passato e Stalin accetta di discutere con lui di solitudine, dello stato del partito, lo premia depennandolo dal libro nero degli inquirenti e lo manda nell'estremo oriiente ad occuparsi di controllo delle miniere d'oro.

Ryjik si trova da anni deportato in un'isola del Mar Bianco in un luogo dove si campa di misera pesca con reti dell'800 e dove però arriva l'ordine di rientro a Mosca. Un viaggio lungo, prima su una slitta con le renne, poi a piedi e su treni via via più efficienti man mano che ci si avvicina a Mosca e la verità sul rientro si svela. Non è la fine dell'esiilio ma una nuova imputazione. Ryjik nel carcere finale dove tutto è asettico e dove la preoccupazione principale degli inquirenti è che l'imputato confessi, chieda perdono e, soprattutto non si ammazzi, ingaggia la sua sfida e riuscirà a morire praticando la non violenza.

Ho preferito non tediarvi con le citazioni. Gustatevi il racconto e riflettete sul mancato rapporto tra il popolo russo e la democrazia. Un tema attuale anche ai tempi di Putin.


Il caso Tulaev

Victor Serge

Fazi Editore Pagine:428 Codice isbn:9788893252584 Prezzo € 18 Prezzo E-Book € 6.99


Questa è la pagina delle recensioni dei romanzi




Addio Milano Bella – di Lodovico Festa

Siamo nel febbraio del 1993 e l'ingegner Mario Cavenaghi, vice e poi presidente dei Probiviri della federazione di Milano del PCI (ma allora si chiamava Commissione Centrale di Controllo) protagonista di La provvidenza rossa e di La confusione morale, vive a Lugano dove si è trasferito nell'89 (dopo oltre vent'anni di politica al primo posto e con un incarico particolarmente delicato). Si è rimesso a fare l'ingegnere occupandosi di impianti di depurazione ma un giorno si fa vivo un amico dei vecchi tempi Cecco Fani. 

Fani, un tempo, faceva il cerimoniere rosso occupandosi delle delegazioni straniere in visita e ora, con il crollo di quel mondo, è stato comunque riciclato. Anche nella crisi il partito non molla i suoi fedeli ed è stata creata per lui una agenzia investigativa che, dice Fani, "da una parte aiuta, secondo le possibilità del nuovo codice di procedura penale, innanzitutto quelli rimasti fedeli al partito coinvolti nei vari processi, e dall’altra utilizza le mie relazioni internazionali, per quanto terremotate dalla fine del movimento comunista, per indagini commissionate da imprese interessate a espandersi in vari mercati, soprattutto dell’Est”.

Nella federazione di Milano è successa una cosa strana cui se ne è aggiunta, forse collegata alla prima, una ancora più grave sia per le finanze sia per la immagine del PDS.

La prima cosa strana

In alcune sezioni della città e della provincia nel primi giorni di gennaio del 1993, si è fatta viva, con i segretari di sezione una avvenente rossa dagli occhi verdi, Maria Fioravanti che, agendo per conto di una fondazione olandese (l'Istituto internazionale di storia sociale in sigla: IISG)., ha offerto gratuitamente ad alcuni compagni ben individuati da lei, dei viaggi verso alcuni paesi in cui i comunisti tengono duro e governano o sono impegnati nella lotta armata. Si tratta di Cuba, del Vietnam, del Kerala, del Sud Africa, della Palestina e sono state coinvolte le sezioni della Fiera, dell'Ortica, del Corvetto, di Quinto Stampi frazione di Rozzano e di Cusano MIlanino.

Quando la federazione si rende conto che la storia dei viaggi è una cosa strana e seria, sia nelle modalità, sia nelle finalità affida alla agenzia di Fani il compito di indagare. Ma nel frattempo è successo dell'altro.

La seconda cosa strana

Il 9 dicembre del 92, racconta Fani, il vice dei probiviri Tentore ha un infarto, finisce in ospedale e dopo la dimissione muore a casa.

"Tu conosci il sistema di custodia delle chiavi per accedere alla nostra ‘safe house’ e alla cassaforte lì collocata, che contiene risorse per evenienze drammatiche. Per aprire la porta dell’appartamento, per così dire clandestino, serviva e serve una chiave, molto sofisticatamente punzonata, e questa è conservata dall’amministratore del partito, e un’altra chiave, anche questa assai sofisticata, affidata al vicepresidente dei probiviri, è necessaria per aprire la cassaforte nel locale segreto. Un tempo le risorse custodite nell’appartamento clandestino non venivano di fatto utilizzate. Erano l’estrema riserva da usare in situazioni eccezionali tipo colpo di stato”.

Per le necessità ordinarie si usavano i libretti al portatore ma, in piena tangentopoli, la via ordinaria era diventata pericolosa e si iniziò ad usare il tesoretto anche per le spese più ordinarie. Il giorno dell'infarto il Tintore aveva entrambe le chiavi perchè aveva dovuto prelevare trecentomila lire per sistemare dei tubi del riscaldamento della
federazione e non c’erano i soldi per ripararlo. Il vicepresidente, dopo il prelevamento, aveva lasciato i soldi a casa, ma ebbe l'infarto prima di restituire le chiavi dell'appartamento e morì due giorni dopo. Le chiavi vennero restituite dalla sorella il giorno dei funerali in una busta in cui Enzino aveva scritto "per la federazione"

Si arriva ai primi di gennaio e servono altri soldi ancora per quei maledetti tubi. Se ne occupa Piera Annovazzi che ha preso il posto di Tintore; va all'appartamento apre la cassaforte e scopre che sono spariti 2 miliardi dei 6 che vi erano contenuti. Panico, non deve trapelare nulla, perché chi ha rubato ha preso solo 2 miliardi? C'è qualche connessione con i viaggi sponsorizzati? Bisogna capire e bisogna recuperare i soldi. La federazione mette in pista due vecchie conoscenze di Cavenaghi, la sua vecchia segretaria Giannina Annoni e un dirigente storico che è stato segretario della federazione negli anni 60 Leopoldo Rotelli. Ma le domande restano senza risposta e il segretario Brambilla comprende che occorre una svolta.

Interessante il fatto che il nuovo gruppo dirigente occhettiano (Fumagalli-Brambilla è stato imposto da Occhetto-Papperi contro il candidato migliorista Borghini) strizzi l'occhio ai magistrati al punto di nominarne uno in pensione (Marco Broni), ma contemporaneamente si comporti secondo i moduli cominternisti: al posto di comando un uomo immagine, ma l'uomo immagine non deve sapere le cose e il potere vero resta nelle mani del vicepresidente. Dice Brambilla "Marco Broni, non deve neanche sospettare cosa stiamo combinando. Ora, poi, è fuori Milano. E in generale non deve sfuggire all’esterno alcun particolare di quel che è avvenuto e sta avvenendo. Nessuno potrebbe impedire alla magistratura di montare un nuovo tremendo scandalo di fronte a qualche indiscrezione".

Fani ha la necessità, dopo quello che è accaduto all'interno, di spiegare la scelta, presa unitariamente, di rivolgersi a Cavenaghi: "È dall’87 che si susseguono profonde divisioni prima nel gruppo dirigente cittadino, e poi, dopo le indagini del ’92, anche nella base, tra gli iscritti. Milanesi contro romani, garantisti contro giustizialisti, operai contro intellettuali, centro storico cittadino contro periferie, riformisti contro rivoluzionari e così via. Il nostro antico amalgama, quasi perfetto, di ceti e culture, con al centro una comune ispirazione ideale e un ceto più o meno astratto di riferimento, la classe operaia, è diventato una sorta di ‘maionese impazzita... In una chiacchierata con il segretario e Rotelli si è convenuto che, per indagare il nostro passato, ci voleva una persona con maggiore autorità ‘storica’ di un cerimoniere in disarmo quale sono io. Si trattava di impegnare un compagno che fosse stimato, così da poter parlare a tutti i nostri iscritti comunque si fossero sparpagliati, e tale autorevolezza avesse mantenuto in questi anni, magari grazie al fatto di essersi tenuto fuori dai più sanguinosi e recenti scontri interni”.

Cavenaghi viene messo al corrente della situazione dall'amico Rotelli e incontra in Federazione il segretario Brambilla. "Brambilla aveva, pur con la morte nel cuore, avallato vaste epurazioni di persone che, pur divergendo da lui, stimava. Il centralismo democratico aveva retto ancora qualche anno dopo la morte e trasfigurazione del Pci. Certi legami continuavano a essere solidali al di là delle posizioni politiche, ma si considerava inevitabile mettere la difesa degli interessi del partito prima di tutto, anche dei sentimenti. Ancora negli anni Novanta una consolidata attitudine impediva di prendere atto di come il partito non fosse più quello per certi versi terribile, simbolizzato dalla falce e martello incrociati, ma quello alla nutella che si presentava con la quercia di Cip e Ciop".

Anche Brambilla è disorientato e propone a Cavenaghi un doppio incarico: quello riservatissimo di scoprire cosa è successo e recuperare i soldi e quello di copertura (ma non solo) approvato dal comitato federale di effettuare una indagine tra compagni e cittadini autorevoli per scoprire quale sia l'indice di gradimento del nascente PDS. "Uno degli elementi di forza del nostro partito è sempre stata la capacità di esercitare un’analisi articolata delle situazioni in cui ci si trovava. Capire le tendenze di lungo periodo, le ragioni nascoste dei fenomeni, studiare gli argomenti degli avversari e così via. Nel paciugo scandalistico propagandistico in cui siamo immersi, questo tipo di analisi sta diventando praticamente impossibile." e Cavenaghi sintetizza così: "Insomma, devo fare un lavoro a metà tra Gramsci e Poirot”.

Cavenaghi inizia la sua indagine fatta di incontri con dirigenti del partito, quadri intermedi, intellettuali, esponenti della società civile, dirigenti delle strutture collaterali, imprenditori, socialisti, rifondaroli di Borrutta-Cossutta, intellettuali, docenti universitari, dirigenti industriali, vecchi partigiani/e, addetti culturali del consolato russo e naturalmente tutti i compagni/e che hanno partecipato ai viaggi (in coda alla recensione ho messo un elenco alfabetico dei principali).

Sono particolarmente interessanti gli incontri che Elettra Ranieri (alias Eva Cantarella) gli organizza con giornalisti, bamchieri, femministe, professori, esponenti della borghesia milanese perché ci danno uno spaccato della Milano che conta e del grado di penetrazione dell'alllora PCI-PDS. Festa, come nei romanzi precedenti mescola personaggi veri a personaggi inventati e, per quelli veri si diverte ad occultarne il nome giocando con le metafore e gli anagrammi. Un caso per tutti: Achille Occhetto diventa Ettore Papperi.

L'indagine dura esattamente due settimane da lunedì 8 febbraio a domenica 21 febbraio 1993 , il tempo che la potentissima moglie di Cavenaghi (Carla Massarenti) gli ha concesso dopo una difficile trattativa. Carla si rende conto che se Mario decide di tornare a Milano la cosa è grossa. Quando aveva parlato di andarsene a Lugano con sua moglie, la Carla, lei, da sempre rigidamente anticomunista, gli aveva chiesto: “Hai perso la fede?”. “La cosa è più complicata, è Dio che è morto” aveva risposto lui. “Talvolta risorge”. “In ogni caso quello con la falce e il martello incrociati non ci metterà sicuramente tre giorni a riapparire”.

Oltre agli incontri che, come nei romanzi precedenti, consentono a Festa di descrivere la complessità del popolo e dell'imprinting dei comunisti milanesi (ma anche dei borghesi e degli intellettuali) il romanzo ha altri protagonisti che i milanesi doc potranno gustare e i non milanesi intravvedere: l'urbanistica di MIlano, le chiese, i mezzi pubblici, i quartieri con i loro riferimenti storici, le trattorie e i ristoranti, i negozi specializzati.

Come nei romanzi precedenti sono gli incontri a fare da filo conduttore e questa volta ci sono alcune diversità: c'è molto meno proletariato in senso stretto, incombe la problematica di Mani Pulite con gli arresti e il susseguirsi, a stllicidio delle indagini in ambito locale e nazionale, c'è il tentativo di raccontare il disorientamento e la diversità comunista (come eredità togliattiana).

A proposito di informazione c'è un altro appuntamento fisso ogni mattina: il telegiornale della Svizzera Italiana, molto diverso dai nostro TG nella selezione della gerarchia delle notizie e la lettura del Corriere della Sera e dell'Unità. Festa ha fatto un lavoro minuzioso di consultazione e lo ha riversato nel diario della indagine.

I giorni passano, gli incontri si susseguono e si delinea un quadro di opinioni diversificate su quello che sta succedendo con Mani Pulite da chi ci vede la palingenesi della sinistra che, fatta pulizia, sarà investita di un consenso plebiscitario e governerà, a chi si preoccupa per le sorti della democrazia e della politica. I più attenti, tra manager e imprenditori sono preoccupati dal declino strutturale dell'Italia che conta poco e sta svendendo la sua base produttiva.

Sul versante dei viaggi offerrti dalla Fioravanti in molti sottolineano che, per il modo con cui sono stati ricevuti e trattati i partecipanti, che ricordava le delegazioni ufficiali di quando il comunismo era una cosa seria, non si è trattato di un banale giro turistico. Qualcuno dei partecipanti, più attento, osserva che ogni tanto appaiono altri stranieri dagli inconfondibili tratti russi pur se travestiti da europei. La maggioranza degli intervistati (inclusi gli stessi dirigenti di Rifondazione) esclude però che possa eccesi di mezzo Rifondazione di Borrutta-Cossutta.

Alla fine è Cosimo Marchetti che, per lavoro, ha avuto modo di frequentare l'ex URSS a fornire una prima traccia utile per dare un senso a quei viaggi mentre sarà più ardua la identificazione dei protagonisti. Tante sorprese e un lieto fine che, come si conviene per i gialli, non viene svelato qui: i soldi tornano al loro posto e Cavenaghi se ne può tornare a Lugano con dei marron glacè speciali per la Carla, non prima di aver presentato anche il suo rapporto scritto su come MIlano vede la fase finale della sparizione del PCI e il parto poco efficace che ne segue.

Ho pensato di fare cosa utile nel pubblicare qualche citazione rilevante tratta dagli incontri di Cavenaghi che, come al solito, trottola per Milano.

citazioni dai personaggi


un avvocato garantista: Pietropaolo Pezzullo

Se un’impresa, che nell’85 era un ente di diritto privato, diventa improvvisamente un ente pubblico, giustificando i reati di corruzione e concussione. Se il finanziamento illecito viene appesantito dal reato di falso in bilancio, che prima non veniva contestato con qualche ragionevolezza in punta di un diritto perché sin da Roma antica si evita di processare chiunque due volte per lo stesso reato. Se la custodia cautelare, da elemento di garanzia degli inquirenti contro manipolazioni delle prove e altro, diventa uno strumento di sfregio sociale, una sorta di tortura per ottenere confessioni.Se si costituisce un sistema di collusione tra magistratura inquirente e avvocatura, con l’impegno specifico di alcuni pm a far scegliere gli avvocati di loro fiducia agli imputati. Se i patteggiamenti avvengono in un’area oscura dove non sono chiari i benefici che l’imputato ha quando coinvolge altri indagati. Se si mette in piedi un’inquisizione mirata non a colpire reati ma i presunti colpevoli o ancor peggio tutti coloro che per la loro funzione avrebbero potuto resistere politicamente alla svolta repressiva impostata dalla Procura di Milano. Tutto ciò incrina profondamente quel sistema di garanzie che protegge la libertà degli italiani (pag. 120).

E la situazione diventa ancora più grave se prende in considerazione l’unilateralità, nella scelta degli obiettivi, che viene praticata. C’è la municipalizzata, che ha rapporti essenzialmente con il partito milanese che viene rivoltata fino in fondo. C’è la municipalizzata che ha rapporti con la direzione nazionale dello stesso partito, con cui è utile avere una qualche alleanza, che viene sfiorata dalle indagini. C’è l’area d’interessi di un imprenditore che si vuole togliere di mezzo a meno che non consegni la preda più ambita, cioè Craxi, sconvolta dalle indagini. C’è poi l’impresa soggetta a un evidente trattamento di favore dalla pubblica amministrazione, che non viene neanche considerata, perché la proprietà è organica al blocco sociale che appoggia le indagini. C’è il sindaco evidentemente perbene e onesto, che viene sottoposto a un linciaggio senza precedenti. C’è il presidente della Regione che viene protetto magari grazie al sacrificio di un suo uomo di fiducia. C’è il banchiere che viene eliminato grazie a voci dei suoi concorrenti. C’è quello che può fare qualsiasi cosa e passa indenne. C’è l’amministratore cittadino del partito di governo che viene eliminato dalla scena e c’è l’amministratore regionale, dello stesso partito ma di un’altra corrente, le cui accuse sono declassate e a cui soprattutto viene evitato di essere spremuto per ottenere chiamate di correità. E lasciamo perdere le voci non provate su informazioni su conti svizzeri degli indagati, passate ai magistrati da servizi segreti stranieri. Voci incontrollate, ma la cui gravità è già solo nell’essere immaginabili...
Vede, questa non è una rivoluzione, è un’operazione che vorrebbe affermare il trionfo del diritto. È evidente che in una situazione di emergenza si finisca per ricorrere a scelte di emergenza. Come però ha spiegato bene Cossiga, è indispensabile distinguere l’emergenza dal diritto, altrimenti si produce una distorsione non più risanabile del carattere liberaldemocratico del sistema istituzionale...
Se si crea uno scompenso strutturale tra ordini forti come la magistratura e poteri deboli dello Stato, questo assetto tenderà a essere permanente. Infatti, se chi ha organizzato questo sbilanciamento è in grado di autoproteggersi, per evitare di rispondere degli errori del passato o di perdere la centralità acquisita, gli effetti saranno permanenti.
Ogni volta che si cercherà di dare una razionalità allo Stato, la potente parte sbilanciante comincerà a gridare che sono i corrotti che vogliono una rivincita e puntano a restaurare un sistema d’impunità. Ogni tentativo di avviare una riflessione costituente sarà stroncato inesorabilmente...
Ci siamo messi questa terribile scimmia dello strabordare dei poteri giudiziari sulle spalle e non ho idea di come la faremo scendere. Ho invece qualche idea sulle conseguenze che questa situazione determinerà. La prima sarà quella di incrinare quel poco di autonomia nazionale che, tra le varie alleanze e organizzazioni sovranazionali, ci resta, già ora non comparabile con quella degli altri grandi
Stati europei. Il potere, anche quello improprio, deve sempre avere una base economico-sociale che lo legittimi e insieme lo sostenga. Se logori le istituzioni della sovranità popolare del tuo Paese, la base di cui parlo – almeno finché si rimane una repubblica liberaldemocratica – non potrai che cercarla fuori dalla tua nazione. Non è una volgare questione di complotti, neanche di complicità soggettive. Diventa un fatto naturale. Se strategicamente declassi le istituzioni nazionali ti condanni a essere ridimensionato
internazionalmente, e se in questo contesto non vuoi essere ridimensionato come corporazione, devi in qualche modo appoggiarti a sistemi di influenza straniera. Tendenza che le altre nazioni, con ancora un ordine democratico bilanciato, possono invece contrastare. La seconda considerazione che va tenuta presente è sul livello di degenerazione che la lotta politica subirà in questo contesto. Se le competizioni tra partiti e movimenti non saranno più su visioni e programmi, ma su chi è più onesto, tutte le contese saranno centrate non sul costruire un’alternativa all’avversario, ma sul suo sputtanamento personale. Il che poi verrà a essere
certificato dal grande fratello in toga. La terza riflessione è sul fatto che tutta questa svolta non risolverà neanche il problema della corruzione diffusa, perché questa è veramente contrastabile se i cittadini hanno fiducia nello Stato e se i loro rappresentanti hanno un senso di missione nel loro incarico. Se lo Stato viene rappresentato solo come una mangiatoia, chi si impegnerà a lavorarci dentro politicamente tenderà ad avere solo l’arricchimento patrimoniale come obiettivo”.


Fabrizio Franconi – COMIT e Mediobanca – dove va l'Italia'

Il nostro Paese è a un nuovo passaggio epocale, in cui si decide il posto che avrà nella divisione del lavoro in un mondo sempre più globalizzato. Se si manterranno le forme storiche di accumulazione che hanno consentito al nostro capitalismo con scarsi capitali di affermarsi non solo nei settori sostenuti dall’esportazione, o se si rinuncerà a questa scelta, se si accetterà che i settori chiave per sostenere il nostro prodotto interno diventino il turismo, la moda, il design, la qualità del cibo”.
“E la nostra potente piccola e media industria?” chiese Cavenaghi.
“Questa ha bisogno di una grande industria che le fornisca con materie prime trattate o semilavorati e con la ricerca, l’ambiente nel quale crescere. Altrimenti diventerà in larga misura un’attività terzista per industrie straniere, loro sì protagoniste dei mercati mondiali...

Ora il sistema che ha retto il nostro impetuoso sviluppo potrebbe essere smantellato senza che neanche vi sia una discussione pubblica. Nelle altre fasi in cui si sono decisi i destini dell’Italia, si considerino gli inizi del Novecento e il dopo ’47, il dibattito non solo politico ma anche teorico è stato vivacissimo. Quello che sconcerta oggi è che non vi sia più un vero confronto di idee con una qualche qualità culturale. Quella mancanza di leader di cui dicevo prima si accompagna a interventi sul tipo di accumulazione capitalistica di cui avrebbe necessità l’Italia, che tendono a essere ragionieristici, retorici e spesso paiono nascondere le iniziative di chi non vuole risolvere i problemi in campo, ma alla Guicciardini curare il proprio particulare. Ed è in questo quadro che potrebbe tramontare la grande Mediobanca che ha accompagnato lo sviluppo italiano”.


Sebastiano Allodoli – già presidente Istituto Gramsci – le classi e la politica durante le crisi

Lasciami far sfoggio della mia memoria e citare i Quaderni del carcere dove il nostro sardo approfondisce questo concetto: ‘A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costruiscono, li rappresentano e li dirigono, non sono più riconosciuti come loro espressione dalla loro classe o frazione di classe. Quando queste crisi si verificano, la soluzione immediata diventa delicata e pericolosa, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali e carismatici’. È difficile non riscontrare negli avvenimenti in corso in Italia una conferma di queste parole ...

Permettetemi un’ultima avvertenza, quella ricordata con precisione da Marx. La soluzione di una crisi generale non è sempre nel segno del progresso, la possibilità della catastrofe è sempre uno degli esiti in ballo. Elettra e io, che studiamo appassionatamente la storia romana, siamo ben consapevoli di che cosa accade all’impero di occidente tra il quarto e il sesto secolo: regioni come la Britannia passarono da tenori di vita, che riconquisteranno nel Rinascimento, a un livello di consumi da età della pietra. Chi oggi distrugge tutto, indifferente a quel che si potrà ricostruire, dovrebbe studiare con attenzione la storia


Bobo Cicogna – ex Magneti Marelli – viaggio a Cuba

“Ho visto che sei stato a Cuba. Enri mi ha parlato della tua soddisfazione per il viaggio” aprì Cavenaghi.
“In questi nostri tempi così scombussolati essere entusiasti è sempre un’esagerazione. Certo l’Avana è incantevole, i cubani sono un popolo bello e orgoglioso, l’accoglienza del partito è stata calorosa, alcune statistiche su sanità e istruzione parlano da sole. Però quando sono andato a mangiare con una ragazza, questa alla fine del pranzo ha chiesto al cameriere di farle un pacchetto per gli avanzi. Io le ho chiesto se aveva un gatto. No, mi ha risposto, è per mia madre” così Cicogna.


Sandra Novelli – ex presidente provincia – ingraiana

Le scelte che abbiamo fatto tra il ’75 e l’85 hanno fissato obiettivi di grande prospettiva per la metropoli e il suo circondario. Così le linee di metropolitana, così il passante ferroviario, così tanti edifici per scuole e ospedali di ottima qualità. Tra quelli che hanno favorito questi risultati vi sono anche coloro che partecipavano al sistema di finanziamento illecito della politica. Papperi li chiama ora ‘i suoi nemici’, ma lo erano non perché il Centro del partito non usufruisse di finanziamenti illeciti bensì perché assicuravano che una fetta delle risorse rimanesse a Milano, non finisse tutta a Botteghe oscure. L’attacco, soprattutto a dirigenti milanesi della Lega cooperativa, a mio avviso, non è corretto. Senza certi compagni, Milano non avrebbe fatto scelte che le aprono un futuro migliore”.

“Ma i rialzi dei costi degli appalti, i ritardi, la frammentazione delle imprese utilizzate per avere il consenso di tutti, le piccole tagliole messe da chiunque avesse un ruolo nel processo decisionale. Questa realtà non mi pare inventata”.
“Sono tante le ragioni che non ci hanno consentito di avere un sistema legislativo e amministrativo abbastanza trasparente come quello di altri grandi Paesi europei, dalla Francia alla Germania alla Gran Bretagna. A partire dai condizionamenti della Guerra fredda. E alla fine degli anni Ottanta certe prassi in sé non commendevoli, ma frutto di compromessi con la realtà storica per quella che essa era, sono degenerate fino a livelli intollerabili. Ciò però non consente di fare di ogni erba un fascio, e di linciare moralmente persone che hanno non solo fatto il proprio dovere, ma gli interessi delle comunità che amministravamo o in cui comunque operavano”.
“Non credo, visto il clima, che le tue posizioni possano raccogliere un grande consenso”.
“Talvolta non si possono dire alcune verità in pubblico, ma se nei gruppi dirigenti non si riesce a dirsi la verità neanche nelle discussioni interne, non si andrà da nessuna parte”.


Cosimo Marchetti – dirigente ENI conoscitore dell'ex URSS

Oggi, nella nuova Russia, gli uomini di quello che fu il più potente servizio segreto del mondo si sono divisi in diversi filoni. C’è quello degli ubriaconi nostalgici di cui riferivi, ci sono agenti che si sono messi al servizio dei nuovi imprenditori, o lo sono diventati, e quelli che contribuiscono a dirigere una mafia potente e articolata. Non mancano quelli che intrecciano interessi imprenditoriali e criminali. Ci sono poi coloro che sono fedeli, da servitori dello Stato, al nuovo governo di Boris Eltsin e che man mano, a mio avviso, acquisiranno sempre più peso. C’è infine un segmento ancora ispirato dall’idealismo internazionalista che, nonostante tutti i crimini, non mancava nel cuore di una parte del potere sovietico.Di questi ultimi il punto di riferimento non è un uomo già del Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti, bensì un dirigente del partito. Il ruolo del servizio segreto in Unione sovietica era strategico. Senza la Ceka, il Nkvd, il Kgb e via via cambiando nome ma non sostanza, il Cremlino non sarebbe stato in grado di governare la Russia. Però, un solo kegebista diventò segretario del Pcus, cioè Yuri Vladimirovičč Andropov, e ciò avvenne nella fase finale della decadenza. Invece persino il ben più potente Lavrentij Pavlovič Beria non ce la fece e anzi finì fucilato. Il modello leninista infatti prevedeva che la guida del partito non dovesse e non potesse essere contestata – e con molte difficoltà – se non dentro il partito stesso. E ciò vale ancora per chi si richiama idealisticamente alla tradizione”....

“Ho avuto occasione di parlare diverse volte negli anni Settanta e Ottanta – quando i vertici dell’Eni mi spedivano a Mosca per capire che cosa stesse bollendo nelle teste dei sovietici – con un dirigente del Pcus che m’impressionò. Il suo ultimo incarico è stato di responsabile nel partito della direzione dell’Istituto per i rapporti con l’Europa occidentale. Un intellettuale raffinato, piccolo e magro, completamente sbarbato, e di una bruttezza così marcata, direi, quasi corrosiva. Tutto in lui accentuato: il naso curvo che primeggiava sul suo viso, la bocca dalle labbra sottili, le grosse lenti degli occhiali, di cerchiatura sottile davanti agli occhi di un grigio chiaro. E anche i suoi lunghi silenzi dai quali si deduceva quanto la sua parola dovesse essere incisiva e logica. Senza cappello, però ben vestito: giacca di panno turchino-scura a righe bianche di buon taglio moderno. Dietro l’ala idealista dell’ex kgb secondo me la mente è quella della persona che ti ho descritto. Quella di Andrej Nikolàevič Ostrovskis”.


Biagio Archi – dirigente CONAD

Tu sai che nel nostro antico mondo c’era di tutto: saggi e pazzoidi, responsabili e irresponsabili, pratici e intellettuali, mistici e scettici. C’era poi uno strato di quelli che chiamerei bravi compagni, che affrontavano le situazioni molto concretamente, con un’intelligenza tattica sopraffina, che sapevano valutare una situazione con il formidabile metodo dell’analisi articolata, e su quella base prendere iniziative politiche attente al nostro popolo e insieme ai nostri sistemi di relazioni e alleanze. Per una fetta decisiva di questa area di ‘bravi’ compagni il fondamento essenziale del loro impegno era una visione internazionalista della politica, la coscienza di essere parte di un grande movimento con un destino storico. Insomma, per usare le categorie molto approssimative del politichese comunista, erano di ‘destra’ nella prassi e di ‘sinistra’ nei principi. Ebbene, un gruppo importante di questi che ti ho descritto si distingue dagli orientamenti prevalenti in Rifondazione, spesso aspramente radicali ed espressione di cultura non di rado molto dogmatica, ma con la caduta dell’Unione sovietica e con il precipitare della situazione politica italiana via inchieste giudiziarie, sta andando fuori controllo. E ho la sensazione che questi siano in grado di intraprendere iniziative che nella precedente stagione della loro vita avrebbero giudicato orripilanti. Scusami se invece di parlare del popolo intorno a noi, che probabilmente costituisce il problema politico principale, ti descrivo un segmento del, per così dire, nostro storico esercito. Ma la tendenza che ti ho illustrato merita attenzione


Marcello Botta – cremlinologo

“Un tempo avremmo ragionato su una trappola orchestrata dai nostri sodali del Cremlino”.
“Ieri ne ho parlato con Cosimo Marchetti. Immagino che tu conosca quell’economista, autorevole dirigente dell’Eni e nostro compagno, pure lui reclutato in uno dei viaggi misteriosi, il suo in Sudafrica. Anche lui è, naturalmente, attento conoscitore del mondo moscovita come tutti gli uomini del petrolio italiano. Mi faceva l’analisi di quel che succede nell’ex Unione sovietica. Magari su questa analisi dovrei fissare di più la mia attenzione, chiedendo un parere a un cremlinologo sperimentato come te. Secondo
il Marchetti quelli che erano i padroni dello Stato, i comunisti russi, si sono divisi in quattro filoni: un’area più o meno mossa da patriottismo che sta cercando di salvare e modernizzare lo Stato, un’area affaristica spesso intrecciata alla potente mafia emersa dopo il ’91, un’area di ubriaconi nostalgici, quelli che hanno fatto il putsch da operetta contro Gorbaciov e ora alimentano riedizioni del vecchio partito bolscevico, e infine un’area di intellettuali, magari alquanto fanatici ma non deliranti, che non si arrendono alla fine del comunismo e insieme non vogliono inseguire i folklorismi dei reducistici”.
“Analisi lucida”.
“Adesso che ci penso, in qualche modo un altro compagno, Biagio Archi del Conad, mi ha descritto una tendenza simile anche tra gli ex pci, con quadri che prima si schieravano su posizioni riformiste, ma che oggi non vogliono rinunciare a un orizzonte comunista solo perché è finita l’Unione sovietica”.
“Il nostro è stato un movimento internazionale. Non c’è da stupirsi se fenomeni analoghi si riscontrano, nella sua disgregazione, in luoghi diversi ... In questo caso le teorie servono poco. C’è un luogo a Milano dove puoi incontrare amichetti russi legati a quel che succede nella loro madrepatria. Non è quel ristorante di lusso dietro corso Italia, una cosa per turisti e milanesi curiosi, ma il Papiroska in via Ascanio Sforza. Lì, tra puttane di mestiere che fanno anche le spie e spie di mestiere un po’ puttane, si riesce non di rado a recuperare qualche pettegolezzo informato su quel che avviene dalle parti di San Basilio”.


Boccini Andrea – parlamentare europeo

Certo le nostre repubbliche sono ben diverse dai principati cinquecenteschi. Però il nucleo del pensiero machiavelliano è ultramoderno e ispirò Togliatti, che sempre scelse collaboratori, da Amendola a Ingrao, da Longo a Pajetta, in grado di dirgli ‘el vero’. Poi lui decideva da solo, fuggendo gli adulatores. Questa fondamentale qualità,
saper cercare il vero, si è molto indebolita dopo gli anni Settanta, e non solo nel mondo comunista o ex comunista. Leggendo i giornali trovo ancora posizioni razionali, orientate a ‘el vero’ nei Colletti, nei De Rita. Ma sono pochi quelli che hanno mantenuto questa capacità. Tra i nostri metto un Chiaromonte, e soprattutto sindacalisti che, anche per il proprio mestiere, hanno ben più presente di certi politici che cosa pensi la gente in carne e ossa. Così Carniti, che spiega ai socialisti di smettere di fare teatrino, e di assumere piena consapevolezza del dramma che stanno vivendo. Così Lama e Trentin, che hanno più volte invitato il gruppo dirigente, già Pci ora Pds, a dire la verità, tutta la verità, sui finanziamenti della politica italiana, perché sulla menzogna o quando va bene sull’ipocrisia, non cresce niente. Ma sono assai pochi quelli che hanno coraggio, a sinistra. Abbondano piuttosto i codardi. Quelli che fanno finta di venire da Marte e rivendicano di voler ridare onori, quelli che, nonostante i loro incarichi istituzionali, lasciano smembrare una costituzione costruita sui fragili equilibri resi inevitabili dalla Guerra fredda. Alla fine mi sono reso conto che, di fatto, i più decisi tra coloro che ancora cercavano ‘el vero’ stavano per morire.


Principali Personaggi e interpreti


Cognome Nome Incarico Note Alias
Alberelli  Raffaele ex Alfa Romeo già vicedirettore generale – dove va l'Italia?  
Allodoli Sebastiano professore diritto romano gia presidente Istituto Gramsci  
Anfuso Carlo ex sindaco di Senago viaggio in Kerala  
Annoni Giannina vecchia segretaria di Cavenaghi affianca , per le cose riservate, il nuovo vice Leopoldo Rotelli  
Annovazzi Piera sostituta di Tintore scopre la sparizione di 2 miliardi e si dimette  
Archi  Biagio CONAD presidente Italia-Vietnam  
Ariverti Piero segretario camera del lavoro racconti divertenti su storie di contributi illeciti e di un partito che ti molla e poi rivuole i soldi  
Blinov Alexey Maksimovič  dissidente già cordinatore delle operazioni in Europa Occidentale  
Boccini  Andrea azionista, sindacalista, parlamentare europeo  
Botta Marcello russologo viaggio in Kerala – suggerisce di fare un salto al Papiroska  
Brambilla Mino segretario provinciale PDS imposto dal segretario nazionale Occhetto per togliere di mezzo lo storico gruppo dirigente migliorista della federazione di Milano Marco Fumagalli
Broni Marco presidente probiviri ex magistrato messo lì come uomo immagine – non è al corrente dei segreti  
Caramelli Giorgio Confesercenti associazione Italia-ANC   
Cavenaghi Mario ex presidente probiviri alla fine degli anni 80 lascia la politica e si trasferisce a Lugano dove si occupa di sistemi di depurazione  
Ciclamini Isa musicologa e partigiana ha conosciuto Mirella Ricotti  
Cicogna Bobo già segretario sezione Magneti Marelli viaggio a Cuba  
Degli Anni Bolsena firma stampa femminile    
Enri Franco segretario sezione Ortica storico tipografo e archivista del Corriere; si parla delle sorti del Corriere e del viaggio a Cuba  
Fani Cecco ex cerimoniere rosso agenzia investigativa a supporto del partito  
Felsini Aldo architetto socialista eminenza grigia urbanistica milanese  
Fioravanti Maria organizzatrice viaggi una rossa dagli occhi verdi e con una parlata toscana che dirige la fondazione Šostakóvič Mirella Ricotti
Franconi Fabrizio Comit e Mediobanca come sta cambiando l'economia italiana  
Frangi Ivonne sez. Quinto Stampi già sindaco di Gaggiano viaggio in Sud Africa con ANC  
Giorgini Manlio cda Cariplo sezione Ortica viaggio a Cuba – si parla di banche milanesi  
Guidi Gastone già membro della segreteria generazione Brambilla "promosso" alla presidenza della Lega Coop  
Gulletti Filiberto inviato del Corriere sostiene che dietro gli scandali italiani ci siano manovre USA  
Imbonati Gina segretaria sezione Corvetto moglie di Giovanni Pesce – due della sezione Corvetto sono andati in Vietnam  
Ivanovna Irkaeva Annuschka proprietaria del Papiroska già conosciuta da Cavenaghi in una precedente indagine  
Laurini Costanza presidente Italia-Kerala   Laura Conti
Lini Jacopo cronista giudiziario Unità schieratissimo con Mani Pulite  
Lunari Angelo de Lucia professore urbaistica    
Marchetti Cosimo sez. Quinto Stampi dirigente ENI viaggio in Sud Africa con ANC  
Mazzarenti Carla moglie di Cavenaghi Cavenaghi ha due figli Piero quindicenne e Carla tredicenne  
Neri Gino presidente nazionale ACLI Giovanni Bianchi
Nicolais Ferdinando generale carabinieri presente romanzi precedenti – il maggior nemico del PDS sono i suoi dirigenti  
Novellli Sandra architetto, ex presidente provincia viaggio in Palestina – sezione Cusano Novella Sansoni
Nugarelli Billo ex segretario Alfa Romeo viaggio in Vietnam – delusione – problemi con la Cina  
Ostrovskis Andrej Nikolàevič   ex responsabile PCUS dell’Istituto per i rapporti con l’Europa occidentale  
Pallori Luigi  direttore Il Giorno    
Pezzullo Pietropaolo avvocato  si ragiona di ordini e poteri costituzionali "se sfidi una strapotente corporazione o la riordini
o sarà lei a riordinare te"
 
Pio Massimiliano professore sociologia membro laico CSM su indicazione PSI  
Ranieri Elettra ordinario diritto romano organizzatrice incontri con accademici e alta borghesia Eva Cantarella
Rotelli Leopoldo vicepresidente probiviri segretario federazione anni 60, membro del C.C., amico di Cavenaghi  
Sergi Fiorentino viaggio in Vietnam studente di storia – giovane in crisi  
Stefani Dario professore a scienze politiche già segretario cittadino e capogruppo  
Tintore Vincenzo vicepresidente probiviri presidente reale muore improvvisamente; era il presidente reale detentore fondi riservati  
Trabucchi Cesare docente di diritto tributario Giulio Tremonti
Vasil’evič Bolkonskij Aleksander addetto culturale consolato russo di Milano  
Verdi Giorgio avvocato, professore, giurista la politica dia le regole e avanti con il mercato Guido Rossi

Addio Milano Bella
Lodovico Festa
Guerini & associati 288 pagine 18 €
In libreria dal 18 gennaio 2021


 




Ama il prossimo tuo (Carlo Flamigni) – recensione

Si tratta della settima avventura dello scrittore investigatore romagnolo Primo Casadei e le dedico una recensione specifica perché si tratta di una bella storia e perchè trattandosi di una delle ultime fatiche di Carlo Flamigni c'è dentro molto di quello che c'è stato prima (nella storia di Primo Casadei e dei suoi personaggi), c'è come sempre tanta Romagna (in termini di linguaggio e di persone) e infine ci sono tante questioni di attualità che hanno a che fare con la politica (quella dei clericali sui temi dell'aborto e della pedofilia, quella dei benpensanti, quella degli ospedali, quella degli sporcaccioni, quella del funzionamento degli ospedali, quella delle scuole universitarie di specalità, in particolare in chirurgia).

Il materiale è davvero tanto e oggi al termine della seconda lettura (cosa che faccio di rado) ho deciso che, accanto alla versione digitale mandatami dall'autore qualche giorno fa e che ho usato per la lettura, volevo anche la carta e ho proceduto all'ordine via Internet. Spero, al termine della pandemia, di avere l'occasione per una dedica da parte di Carlo Flamigni.

In copertina vedete in maniera stilizzata il personalissimo ufficio di Primo Casadei: tra il casale di Proverbio dove vivono tutti, e la strada c'è un lungo viale sterrato al termine del quale un cancello di ferro sempre accostato e con il citofono consente di avere un luogo tranquillo dove parlare quando arriva qualcuno in visita e questo accade anche nel romanzo (i bravi serbi della mala legata alla pedofilia, l'infermiera robusta erede della famiglia Lumazz, il chirurgo Edile e suo padre Viliero, commercialista, eredi degli Sbaraja).

Nel romanzo c'è una parte iniziale in cui si racconta la storia e la vita di due famiglie contadine da cui discendono alcuni dei protagonisti: vita di mezzadri poveri, vita di donne che sfornano 10 figli, che invecchiano precocemente e sono costrette a mettere nel letto del marito le figlie più grandi, storie di osteria con le sguattere a disposizione dei clienti, storie di ostetriche e di una medicina di base inesistente, storie di ospedali (altro che malasanità)


la babysitter e gli omogeneizzati

Trovato e l’Armida si muovevano da casa all’alba, nei primi anni da soli, poi con i bambini più grandi, e rientravano solo all’imbrunire; i bambini piccoli restavano a casa affidati a se stessi, consolati solo dai bocconi già masticati dagli adulti di “pane e qualcosa” che i genitori preparavano per loro prima di uscire e allineavano su una panca di legno perché si potessero sfamare: pane formaggio saliva e mosche, pane cipolla saliva e formiche.


a 40 anni e 10 figli Trovato inizia ad andare all'osteria … la figlia più grande nel letto

il problema era che la famiglia non si poteva permettere di avere in casa un uomo che le sottraeva quei pochissimi denari risparmiati che erano indispensabili per le emergenze; il problema era che ben presto quei denari sarebbero terminati e allora inevitabilmente sarebbero cominciati i debiti, sarebbe arrivata la rovina. Così l’Armida ci ragionò sopra a lungo e prese l’unica decisione possibile. Prese in disparte la Zaira, la figlia più grande, che aveva ormai 15 anni ed era diventata una ragazza abbastanza carina, e le parlò. Così quando Trovato tornò a casa a tarda sera, dopo la sua ormai consueta visita all’osteria, trovò la figlia che lo aspettava nel letto grande, disposta ad accontentarlo. E così Trovato smise di uscire alla sera e la Zobaide dovette cercarsi un altro uomo da sfruttare... la famiglia si riassestò intorno a un nuovo equilibrio: la madre si preparò un letto in uno sgabuzzino vicino alla stalla, i bambini sapevano, ma non giudicavano. Nessun altro era a conoscenza di questo sventurato accordo, ma poi, in fondo, da quelle parti la cosa non era poi tanto straordinaria, la miseria colora i fatti della vita in un modo tutto suo, chi non l’ha mai provata non può vedere quei colori, è come se fosse daltonico.


la Zaira rifiuta l'aborto partorisce e fa la sguattera all'osteria

Ma le ragazze delle osterie non avevano in genere una vita lunga. Un cliente, chissà chi, la contagiò di scolo, e quelli erano tempi nei quali queste malattie guarivano con difficoltà. La Zaira per un po’ si sottrasse ai suoi impegni sessuali, ma la notizia della sua malattia si sparse e alcuni buontemponi sempre sbronzi decisero di farle uno scherzo: mentre un paio di loro, sbellicandosi dalle risate, la tenevano ferma e le divaricavano le gambe, un terzo la “disinfestò” con uno di quei soffietti che si usavano per dare gli anticrittogamici alle viti, roba terribilmente urticante, a base di zolfo. Il dolore fu evidentemente insopportabile e la Zaira cercò conforto andando a immergersi, così vestita com’era, in una grande vasca piena di acqua puzzolente che serviva per macerare la canapa e che era piena di rane e di bisce.


L'Umazz era Trovato, il padre padrone e, nel capitolo successivo incontriamo gli Sbaraja meno miseri ma con una drammatica vicenda legata ad una gravidanza difficile tra ginecologi inesperti ed ospedali che servivano prevalentemente alla formazione dei medici.


Quelli erano tempi in cui gli ospedali si occupavano quasi esclusivamente della povera gente, anche se avevano alcune camere dove venivano ricoverate, a pagamento, le persone abbienti, che in quel modo godevano del privilegio di ricevere le cure personali dei primari. D’altra parte le istituzioni ospedaliere avevano, tra i loro scopi principali, quello di provvedere alla preparazione professionale dei giovani medici, i quali, per contratto, dovevano lasciar libero il proprio posto di assistente dopo un internato di due o tre anni, un periodo che solo in casi particolari veniva raddoppiato: la conseguenza di questo stato di cose era la diffusa sensazione che farsi ricoverare in ospedale corrispondesse a offrirsi come cavie a giovani medici certamente ricchi di buona volontà ma altrettanto poveri di esperienza e di cultura, così che le famiglie cercavano di trattenere i propri malati in casa evitando finché era possibile il rischio del ricovero


Terminata la descrizione delle due famiglie inizia la settima avventura di Primo che, nel frattempo (su richiesta del partito) si è presentato alle elezioni di Forlì, ha ottenuto un sacco di preferenze e deve resistere perché l'establishment vorrebbe un suo impegno diretto come assessore; resiste e si limita a presiedere la commissione sanità rispondendo direttamente al sindaco che si è tenuto la delega assessorile, ma come presidente, oltre ad avere un ufficio in comune ha accesso diretto al mondo della sanità, quello che è al centro del romanzo.

Il vecchio primario di chirurgia è andato in pensione e a sostituirlo è arrivato dalle Marche, uno degli Sbaraja, Edile Servadei. Edile ha una sessantina d'anni e dopo aver preso la specialità a Bologna  è emigrato al Sud a fare dapprima l'aiuto e poi il primario. Dalla Calabria è passato nelle Marche ed ora è finalmente a casa, Ma le cose non vanno tanto bene; la città (e anche Primo) vengono inondati di lettere anonime su una sua presunta incapacità professionale e dopo le lettere arrivano, misteriosamente, tre morti per embolia polmonare dopo interventi su questioni chirurgiche diverse e di ridotta complessità. Un mistero.

Per il ruolo in comune e poichè Maitè, la moglie di Pavolone, deve essere operata per un ascesso mammario da allattamento, Primo ci si trova sbattuto in mezzo ed entra in scena anche una simpatica infermiera di reparto, Iride Fusconi, che seguirà Maitè anche a casa per le terapie antibiotiche post intervento.


“Pensa che ci possano essere problemi?”
“Mamma mia, no, non ci mancherebbe altro. E’solo brutto da vedere”. Lo guardò con aria curiosa, divertita.
“Lo sa che questo Primario è nuovo?” gli chiese.
“Funziona come con le scope?” Chiese Primo.
“Funziona come con i Primari” gli rispose lei; gli diede un colpo a mano aperta sulla spalla, gli sorrise ancora e se ne andò. Era grossa, ma si muoveva rapidamente, sembrava che pattinasse sul pavimento lucido.


Scopriremo alla fine che Iride viene dai Lumazz e che i destini delle due famiglie si sono ricongiunti.

Il romanzo ha per oggetto lo scandalo dei morti per embolia, la sospensione cautelare del primario, un ricorso al TAR per la riapertura del reparto e, alla fine, la misteriosa uccissione di Edile su cui farà luce Primo. E' un giallo e dunque non vi racconto come va a finire ma nel giallo, come in tutti i romanzi di Flamigni, si mischiano molte vicende parallele:

  • i tre amici più stretti di Proverbio, compagni di Maraffone, Camisò, Lamirò e Pistola (Ma la cosa che divertiva di più Primo  era il lessico che si riferiva alle carte da gioco: la camisa lôrda, la camicia lorda, era l’asso di spade, nel quale è raffigurato un bambino; e trastól dal dón, il divertimento delle donne, l’asso di bastoni; i ócc dla zvèta, gli occhi della civetta, il due di denari, che qualcuno poteva anche chiamare agli öv frèti, le uova fritte; al còs dla nóna, le cosce della nonna, indicavano  il due di bastoni, e così via).
    I tre compagni di Maraffone sono personaggi ben inseriti nella realtà del capoluogo (uno aveva diretto il più grosso albergo della città, un altro aveva fatto il magistrato e il terzo aveva lungamente lavorato al Genio Civile). Parlano in dialetto ma sanno tutto di Forlì e danno una grossa mano a Primo nel conoscere e comprendere ciò che accade ed è accaduto in città.
  • Beatrice e Berenice, le due gemelline di Primo vengono beccate, insieme a tre compagne nel bagno dei maschietti mentre con in mano un righello si apprestano a stabilire su loro richiesta, tra i compagni, chi ce l'ha più lungo. Dinamiche scuola-famiglia, omertà delle famiglie, scoperta che sui telefonini dei maschietti c'erano foto inequivocabili di un analogo concorso tra gli adulti. Dice una delle gemelle “C’erano dei birilli grossi come il cristiano duro della mamma e non si capiva come potessero stare attaccati in quella posizione” disse Beatrice, che conservava ancora accenti di meravigliato stupore. “In ogni caso erano persone grandi, non ragazzini, non sembrava nemmeno che si divertissero, sembrava che avessero tutti il mal di denti”.
    Primo si permise di sorridere dentro di sé, la questione del “cristiano duro” aveva a che fare con i molti tentativi di Maria di tradurre il suo romagnolo in un italiano, non dico corretto, ma almeno comprensibile. Così il dialettale s’ciadur, interpretazione abbastanza fedele del tardo latino subtiliare e subtiliatoriu, che significa assottigliare, rendere più sottile, schiacciare se proprio volete, diventato a sua volta sinonimo un po’ strambo di “matterello”, era stato trasformato in “cristiano” (s’cian) “duro “(dur)

    La questione dei birilli verrà risolta grazie all'intervento degli amici malavitosi di Primo e a qualche smataflone da parte di Pavolone e la soluzione del problema renderà improvvisamente coraggiose le famiglie dei ragazzini che inizialmente avevano assunto una posizione omertosa.
  • C'è anche di mezzo una vicenda legata alla pillola del giorno dopo e ai tentativi della Curia di intervenire per rendere più complicata la libertà di scelta delle donne rispetto alla IVG
  • Conosciamo un po' della vita dell'Iride che a Primo sta simpatica e gli dà una mano impietosamente a conoscere il mondo dell'ospedale parlandogli del vecchio primario di cui ha una grande stima. Iride vive con un'altra infermiera ed è tutta casa ed ospedale. “ Ero abituata al vecchio Primario- ammise l’Iride – aveva il fascino delle persone perbene, degli uomini seri, non tollerava furberie. Lei non sa come sono i medici, si farebbero bruciare vivi pur di non dover riconoscere di avere sbagliato e doversi prendere una colpa. E poi tendono a non stare alle regole, soprattutto se di mezzo ci sono i soldi. Ci fu uno che provò a portarsi dentro i pazienti personali, per operarli personalmente, ci mise un mese a raccogliersi i denti da terra, comunque dovette andarsene. Eppure non è un uomo rigido, è solo un uomo perbene. I rappresentanti di medicinali avevano smesso di chiedergli un colloquio, tanto non li ascoltava nemmeno. Non era un uomo che si potesse comprare.
    “Succede che qualcuno si lasci comprare”.
    “Direi che è quasi la regola. Certo, non soldi, almeno per quanto ne so io. Viaggi, regali. Pensi ai Congressi: si fanno sempre in luoghi ameni, posti dove la gente va a villeggiare. I medici ci vanno con un permesso speciale dell’ASL, un periodo di studio che non viene conteggiato per le ferie, ragioni scientifiche, almeno così dicono. Si portano la famiglia e l’ industria che sponsorizza il convegno li spesa completamente. I medici più seri ci vanno una volta e non ci tornano più: dicono che ci sono due o tremila iscritti e trenta persone nelle aule”.

E si arriva al colpo di scena. Il primario viene trovato ucciso da un colpo di pistola in fronte nel vecchio podere degli Sbaraja e Primo Casadei intuisce che, per capirci qualcosa deve indagare sul suo passato. Si reca in Calabria e poi nelle Marche e i suoi collaboratori delineano la figura di un santo laico. C'è un buco nero, il periodo di tempo tra l'abbandono dei lavori inutili alla clinica universitaria e il trasferimento in Calabria. C'è la descrizione impietosa delle scuole di specialità dove non si impara nulla, dove, soprattutto non si impara ad operare … e verrà da lì la soluzione del caso.


Ama il prossimo tuo
Carlo Flamigni

Editore: Ananke Lab Collana: Narrativa Anno edizione: 2016 Pagine: 175 p., Rilegato 13 € in epub o kindle 7 €


 




Carlo Flamigni – Orgoglio e povertà (romanzo storico) – recensione

Se vi piace studiare la storia attraverso le microstorie questo libro fa per voi. Dai tempi di Mazzini la Romagna è stata terra di Repubblicani e ancora oggi, da quelle parti, i repubblicani ormai spariti altrove con l'avvento della II repubblica, esistono ancora. Uno dei triumviri (Mazzini, Saffi, Armellini) della repubblica romana Aurelio Saffi era di Forlì ed ha vissuto gli ultmi anni della sua vita nella sua villa di San Varano (nei pressi di Forlì) sino alla morte avvenuta il 10 aprile 1890.

Sempre da quelle parti, verso Castrocaro, sulla valle del Montone che risale l'Appennino e dopo il passo del Muraglione scende in Toscana sino a Pontassieve, viveva Andrea Mengozzi (Muzghina) il nonno materno di Carlo Flamigni e la sua storia in sintesi la troviamo già in Un tranquillo paese di montagna dove si sintetizza la vita di Muzghina, che, nel romanzo, è il nonno paterno di Primo Casadei. Il cerchio si chiude e dunque, come si capisce dalla lettura dei romanzi, Primo Casadei e e Carlo Flamigni sono un po' parenti e forse qualcosa di più.

Il libro si apre con una filastrocca di Olindo Guerrini in dialetto stretto che, per ragioni di comprensibilità vi riporto in italiano:


E dagli! Tutti quanti ce l'hanno con la Romagna
Che sembra essere la cava degli assassini.
Sono tutte calunnie di birichini
Divorati da una vergognosa invidia.

Invece si può girare per la campagna
Che nemmeno abbaia un cane da contadino;
Nessuno pensa a rubare, tutti si amano,
Lavorano, faticano e se li guadagnano.

Il male è che di tanto in tanto vanno via
E non se ne sa più nulla, tant'è vero
Che il Segretario mi ha raccontato che frattanto

Il Sindaco nuovo della Terra e di Castrocaro
Ha proposto di demolire il camposanto
Tanto muoiono tutti in galera.


Ho messo la filastrocca perché la sintesi del libro è tutta qui: il racconto della vita di Muzghina intrecciata con quella di un altro Mengozzi, Luigi, detto Gigì ad Masò, figlio di un mugnaio di Castrocaro.

Tra i due c'è una comunanza di pensiero ma anche un contrasto forse dovuto al fatto che Gigì è segretamente innamorato di lui e non tollera il fatto che a Muzghina piacciano le donne. Andrea si mette con la sorella minore della moglie morta di TBC; lei si è sposata con un affiliato al circolo appena partito per il servizio militare e la cosa scatena una vicenda di espulsione per indegnità morale che porterà alla rottura tra Gigì e Muzghina ma anche a forti contrasti tra il circolo di Castrocaro e le strutture provinciali che sono per una gestione più soft della vicenda.

Muzghina e Gigì appartengono alla generazione di quelli nati troppo tardi per fare il Risorgimento, dei giovani che sono tali negli anni 80 dell'ottocento: avevano subito il contagio delle idee internazionaliste, qualche volta nella versione socialista, qualche volta nella versione anarcoide di Bakunin e questo era stata causa di malessere per molti affiliati .

Il partito socialista non è ancora nato, ma tra i repubblicani si fanno strada posizioni più intransigenti e l'esigenza di farla finita con i Savoia. Nasce così l'idea pazza e avventurosa di tentare una sollevazione popolare in Romagna partendo dal monte Sassone (un monticello tra Castrocaro e Modigliana).

Il racconto della tentata sollevazione popolare è occasione per analizzare le posizioni e le strutture organizzative dei circoli repubblicani romagnoli oltre che il ruolo svolto dai discepoli di Mazzini dopo la sua morte, e tra questi Aurelio Saffi.

I circoli della città decidono di lasciar perdere e così, rispetto ad un progetto iniziale di un migliaio di insorti, si ritroveranno in una quarantina e non se ne farà nulla. Della sollevazione tutti ne parlano ma nessuno la vede anche se ne seguirà una indagine di polizia occhiuta che si conclude con l'assassinio del delegato di polizia e la incarcerazione di alcuni attivisti di Castrocaro che vengono portati al carcere delle Murate di Firenze.

Le cose vanno per le lunghe e Gigì, che sa come è andata, si impicca in carcere autoaccusandosi nella speranza di far liberare i compagni.

L'ultima parte del libro è dedicata alla trascrizione dell'incontro e colloquio tra la moglie di Aurelio Saffi e Muzghina e ad una riflessione sull'essere romagnoli dopo l'unità d'Italia.


Ma non sono sicuro che lei capisca fino in fondo cosa significa nascere e vivere da contadini. Ci spacchiamo la schiena dalla mattina alla sera, il lavoro è duro e lentamente ci uccide,   sappiamo che una grandinata mortifica un anno intero delle nostre fatiche, ma non ce ne curiamo.

Le nostre case sono fredde, molti dei nostri figli muoiono di polmonite, in inverno dobbiamo spezzare il ghiaccio del catino per lavarci la faccia, un bagno intero lo possiamo fare solo  d’estate, ma continuiamo a lavorare e piano piano diventiamo sempre più curvi, più magri e più deboli fino a che un soffio di corina non ci solleva da terra e ci porta via. 

Le nostre donne a trent’anni sembrano delle vecchiette, hanno avuto più figli  e più aborti di quanti lei ne possa contare in tutte le sue migliori amiche, ma vanno a lavorare anche il pomeriggio del giorno in cui hanno partorito, debbono dare l’esempio. Malgrado tutto ciò viviamo una vita onesta e cerchiamo di fare in modo che sia così anche per i nostri figli.

Ma come si fa a insegnare ai figli cosa vuol dire vivere una vita onesta? Vede, signora contessa, per noi una stretta di mano è un patto che non si può in alcun caso infrangere, la moglie del vicino è vestita di una armatura, il podere del vicino è difeso da un fosso, che per noi è un muro invalicabile, come quello di una fortezza, abbiamo il senso della fratellanza e della solidarietà, capiamo cosa vuol dire compassione.

Tutte queste, signora contessa, sono virtù, virtù che dobbiamo tramettere ai nostri figli, spiegando loro che in cambio di queste virtù avranno freddo d’inverno, caldo d’estate, la schiena rotta dalla fatica, nessuna ricompensa. E che il giorno che chiuderanno gli occhi sarà tutto finito, veramente finito, nessuna porta aperta per un mondo migliore, nessun premio per la bontà dimostrata in vita, o per la pazienza o la tolleranza, dica lei. 

Semmai, se verrà la grandine, la timpesta, possiamo promettere fame e stenti per tutti Dobbiamo indirizzarli a una vita di sacrifici e di rinunce, senza poter indicare loro nemmeno l’ombra di un premio? Ebbene signora contessa, il premio in realtà c’è, anche se è difficile definirlo. Il premio è la nostra dignità, l’unica nobiltà alla quale un contadino può aspirare.

Per una persona che crede in Dio il problema è diverso, un premio se lo può attendere nella sua vita ultraterrena, ma per noi, che con Dio ci abbiamo litigato? Vede contessa, di questo stiamo parlando, della dignità di Gigì ad Mason. Lei può dirmi che ormai Luigi è morto, che della dignità non se ne fa più niente, ma non è vero contessa, la dignità è la cosa che ci ha lasciato, la cosa che vuole che ricordiamo di lui, la sua eredità. La sua è stata una morte dignitosa perché l’ha dedicata ai suoi fratelli, un segno di grande compassione. Per noi questa eredità comporta un obbligo, dobbiamo proteggere il ricordo di un amico che ha dato la vita per tutti i suoi fratelli e che merita riconoscenza: anche per noi, dunque, un problema di dignità, la nostra questa volta….

Questa è la spiegazione delle parole con le quali mi ha salutato, io sono tenuto a proteggere la dignità di un amico fraterno. Tirare in ballo un rapporto di amicizia complesso e non del tutto limpido, lasciare spazio per i pettegolezzi e le maldicenze, vuol dire lasciare che la dignità di Luigi se la rosicchino i topi, le faine e le volpi di Castrocaro. Per favore, contessa, lasciamo le cose come stanno. Per favore.


Orgoglio e povertà. Ovvero: la politica sognata dai poveri

Carlo Flamigni
Editore: Il Ponte Vecchio, 2019, 168 p. 13 €


 




Carlo Flamigni e la sua Romagna – recensione

Non avrei mai pensato di scoprire che uno dei grandi padri della bioetica laica, grande esperto di fecondazione e di problematiche della sterilità, fosse anche un simpatico scrittore di gialli. Ci è voluto il coronavirus per farmelo scoprire e, sino ad ora, ho letto i suoi primi cinque romanzi (ora pubblicati da Sellerio). Ce ne sono altri tre presso un editore universitario minore (Ananke) e, visto che il professor Flamigni è del 1933, chissa se ce ne saranno altri (tra età, impegno politico-culturale e bioetica).

I gialli si leggono bene ma, ce lo spiega lo stesso Flamigni nelle note e nelle postfazioni, i veri protagonisti sono la Romagna profonda e la lingua Romagnola, dura, sintetica e saggia.

Il protagonista della serie è Primo Casadei, suo malgrado, spesso detto Terzo perché Primo (?) neanche Secondo, uno che inizia la sua carriera lavoricchiando per la malavita napoletana trapiantata in Romagna, ma che ha ambizioni di scrittore nella divulgazione storica e ce la fa.

Paradossalmente, nel romanzo di esordio Giallo uovo, è proprio una storia di fecondazione assistita eterologa finita male a far entrare in scena Maria, una cinesina che parla un italiano appreso dalle trasmissioni radiofoniche locali religiose  o dialettali. Maria doveva fare da ospitante per ovulo e seme di una coppia malavitosa e invece, per effetto di una serata di sbronza, alla fine dei nove mesi, partorirà due gemelline figlie di Primo: “Ebbene sì, niente da dire: l’altra metà del letto era occupata da un vortice di lenzuoli che sembravano fare da cornice a un grazioso culetto giallo. Maria aveva dormito lì e, inutile negarlo, non molto vestita”.

Gli altri protagonisti fissi sono Proverbio e Pavolone.

Proverbio parla attraverso metafore scegliendo con cura il proverbio romagnolo più adatto, utile a fustigare la bagatella del momento, sia che parli di donne, di malavita, di giustizia o di cultura contadina. Viaggia verso gli ottanta e ha costruito una famiglia allargata che si occupa di lui (Primo, Maria, le gemelline, Pavolone e più tardi arriverà anche Maite, una giovane argentina amante del sesso, purché si chieda e duramente femminista negli altri casi, destinata a fare da moglie a Pavolone. Come una buona fetta di anziani ha problemi di prostata e, nel suo caso, altro che PSA e prevenzione, finirà con un cancrazzo di quelli che richiedono interventi radicali, modello pace dei sensi. Il ricovero ospedaliero dà a Flamigni l’occasione per parlare di rianimazioni, di staccare dalla macchina, e di temi che gli sono cari rispetto alla necessità di definire la morte non come opposto della vita perché in quel caso rimane sempre il problema di definire la vita (persona, vita umana, …).

Oltre che di saggezza romagnola Proverbio è un appassionato giocatore di maraffone, la variante romagnola del tressette caratterizzata dall’utilizzo di una briscola (nel tressette normale è il seme di mano a comandare il gioco) e alcuni dei suoi compagni di gioco (o i loro parenti) compaiono qua e là nei romanzi.


Proverbio – o «Pruverbi», come lo chiamavano tutti – abitava a ridosso della città, nella vecchia casa colonica che era stata, per molto tempo, la dimora dei suoi genitori. La casa era circondata da un grande giardino e da più di due ettari d’orto che, se Proverbio avesse voluto, avrebbero potuto essere oggetto di una bella speculazione, visto che vi si poteva costruire. Ma Proverbio, che stava ormai, come diceva lui, dalla parte sbagliata dei settanta, di soldi non aveva bisogno, perché gli bastavano quei pochi che si era guadagnato in giro per il mondo. Aveva bisogno, invece, del calore degli oggetti familiari, dei ricordi, degli amici, delle chiacchiere e del vino buono, tutte cose che costano poco e che, soprattutto, chi le trova se le tiene.


Pavolone è un semplicione, ritardato mentale, alto più di 2 metri che pesava 6 kg alla nascita, divenuto tale per effetto di un mancato cesareo, tra gli ultimi ad essere nati con il forcipe, come si usava una volta.

Pavolone è un gigante buono, con un fisico da culturista, ma con un grosso problema che riguarda il sederone fuori ordinanza che gli procura un sacco di problemi e che tenterà inutilmente di eliminare finendo per peggiorare il quadro con due grandi bisacce vuote al posto delle chiappe per effetto di una liposuzione finita male. IL risultato è che la sua carriera di culturista finisce subito, ma non funziona nemmeno quella di buttafuori dalle discoteche per via della bontà d’animo.


… era il muscolare peggio costruito che il body building avesse mai prodotto. Anni di faticosi esercizi gli avevano permesso di sviluppare un torace straordinario, addominali sontuosi, gambe colonnari. Ma nel mezzo c’era rimasto un enorme culone grasso, che nessun tipo di ginnastica e nessun sacrificio, anche cruento, erano riusciti a ridimensionare.


Nei romanzi ci sono i morti, a volte molti, c’è un po’ di Italia sotterranea, c’è la malavita organizzata che in Romagna i cadaveri li fa sparire collaborando con i perforatori di pozzi artesiani, ci sono la politica della sinistra e la politica romana con qualche intreccio con la malavita organizzata,  il mondo della università, la tradizione repubblicana romagnola.

Ci sono i tanti problemi in cui ci imbattiamo nella nostra vita quotidiana: l’immigrazione clandestina, il femminismo, la pedofilia, i grandi affari legati alla speculazione e all’urbanistica, i collegi dei preti, i concorsi di bellezza trucccati (come quello di Belle e Brave con le domande di cultura generale difficilissime ma con le risposte fatte avere in anticipo alle candidate in busta chiusa), gli ospedali, la collina romagnola che si spopola, la legge 40 e le problematiche della fecondazione assistita, la sieropositività, il tema della morte in ospedale quando nelle terapie intensive i posti scarseggiano, i notai di provincia, i ricatti. Non poteva mancare Il Presidente nella cui villa si tengono festini, in decadenza ma sempre molto potente.

L’esperienza professionale del professor Flamigni (che ha all’attivo un migliaio di pubblicazioni scientifiche ed è stato ordinario dal 1980 al 2004 all’università di Bologna occupandosi di ostetricia e ginecologia) emerge nei romanzi in maniera bizzarra con l’esame delle assurdità della legge 40 sulla procreazione assistita, assurdità dovute all’impianto ideologico dato dalla destra integralista, ma anche con una sottile irrisione degli esperimenti fai da te fatti da medici compiacenti che, quasi mai, raggiungono lo scopo dichiarato e aprono invece le danze per paternità fittizie.

C’è persino, in una occasione, la mancata soluzione del caso, sono le circostanze casuali, a far emergere la verità quando non si può fare più nulla.

Primo Casadei ha uno strano rapporto con la malavita organizzata. Da giovane è stato fregato per una faccenda di contrabbando di sigarette in cui, a sua insaputa, c’era di mezzo della droga e dopo il carcere, il suo ritorno nella società passa attraverso un ruolo minore nella sezione romagnola della grande malavita. E’ un rapporto breve attraverso il quale costruisce un rapporto di reciproca gratitudine con il grande capo e la sua efficiente segretaria (trionfa la giustizia sostanziale spesso a scapito di quella formale, con la morte dei cattivi o degli stupidi).

In tutti i romanzi dominano i proverbi che, a giudicare da quanti ne mette e da come li colloca, sono parte integrante della storia e della vita di Carlo Flamigni. Ce ne parla nella postfazione alla compagnia di Ramazzotto.


Non so quante siano le parole fondamentali conosciute da un contadino romagnolo. Mi chiedo però quanto abbia danneggiato la sua capacità di esprimersi il privilegio di avere una lingua in comune con tutti gli altri italiani.
Quando il mio contadino romagnolo parla in italiano fa, in genere, una gran fatica. Pensa in dialetto; traduce; non trova sempre espressioni che esprimano esattamente quello che lui ha pensato in dialetto; finisce col «dimagrire» il discorso, dire solo l’essenziale, rinunciare alle sfumature e alle complessità. In questo modo il suo linguaggio si snatura e lui si avvilisce. Penso che questo sia un problema comune a tutti quelli che hanno cominciato a parlare in dialetto e hanno imparato l’italiano più tardi, a scuola; tutti coloro che si sono impadroniti delle sfumature di una lingua (perché l’hanno appresa in famiglia, l’hanno condivisa con i compagni di gioco, l’hanno usata nel periodo della loro massima capacità di apprendimento) e ne hanno dovuto imparare più tardi una seconda, quella dei ricchi e dei cittadini, dei preti e dei padroni, gente con cui avevano pochissime affinità naturali oltre che scarsissime possibilità di comunione di vita e di lavoro. È la stessa esperienza che tocca agli emigranti: in più, con l’aggravante che il dialetto è considerato volgare, sgradevole, «maleducato».
Quando parlo e scrivo in dialetto mi sento più a mio agio e ritengo di essere in grado di spiegarmi meglio; ho in effetti a mia disposizione un maggior numero di sottigliezze dialettiche e di sfumature e penso di riuscire a esprimere con maggiore efficacia i sentimenti che provo, esattamente il contrario di quanto mi accade, ad esempio, se sono costretto a parlare e a scrivere in inglese, una lingua che ho dovuto imparare a trent’anni per motivi di lavoro...

In attesa, naturalmente, che la Romagna divenga una regione autonoma, nella quale si insegni il dialetto nei licei classici e l’italiano nei licei linguistici.


qualche proverbio di Proverbio

  • Al dòn a’l s’assarméja a i sarpènt, a’l bëca da dú dènt: «le donne assomigliano alle serpi, beccano da due denti» con doppio significato
  • Cun un òcc al frèz e pes e cun cl’êtar al guêrda a e gat: si dice delle donne che con un occhio friggono il pesce e con l’altro guardano il gatto
  • La bàt e cul cum óna zèlga: batte il culo come fa la passera di montagna (la ballerina), si dice delle ragazze che vogliono farsi notare
  • La mosca d’or la s’è pusèda sora una mèrda: la mosca d’oro [il coleottero della barbabietola] ha volato, ha volato, poi ha finito col posarsi su una merda
  • O t’é agli öv, o t’é i pisinè: o hai le uova, o hai i pulcini la versione romagnola del detto sulla botte piena e la moglie ubriaca
  • I è coma i pinsìr, o i è tu o i è ad chiêtar: i segreti sono come i pensieri, o sono tuoi o sono di tutti
  • I cuntadén, in caròza i gômta: i contadini quando vanno in carrozza vomitan
  • Una sudisfaziôn l’an nè mai paghèda: non c’è prezzo per una soddisfazione.
  • Sgaf e piò bas che trè: dispari e inferiore a tre è il numero delle persone che possono mantenere un segreto.
  • Aiavè magné al candél, us tóca ad caghè i stupén: abbiamo mangiato le candele e adesso ci tocca cagare gli stoppini
  • C’us môra e lôp l’è la furtôna dal pìgur: che muoia il lupo è la fortuna delle pecore
  • Mort e bà, fiè la brècca, calé on, carsu on, tott cumpagn: è morto il babbo, ha partorito la somara, uno di meno, uno di più, tutto come prima
  • La lêz l’è una tlarâgna, i bigarôn i scapa e i muslén i s’ingavagna la legge è una ragnatela i pezzi grossi scappao e cattura solo i moscerini
  • Se e Signor un pardona i pchè dla fregna, in Paradis l’è tota legna. Se il Signore non perdonasse i peccati di figa in paradiso non ci sarebbe nessuno
  • Furia ad vécc, tròt d’êsan e fug ad pàja i luta pöc le arrabbiature degli anziani, il trotto dell’asino e il fuoco di paglia durano poco
  • i quaiô di chè e i bajòc di patèca i i véd tòt, i coglioni dei cani e i soldi degli imbecilli li vedono tutti
  • L’ha pissê in te batésum un in pò fè dla bôna. Ha pisciato nel fonte battesimale non può andargli bene
  • E sumàr us sta dastè a l’èbi il posto giusto dove aspettare il somaro è l’abbeveratoio
  • I sgnùr i è coma i birén, i beca in te spud I signori sono come i tacchini beccano anche tra gli sputi
  • te scór quând che pèssa la plita tu parla quando piscia la tacchina, detto presente anche in Brianza te parla quant a pisan i och cioè mai
  • Te tsi com ’al póls, i t’a invanté par chi u n’a gnit da fê, Sei come le pulci, ti hanno inventato per chi non ha niente da fare

i romanzi con Primo Casadei

Giallo uovo (2002), La compagnia di Ramazzotto (2004), Un tranquillo paese di Romagna (2008), Circostanze casuali (2010), Senso comune (2011),La certezza del ricordo (2015), Ama il prossimo tuo (2016), Il sacco delle botte. (2018)

I primi 5 sono disponibili da Sellerio mentre gli ultimi tre da Ananke

 




La confusione morale – Lodovico Festa (recensione)

La confusione morale è il seguito di La provvidenza rossa; anche questa volta viene trovato morto un militante della federazione di MIlano del PCI, anche questa volta ad indagare è l'ingegner Cavenaghi protagonista del precedente romanzo. Cavenaghi nel frattempi è diventato il responsabile della intelligence della federazione.

Ma questa volta tutto ruota intorno alla politica amministrativa milanese; siamo nel 1984 e a Milano c'è una amministrazione di sinistra guidata dal socialista Tognoli (Bagnoli) con vicesindaco il comunista Quercioli (Renaioli) già direttore dell'edizione milanese dell'Unità e dirigente di rilievo nazionale.

Il geometra Giorgio Russi, dirigente dell'ufficio urbanistica del comune, già coinvolto in una serie di faccende poco chiare nei comuni dove aveva prestato servizio in precedenza, viene trovato assassinato.

Sono anni complicati per la giunta Tognoli succeduta a quella di Aldo Aniasi: Berlinguer è morto, nel Pci c'è incertezza sulla via da intraprendere (guardare alla unità delle sinistra o sgambettare Craxi strizzando l'occhio alla sinistra DC), è il periodo del referendum sulla scala mobile, Craxi è al governo, e nel gruppo dirigente nazionale si vorrebbe seguire una linea di centrismo togliattiano ma nessujno ha veramente il carisma per farlo. Così la federazione di MIlano viene vista, dal gruppo dirigente nazionale, come un luogo cui prestare attenzione (laboratorio politico e luogo pericoloso).

Con nomi di fantasia nel libro incontreremo così Adalberto Minucci, Luciano Violante, Pecchioli e Giancarlo Pajetta.

L'estrema sinistra giornalistico giudiziaria vorrebbe montare la canea antisocialista e cerca di dimostrare che ci sono di mezzo LIgresti (il Crusca) e Berlusconi (il Cazzaniga) interessati ad inserirsi nelle modifiche di piano regolatore legate alle aree deindustrializzate e alle aree di edilizia economico popolare.

C'è inoltre di mezzo una parte della magistratura legata al gruppo dirigente nazionale che vedrebbe di buon occhio lo sgambetto alla giunta Tognoli e c'è il gruppo dirigente milanese che, convinto che si stia facendo una buona politica, cerca (con successo) di smontare il teorema alleandosi con i carabinieri contro la Digos per il tramite di una magistrata dai trascorsi resistenziali (Tullia degli Episcopi nella parte di Beria d'Argentine).

Da Lunedì 19 novembre a lunedì 3 dicembre il compagno Cavenaghi gira come una trottola tra bar, federazione, casa della cultura, camera del lavoro, casa sua in via Tibaldi, incontri con sindaci, assessori, giornalisti dell'unità, polizia giudiziaria e alla fine se ne esce.

Per chi in gioventù ha bazzicato da quelle parti c'è da fare una bella operazione nostalgia tra urbanisti, femministe dell'UDI, magistratura, attivi di zona, analisi del mondo dei funzionari, rapporti tra centro nazionale e federazione, descrizione minuta delle caratteristiche dei compagni delle zone.


La confusione morale
Lodovico Festa

Editore: Sellerio Editore Palermo Collana: La memoria Anno edizione: 2019 Pagine: 384 p., Brossura
14 € disponibile anche in Kindle ed ebook a 10 €


 




Il gioco dei regni – di Clara Sereni (recensione)

La genesi e la costruzione di questa biografia di famiglia, Clara Sereni, ce la svela nell'ultimo capitolo, quando descrive il lavoro fatto sui documenti di famiglia, su quelli di archivio e degli incontri con i testimoni diretti e indiretti.

Suo padre aveva passato l'intera vita a studiare, scrivere, annotare e catalogare (e il suo archivio personale sta all'Istituto Cervi dove è possibile leggere una biografia completa, che consiglio); poi c'erano la storia della famiglia Sereni, quella delle due Xenia Silderberg (madre a figlia) e quella dei coprotagonisti da Manlio Rossi Doria, a Eugenio Colorni, a Giorgio Amendola.

Nel 1977 Emilio Sereni muore (era nato nel 1907) e la figlia Clara, di fronte al corpo del padre, inizia una riflessione che impiegherà 10 anni a tradurre nella scelta di lavorare ad un affresco della sua famiglia; scrivere può essere un modo per capire: Quando provai a far ordine dentro di me quell'immagine generò un rancore confuso, e un dolore che non sapevo collocare; sforzandomi ad una ragione, tentai di cancellarla da me. Con la voglia forte di dichiararmi estranea, e innocente.
La pietà, che avrebbe potuto essermi d'aiuto, non rientrava nei canoni dell'educazione che mi aveva impartito. Per ritrovarla dentro di me, ho dovuto cercarla molto lontano. Nelle radici negate, troncate per volontà ma misteriosamente riaffioranti; in una sapienza antica, tranquilla di sé quanto occorre per discernere e salvare, fra i detriti della Storia, ciò che ancora può servire;

In questo libro si intrecciano storie della borghesia ebraica italiana, la prima fase della lotta terroristica alla autocrazia zarista condotta dai socialisti-rivoluzionari, il tema del sionismo e la costruzione dei primi kibbutz, problematiche di natura familiare ed affettiva, il legame tra i tre fratelli Sereni, le durezze della costruzione del gruppo dirigente del PCdI durante il fascismo.

Il mondo dell'ebraismo borghese ci rimanda a tradizioni e cultura, ad una concezione della educazione dei figli in cui bisogna dare regole, opportunità, senso della sfida, importanza dell'essere costruttori del proprio destino. Perché ricorda la mamma Alfonsa i suoi figli dovevano imparare ad affrontare fino in fondo le conseguenze delle proprie scelte.

I tre fratelli Enrico, Enzo ed Emilio (Mimmo) hanno alle spalle una grande madre (Alfonsa Pontecorvo) e hanno una infanzia che sembra predestinata ad un grande futuro per via della precocità negli studi, nella conoscenza delle lingue, nella capacità di fare gruppo. Sarà così solo in parte, per via del male di vivere di Enrico e per l'apparire sulla scena  del comunismo che muterà completamente i progetti di vita di Emilio dal socialismo sionista ad una integerrima adesione allo stalinismo prima e all'URSS poi.

La cosa che mi ha impressionato nel procedere con la lettura è stata l'adesione alla durezza delle regole del comunismo clandestino, quello dell'accerchiamento (le spie, i trotkisti, l'ebraismo, …) che porta Emilio Sereni ad una dimensione di vita che lo porta a rinnegare, o mettere da parte, la sua storia serrando i denti e decidendo che il comunismo viene prima di ogni altra cosa si tratti delle accuse infondate nei suoi confronti, dell'invasione dell'Ungheria, della guerra arabo israeliana del 67 o dell'invasione della Cecoslovacchia. Questo suo serrare i denti lo porterà ad un isolamento progressivo come ricorda la figlia Clara: Non lo ammise mai, forse perché nessuno affrontò il disagio di chiederglielo: stupiti del suo progressivo ammutolire tutti, perfino i compagni che gli erano stati più vicini, senza domande si ritrassero, per rispetto e per opportunità.

Il libro è scritto da una donna e, secondo me, sono le donne le vere protagoniste, quelle che hanno il coraggio di fare un po' da argine alla ideologia mantenendo aperta la dimensione dei sentimenti e quella della famiglia.: le due Xenia, madre e figlia, Alfonsa (la madre dei tre fratelli) e anche Clara, l'autrice che ha cercato di riconciliarsi con quel padre tanto ingombrante.

Leggendo, mi ero messe da parte un centinaio di citazioni e ve le risparmio perché è meglio leggerle in originale, magari accompagnando il tutto dalla lettura della biografia che ho linkato. Si tratta di lettere o di ricostruzioni che Clara Sereni fa partendo dai documenti.

Xenia e Mimmo sono a Parigi e si trovano a vivere le tragedie del gruppo dirigente del PCI stretto tra il consolidarsi del consenso intorno al fascismo, gli arresti a ripetizione di coloro che vengono mandati in missione in Italia, i sospetti nei confronti di chi è stato amico di un socialista o è ebreo (e dunque è potenzialmente una spia trotkista). La linea del partito è giusta e se non funziona vuol dire che ci sono dei traditori e che bisogna smascherarli. Clara  non lo scrive, ma Emilio Sereni, di passaggio a Mosca, viene addirittura condannato a morte e riuscirà a tornare in Francia solo umiliandosi di fronte a Stalin, ma sarà declassato e la moglie espulsa.

Il Paese del comunismo lo accolse con polizia, interrogatori, arresto. Non si stupì, conosceva le tortuose teorie di Stalin sui controrivoluzionari, e concordava con lui - con il Partito - sulla necessità di guardarsi anche da se stessi. Non fece questioni di antisemitismo. Neanche quando capì che i dubbi, anzi le accuse a suo carico vertevano quasi esclusivamente sui suoi rapporti non sufficientemente prudenti con ebrei, da Hirschmann ad Abramovich a Curiel a Eugenio Colorni. A Enzo.
Si disse e disse che tutto questo, e l'altro che si poteva intuire, era giusto, anzi necessario. Così alto era il fine - un destino collettivo potenzialmente perfetto - che gli inciampi del singolo cammino non potevano avere importanza.
Tornò da Mosca convinto delle proprie scelte più che mai: la fortuna che aveva avuto - dì tornare - era una conferma, e i ricatti li chiamò linea politica.

La scelta è netta Xenia scrive alla madre di far finta che non è mai esistita, che è opportuno cessare ogni rapporto, anche epistolare; e ci tornerà sopra con la stessa durezza anche dopo la liberazione quando la madre ormai trasferita in Palestina (lei atea e di religione greco ortodossa) cerca di riannodare i rapporti: (...) Certo, quando penso a cosa significhi interrompere i rapporti tra noi, cioè non scriverci nemmeno due parole, ho una sensazione di terrore. Non riesco ad immaginare come questo sia possibile: io ti amo come prima, e forse di più, perché ora amo e rispetto in te non solo la madre ma anche la persona. Tu sei tutta la mia infanzia, tutta la conoscenza che ho del mondo: sei tutta la mia famiglia, e sopratutto sei mia madre. È per questo che mi ci è voluto tanto tempo per decidermi a scriverti: avevo paura di darti un dolore troppo forte, ma avevo paura anche per me. Ma noi rivoluzionari non abbiamo il diritto di esitare, o di aver paura. Se così è stato deciso, così deve essere.

Lo stesso fa Mimmo nei confronti del fratello Enzo (emigrato in Palestina nell'ambito di un progetto che doveva riguardare entrambi) ma disponiamo solo delle lettere di risposta di Enzo. Comunque, quando dopo la liberazione, giungerà la conferma che Enzo, attivo nella resistenza italiana, dopo diverse peripezie è stato ammazzato a Dachau, per qualche giorno la scorza di Emilio si piegherà alla commozione.

Certo con il partito le cose si sistemeranno e Sereni giocherà un ruolo importante nella fase finale della resistenza, nei primi governi De Gasperi e sino ai primi anni 60. Ma questo Sereni, studioso, appassionato di agraria e in generale di scienza, il Sereni che leggeva Poincarè a 15 anni, nel 56 si schiererà apertamente a favore dell'invasione dell'Ungheria e rimarrà per tutta la vita un silenzioso stalinista.

Nella lettura del libro mi ha particolarmente colpito la descrizione dettagliata della malattia (un cancro alla Tiroide) che nel 51 porterà Xenia alla morte passando per Roma, Mosca e Losanna. Una cosa mi ha particolarmente impressionato e consentito di chiarire quali fossero i livelli di subordinazione dell'uomo, anche del dirigente, nei confronti del partito. E' la lettera che Sereni manda alla segreteria per informare della malattia di Xenia e della opportunità di un  trasferimento in URSS nella speranza che la patria del socialismo disponga delle terapie radianti già in possesso degli americani.

Nella lettera sottolinea che Xenia conosce bene il russo e dunque durante i trattamenti terapeutici potrà comunque lavorare e conclude così: Scusatemi cari compagni, di distrarvi, in un momento così grave per la vita del Paese, con una richiesta di carattere personale. Ho sempre condotto la mia vita di Partito, credo, senza mescolarvi considerazioni del genere; e così ha fatto la mia compagna, che anche nei momenti più difficili ha sempre subordinato ogni preoccupazione personale e familiare alle necessità di lotta del Partito. So che questo non è che il dovere di ogni militante; e non farei una richiesta del genere, se non pensassi che essa è compatibile con un lavoro utile per il Partito da parte della mia compagna; mentre mi darebbe, certo, nuova forza per il mio lavoro, liberandomi dalla preoccupazione di una impotenza di fronte al male della mia compagna, che potete pensare quanto sia atroce.

Cosa dire in conclusione? E' un grande affresco della prma metà del XX secolo. Emilio Sereni era un uomo di marmo? Leggendo il libro il dubbio non si scioglie e non si capisce il processo che negli anni degli studi di agraria a Portici lo porta a rifiutare prima il sionismo e poi l'ebraismo, trasformandosi appunto in un uomo di marmo, anche se la figlia, lavorandoci per una decina d'anni ha condotto un meritevole percorso di conoscenza e di riconciliazione. Quelle che ci escono bene sono le donne.


Il gioco dei regni
Clara Sereni,
2017, Giunti Editore, prima edizione 1993 544 pag, 15 € epub 7 €


 Di Clara Sereni ho pubblicato la recensione a Via Ripetta 155