Le elezioni in Francia

Mai avuto dubbi sul fatto che la decisione di Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale, all’indomani delle elezioni europee, fosse una scelta dovuta. E non solo per la ragione “tattica” che di lì in avanti non gli sarebbe convenuto stare sulla graticola, mentre per i prossimi due anni la Le Pen avrebbe potuto ogni giorno soffiare sulle braci.

La scelta aveva alla base una motivazione democratica sostanziale: se i Francesi avevano consegnato una maggioranza relativa del 34% a Madame Le Pen, conquistata sulla base di proposte molto chiare – abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, ritorno di sovranismo, filo-putinismo… – allora che i Francesi la mettessero alla prova.

Il risultato finale non ha confermato le intenzioni di molti Francesi. L’alta partecipazione al voto non è stata certo favorita dal meccanismo elettorale del doppio turno, che tende ad abbassare la partecipazione al secondo. Semplicemente il lepenismo è minoranza. Marine Le Pen si è consolata, affermando che la sua è una marea che continua a salire inesorabile. Occorre solo ricordare che maree si alzano e poi si abbassano. Dipende dalla “luna” degli… elettori.

Di qui in avanti incomincia di nuovo in Francia la politica quotidiana, molto simile in tutti i Paesi europei, salvo che in Inghilterra: quella della contrattazione delle alleanze. L’auspicio di noi europei è che la deradicalizzazione delle frange estreme, consentita dal meccanismo del doppio turno, porti alla formazione di un governo capace di riconsegnare un ruolo alla Francia nella costruzione dell’Unione europea e nella difesa delle ragioni dell’Ucraina.

A noi Italiani l’asse franco-tedesco non è mai piaciuto moltissimo. Resta tuttavia che, fino ad oggi, questo asse ha tenuto in piedi il discorso europeo, finché noi non sappiamo farlo meglio. Un governo Bardella molto probabilmente lo avrebbe indebolito ancora di più.

Le attese e le paure

Lasciando a Macron le sue pene, quali insegnamenti derivano dalla vicenda francese a noi Italiani per affrontare le nostre?

Per rispondere a tale domanda è necessario fendere la nebbia del dibattito politico-politologico per vedere più in basso e più da vicino che cosa si agita nella società civile europea, al netto delle differenze culturali e politiche di ciascun Paese.

Ciò che si percepisce immediatamente è una frammentazione socio-economica crescente, accompagnata da un’acuta autocoscienza del fenomeno da parte dei soggetti sociali coinvolti. La frammentazione viene spesso descritto con l’uso esclusivo di categorie pauperistiche, soprattutto da chi cerca incessantemente un nuovo soggetto della liberazione umana.

Eppure, c’erano minori diseguaglianze socio-economiche e culturali prima dell’accensione dei processi di globalizzazione? Si stava meglio prima o si stava peggio? La risposta è: c’erano maggiori diseguaglianze, fino alla fame vera e propria, la gente stava peggio e moriva prima.  Oggi si sta meglio.

Solo che uno dei meccanismi attivati dallo sviluppo socio-economico e tecnologico e dal globalismo della comunicazione è stato quello della crescita continua delle attese e delle pretese.

E della conseguente domanda di eguaglianza nella distribuzione dei benefici e della ricchezza. Perché loro sì e noi no? Perché lui sì e io no?  Ecco perché dall’Africa partono i più “ricchi” e non i più poveri. Perché “ci hanno visti”! E le attese si sono trasformate in “diritti di…”.  Così si sono mischiati due fatti: un aumento della velocità oggettiva dello sviluppo ineguale e di nuove opportunità di sviluppo, cui non tutti possono immediatamente accedere allo stesso modo, e un elevamento delle attese e pretese soggettive di tutti. L’espressione ZTL – Zona a Traffico Limitato – è diventata la sintesi simbolica di queste contraddizioni.

Così, per tornare alla Francia, Parigi è rappresentabile come un’unica ZTL rispetto all’intera Francia. Fenomeni analoghi – sotto il dualismo città-periferia, città-campagna, pianura-montagna, pianura-zone interne – sono visibili in Italia.

Le ragioni sociali e psicologiche del sovranismo

L’altro meccanismo – psicologico – che si innesca è quello dell’inquietudine e della paura. Anche se noi, in quanto individui e gruppi in situazione, puntiamo a conservare la tranquilla stabilità del nostro mondo, è esattamente questo mondo che sta velocemente cambiando.

Gli adulti invecchiano, i ragazzi mancano. Quelli nuovi arrivano in barcone, quando ce la fanno, dotati di altre culture, abitudini, religioni diverse e spesso ostili. Le nostre chiese si svuotano, i tetti cadono a pezzi. Stiamo perdendo il controllo del nostro presente e del nostro futuro.

Il sovranismo “bianco” non è un’invenzione della politica, è la reazione socio-culturale alla perdita di sovranità sulla propria vita quotidiana. Ci sono classi sociali e intellettuali che hanno la corrente a favore – e sono una minoranza. Ci sono classi e gruppi e individui che restano indietro – e sfiorano la maggioranza. Se la politica non riesce a far intravedere speranze, nessuna meraviglia che appaiano all’orizzonte venditori di almanacchi e di illusioni, che, in cambio di voti e di potere, annunciano nuovi paradisi terrestri di sovranità nazionale e di pace universale, purché restiamo tranquillamente al caldo delle nostre comunità locali, dentro i nostri confini nazionali e custodiamo le nostre tradizioni.

I periodi di transizione sono più difficili

Perciò tentare di cavarsela solo con l’antica dialettica antifascismo-fascismo non porterà lontano. I periodi di transizione sono storicamente i più difficili da governare, ma anche i più fecondi di novità. La transizione ci riconsegna un nuovo lancio dei dadi, che qualcuno aveva gettato prima di noi.

La transizione: esige la messa al bando di approcci fondamentalisti rispetto a questioni quali la transizione energetica, la crisi climatica, il fenomeno dell’immigrazione, l’avvento dell’Intelligenza artificiale, il disordine geopolitico mondiale… Non è più il tempo degli slogan semplificatori.

Se la politica dà voce solo a chi corre, quelli che restano indietro a chi si affideranno? E poiché “politica” coincide, almeno in Europa, con “democrazia” e “statualità nazionale”, il rischio già evidente è che i settori fuori dalla ZTL si rifugino nell’antipolitica e nell’anti-democrazia.  Ha incominciato ad accadere già dal 2008. È ora di apprendere un’altra lezione.




Le Pen solo terza

Oggi era san Claudio, nessuno mi ha fatto gli auguri, ma quelli più sinceri me li ha fatti il popolo europeo che, da sempre, amo più di ogni altro.

C’era il pericolo che vincesse una estrema destra, molto più estrema, di Fratelli d’Italia e invece la Le Pen arriva terza, vince il fronte popolare, subito tallonato dal partito di Macron e fanno un bel risultato anche i repubblicani ex gollisti.

Ho appena avuto il tempo di esultare ed è comparso in video Melanchon con una dichiarazione abbastanza arrogante: niente accordi, niente consultazioni, niente macroniani, dobbiamo governare noi. Come se questo riusultato molto positivo non fosse figlio del patto di desistenza.

Ho sentito qualche commentatore più informato di me affermare che la sinistra moderata francese aveva già chiarito che l’accordo con Melanchon sarebbe finito a scrutinio effettuato perché la tradizione progressista francese non si fonda su derive estremiste e in quel caso il via alle danze lo avrebbe dato proprio quello che doveva evitare certe sparate.

Da domani si vede. Sembra comunque che stasera Salvini si sia bevuto una cassa di bottiglie di Cynar nella speranza di attenuare gli effetti del travaso di bile.

 

 




elezioni Europa

Il quadro in Europa nel suo complesso evidenzia un leggero spostamento a destra. Il PPE cresce di 8 seggi e va a 184, la socialdemocrazia è stabile con 139, calano i liberali (-23) per le sconfitte in Francia, Spagna e Italia e vanno a 79, perdono i verdi (-19) con 52, crescono i due gruppi di destra (+ 9 e +4) con 73 e 58.

Non dimentichiamo che si è votato in 27 paesi con storie, culture, problematiche diverse che determinano risultati tra loro contradditori (gli scandinavbi sono molto diversi dai polacchi e questi dagli slovacchi).

Dal punto di vista numerico ci sono tutte le condizioni per riconfermare la coalizione Ursula ma ci sono problemi politici grossi che riguardano le ripercussioni interne su Germania e Francia. In puro sile presidenzialista e repubblicano, Macron ha sciolto il Parlamento dicendo ai francesi scegliete il governo che preferite, anche se la costituzione francese mette comunque il presidente in una posizione di forza per i prossimi anni.

La sperata svolta che potesse indurre una spinta in avanti dell’Europa non c’è stata e sarà un avanti piano con Judicio altro che Stati Uniti d’Europa.

Sono contento per il risultato del PD e di quello (opposto) dei 5 Stelle. Il PD tiene e avanza su un messaggio semplice (ma debole) per gli elettori: noi teniamo duro e diciamo questo no, questo no, … La sinistra, con Ilaria Salis, ha fatto il botto (ben per loro e bene per Ilaria). I sondaggi degli ultimi mesi, come al solito, hanno visto in maniera strabica.

Detto ciò due paroline su Italia Viva (3.7 %), che ho votato, e su Azione (3.3%). Mi pare che il progetto, in mano alla coppia più bella del mondo, sia finito in maniera definitiva ed è bene che se ne vadano a casa al più presto. Se le realtà locali saranno in grado di ricostruire un progetto bene; se no, fine della storia. Il centro del centro sinistra ha un bacino potenziale del 10%. Quel bacino è’ stato mandato al macero e mi aspetto qualcosa di simile anche per Firenze con lo spoglio che inizia oggi pomeriggio; Stefania Saccardi appare molto, molto, molto lontana dal ballottaggio.




il bivio dell’Europa

Nella campagna elettorale, ormai agli sgoccioli, per il Parlamento europeo, la più sguaiata di tutte quelle finora svolte e la più drammatica per le condizioni geopolitiche in cui accade, è stato difficile per gli elettori capire quali fossero le posizioni dei partiti rispetto alla questione fondamentale: quale destino per quell’entità storico-culturale e spirituale che è l’Europa? Quale assetto politico-istituzionale necessario per l’Unione europea? I leader di partito – in particolare dei partiti maggiori – si sono cimentati in squallide baruffe pseudo-identitarie.

L’effetto prevedibile? Il disinteresse, la fuga, l’astensione degli elettori. Tanto meglio per i partiti. Se vanno al voto i fidelizzati e gli incerti stanno lontani dalle urne, allora la gara è tra tavole di valori. E le culture politiche e i programmi in cui i valori si incarnano? C’è il rischio che siano troppo “unitivi”.

Tuttavia, in questa nebbia di propagande, confuse e reticenti, occorre riconoscere a due partiti minori – Lega Salvini e Stati Uniti d’Europa (+Europa, Italia viva, Radicali, Psi, Volt, Libdem) – il merito di aver proposto con chiarezza il bivio che la UE e i suoi  elettori devono affrontare: “Più Europa o Meno Europa?”.

Perché “Meno Europa”?

È divenuta egemone, in questi anni, una narrativa, secondo la quale la UE è diventata un Moloch burocratico oppressivo per le sovranità nazionali, uno strumento di prepotenza dei Paesi nordici e – antica versione di sinistra – catena di trasmissione del dominio capitalistico americano.

La UE minaccia i nostri interessi nazionali. Perciò bisogna tornare indietro sulla strada dell’integrazione europea. E per essere coerenti fino in fondo, bisognerebbe uscire dall’Euro. La “sovranità europea” è una bestemmia e se il Presidente Mattarella la pronuncia, Salvini chiede che si dimetta. Questa è l’ultima “salvinaggine” ignorante dei Trattati e dell’art. 11 della Costituzione. NdR. il neutrale correttore automatico di Google propone di sostituire il neologismo con asinaggine!.

Tuttavia, è vero che l’architettura istituzionale europea è sbilenca, che la separazione dei poteri e i loro check and balance sono incerti. Come ha osservato con una battuta G. Amato: Montesquieu non si è mai visto a Bruxelles.

Il fatto è che le istituzioni europee sono il risultato di un lungo bricolage istituzionale, avviato con i Trattati di Roma del 1957, che ha sovrapposto gli organismi, tentando di conciliare le pretese delle sovranità nazionali con il livello sovranazionale. Questa struttura istituzionale barocca non è la causa, ma l’effetto di un assetto politico intergovernativo e confederale, regolato dai Trattati, senza una Costituzione europea, e fondato sul principio di unanimità per le decisioni strategiche. Al punto che l’abolizione del principio di unanimità deve essere decisa all’unanimità. La risultante è la paralisi.

A questo punto, la via più semplice appare essere la rinazionalizzazione delle strutture istituzionali e politiche. Se di fronte alle sfide del momento quali la guerra, l’immigrazione, la concorrenza americana e cinese, il clima, l’Intelligenza Artificiale, il potere “sovrannazionale” europeo è muto e impotente, tanto vale che si torni ai rapporti bilaterali.

C’è anche una seconda narrativa liberale, a-sovranista. Poiché la storia europea è una storia di frammentazione, almeno dalla caduta dell’Impero romano, e di sangue, dalle guerre di religione del ‘500, alla Guerra dei Trent’anni fino alle ultime due guerre mondiali, non esiste un “popolo europeo”. Perciò è impossibile costruire un Stato-nazione europeo. L’unico assetto possibile è quello intergovernativo e confederale. È già molto. Teniamocelo stretto e procediamo prudentemente sulla “Via dei Trattati”, senza europeismi escatologici, applicando il principio di sussidiarietà ogni volta possibile.

Perché “Più Europa”?

Chi propone “Più Europa” muove dal contesto geopolitico attuale. Il ciclo storico della pace in Europa, che datava dal maggio del 1945, è finito bruscamente il 24 febbraio 2022 con l’aggressione russa dell’Ucraina.

E questa guerra ha facilitato il pogrom di Hamas e l’accensione di un focolaio di guerra in Medioriente. La storia europea ha fatto un salto drammatico. Benché le minacce nucleari di Putin servano a spaventare solo i pusilli, a quanto pare con successo, è evidente che stiamo camminando sul crinale sottile e tagliente pace/guerra.

Le singole sovranità nazionali europee sono deboli rispetto alle sfide, ma la sovranità europea non c’è: né sul piano geopolitico e della sicurezza, né su quello economico. Sul piano culturale, il suo capitale cristiano-liberale viene eroso dalla cancel culture, dal wokismo e dal politically correct.

Pertanto i sostenitori di “Più Europa”, disseminati nella società civile e nei vari partiti, pensano che sia necessario un salto quantico dalla UE intergovernativa e confederale alla UE federale, alla quale i singoli Stati sovrani conferiscano poteri sovrani in materia di politica estera, di difesa, di un bilancio – oggi al di sotto del 2% del Pil europeo – di fisco, di sistema bancario, di mercato dei capitali, di concorrenza… Come arrivarci?

La via più realistica è quella di un’Europa a due velocità, con un nucleo di Paesi – Group of friends?  Triangolo di Weimar? Cooperazione rafforzata? –  che incominci a progettare e a praticare un assetto federale. Gli altri o ci arriveranno o cadranno, in nome della difesa della sovranità nazionale, nell’orbita di “potenze straniere”.

Le libertà europee

Queste discussioni non hanno appassionato gli elettori, benché riguardino il loro personale destino, perché la volgare campagna elettorale in corso non ha fatto emergere la posta in gioco del presente: la difesa delle libertà europee.

L’attuale configurazione politico-istituzionale della U.E. non è in grado di garantire la difesa delle libertà – sbocciate dall’humus classico, cristiano, illuministico, liberale e socialista – contro l’imperialismo russo e cinese e contro il fondamentalismo islamico, che punta all’egemonia nel Medioriente e in tutta l’Africa, a Nord e a Sud del Sahara.

Né l’attuale UE è in grado di “domare la potenza che sgorga dalla scienza e dalla tecnica”, come auspicava Romano Guardini in “Europa. Compito e destino”, richiamando al substrato cristiano dell’Europa.

Né di imbrigliare le potenze della  globalizzazione. Essa sta erodendo e fratturando gli Stati-nazione e le loro basi socio-culturali: una parte di società civile è sempre più attratta dal magnete globale, costituito da idee, consumi, stili di vita, social-media, mentre un’altra parte si è serrata a difesa di ciò che sono o si pretende che siano le tradizioni nazionali. La Nazione e le identità individuali e collettive, esaltate da Johann Gottfried Herder nel ‘700, tornano a separarsi, dopo 500 anni. Serve pertanto uno nuovo schema politico-istituzionale.

 




Ilaria Salis + o –

Ilaria sorridente e non ammanettata

Ieri si è tenuta la prima udienza di merito del processo a Ilaria Salis e l’abbiamo vista arrivare in taxi accompagnata dai genitori, finalmente senza manette e catene.

Ho cercato di documentarmi sul processo,  ma l’unica cosa che sembrava fare notizia era la protesta del padre circa il fatto che il tribunale ha reso pubblico il suo domicilio.

Astrattamente si potrebbe pensare ad un rischio di pericolosità (indirizzo già presente sui social della estrema destra ungherese) ma se come pare, Ilaria arriva in Taxi e non ha particolari protezioni da parte delle autorità, a qualunque mal o ben intenzionato bastava una mezza giornata di ricerca per capire da dove arrivava. Mi pare dunque che questo sia un elemento da far decadere. Ormai si sa e da oggi i giornalisti inizieranno a presidiare la zona.

In aula sono stati sentiti due testimoni e una delle vittime e nessuno di loro ha riconosciuto Ilaria; riconoscimento difficile visto che la aggressione sarebbe avvenuta a viso coperto e alle spalle e dunque gli elementi a favore o sfavore di Ilaria andrebbero cercati in elementi di dettaglio corporeo.

Prossima udienza a settembre e, per quanto ho capito, l’accusa cercherà di seguire la linea del processo indiziario; per questa ragione sarà importante da parte della difesa procedere a contro-interrogatori accurati e presentare prove del tipo “a quell’ora e quel giorno Ilaria stava in quest’altro posto e dunque non poteva essere parte del commando di pestatori“.

In assenza di dati descrittivi più dettagliati ho visto il video con la lunga dichiarazione di uno dei suoi due avvocati italiani e in essa ci sono degli elementi convincenti e altri che lo sono meno.

costituzione fuori termine

Zoltan Toth, l’aggredito sentito oggi non era previsto in questa udienza perché a gennaio, quando è scaduto il termine per farlo, non si era costituito e oggi la corte ha deciso di accoglierne la richiesta fuori termine. Lo stesso Zoltan ha presentato un referto per tre costole rotte redatto tre mesi dopo la aggressione mentre a caldo, l’ospedale di Budapest non aveva riscontrato nulla. Sembra di capire che l’aggredito ci marci, visto che contemporaneamente ha presentato, sempre fuori termine, una cospicua richiesta di risarcimento. Al giudice monocratico, che più che un giudice terzo sembra un PM tutto ciò va bene perché serve ad avvalorare la imputazione di lesioni che, potenzialmente, avrebbero potuto condurre a morte.

Come sanno tutti, il rispetto delle procedure in un processo, è la base della civiltà giuridica.

atti in ungherese

Gli atti continuano ad essere disponibili solo in ungherese; la corte dichiara che non ci sarebbe alcun problema perché in udienza Ilaria dispone di un interprete. Ma il rito ungherese è di tipo inquisitorio e non accusatorio. E’ l’accusato a dover dimostrare la sua innocenza e non il contrario e dunque le carte sono importanti, molto importanti, perché vanno eventualmente contestate, bisogna impedire che siano a disposizione del solo giudice e non delle parti creando uno squilibrio palese, bisogna poterle usare durante la testimonianza di vittime e testimoni. Attualmente tutto ciò lo fa il giudice che ha anche il potere di emettere ordinanze inappellabili.

la linea difensiva del rinvio

L’avvocato protesta ma, contemporaneamente, fa una dichiarazione che mi ha lasciato allibito: abbiamo incaricato della traduzione una società specializzata di Milano e le traduzioni saranno disponibili solo a novembre. Su questa baseaveva richiesto il rinvio a novembre del dibattimento. Ora io mi rendo conto che nel regno del bollo tondo bisogna mettere a posto tutti i bolli, ma non credo che ci voglia più di una settimana per tirar fuori quello che conta ai fini processuali, tradurlo e prepararsi al controinterrogatorio; a settembre mancherà qualche timbro e qualche atto inessenziale ma la difesa si dovrebbe poter fare senza grandi problemi.

Ho avuto difficoltà a raccogliere notizie. Lo ha fatto solo il Manifesto. Mi chiedo se i quotidiani italiani abbiano inviato a Budapest dei cronisti giudiziari o degli esperti di cronaca rosa: le manette, la diffusione dell’indirizzo e le proteste del padre. Sul merito del processo nulla.

Io sono dalla parte di Ilaria, del suo diritto ad un processo giusto e rapido, ma non sono per la linea  del fare di ogni erba un fascio. I fasci li lascerei ai fasci e alle demokrature. Se ci saranno novità significative aggiornerò questo articolo.




la bandiera europea non è un elastico

bandieraufficiale

Il ministro degli esteri Tajani ha giustamente polemizzato con le dichiarazioni di Borghi che si presenta alle europee e contemporaneamente propone di eliminare la esposizione della bandiera europea a fianco di quella italiana.

La motivazione, però, mi ha fatto però sobbalzare e la riporto integralmente:

Quella bandiera rappresenta la nostra identità e le nostre radici cristiane. Le dodici stelle non sono gli Stati, sono le dodici stelle che cingono il capo della Vergine, rappresentano le dodici tribù di Israele, e la bandiera è azzurra perché il manto della Vergine è azzurro. Quella bandiera indica chiaramente quali sono le nostre radici. Per quello va rispettata. Su questo credo debba esserci rispetto e cercare di capire bene chi siamo, perché più sappiamo chi siamo più siamo forti“.

Mi sono detto, non ci avevo mai pensato, e sono andato a documentarmi anche perché la storia delle stelle che cingono il capo della vergine mi sembrava grossa. Potete documentarvi qui perché il processo decisionale è stato lungo e le proposte, incluso il numero delle stelle, sono state molte.

Al di là del lungo iter procedurale Il 25 ottobre del 1955 l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, considerate opinioni e riserve espresse, favorì il disegno di Heitz, ma scelse di apporre dodici stelle sul drappo blu e raccomandò che i rappresentanti dei governi l’adottassero, cosa che i 14 Stati allora membri (Belgio, Danimarca, Francia, Germania fed., Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Turchia) fecero l’8 dicembre 1955 con il seguente testo:

«Sullo sfondo blu del cielo del Mondo occidentale, le stelle rappresentano i popoli dell’Europa in un cerchio, simbolo di unità… proprio come i dodici segni dello zodiaco rappresentano l’intero universo, le dodici stelle d’oro rappresentano tutti i popoli d’Europa – compresi quelli che non possono ancora partecipare alla costruzione dell’Europa nell’unità e nella pace.»

Non ci sono le 12 tribù di Israele, non c’è la Madonna ma in compenso c’è il numero 12 che dalla civiltà assiro-babilonese in poi è stato considerato il numero piccolo pù semplice perchè è divisibile oltre che per 1 e per 12, anche per 2, 3, 4, 6. Per la stessa ragione sono 12 i mesi dell’anno, inizialmente pensato di 360 giorni (altro numero crucuiale per la divisione) che viene scelto come misura dell’angolo giro in ° e questi a loro volta hanno dei sottomiuultipli in sessantesimi. E’ probabile che le tribù di Israele siano state 12 per la stessa ragione per cui il 12 è un numero speciale.

Come vedete la Madonna non c’entra e semmai i culti si cristiani sono adeguati ad una prassi più antica. Trecentosessanta è divisibile per 2,3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 15, … in un mondo in cui non si conoscevano i numeri decimali.

Il sito ufficiale della UE precisa che “Le 12 stelle in cerchio simboleggiano gli ideali di unità, solidarietà e armonia tra i popoli d’Europa.“. OK

E questa immagine che sintetizza viene direttamente da Bruxelles e Strasburgo.

bandiera europea




Vercingetorige Angurie detta Rige

Nuvola detta Giorgia

Mi capita raramente di essere completamente d’accordo con Travaglio che, in questo caso, la pensa come Prodi, ma lo dice in maniera più efficace:

  • La scelta di Meloni, Calenda, Tajani,Schlein di candidarsi in quasi tutti i collegi dichiarando contemporaneamente che se eletti, rinunceranno al seggio, è immorale e funzionale a far aumentare la schiera di quelli che, per protesta non andranno a votare
  • La scelta di Meloni di far scrivere Giorgia per esprimere il voto di preferenza a suo favore è offensiva nei confronti dei suoi elettori perché non sta a significare affetto o empatia ma lascia intendere che li considera degli analfabeti funzionali che non sarebbero in grado di scrivere Giorgia Meloni.

Berlinguer, per il popolo comunista era Enrico e, prima di lui Togliatti era Palmiro, anche Almirante era affettuosamente Giorgio e Berlusconi per tutti era Silvio. Ma nessuno di loro si è mai sognato di usare il detto Enrico Palmiro Giorgio Silvio al post del cognome. L’avrei capito se si fosse chiamata Vercingetorige Anguria detta Rige. Si sarebbe corso il rischio di un errore nello scrivere per esteso nome e cognome, ma Giorgia Meloni, dai non scherziamo.

  • Nessun capo di governo si candida in Europa, per una ovvia ragione di incompatibilità. In Europa c’è già un organismo dei capi di governo e si chiama Consiglio Europeo una cosa diversa dal Parlamento per rappresentanza, composizione e funzioni.

La novità dell’ultimora, la sera del 1 maggio è stata la scelta di Renzi di candidarsi, all’ultimo posto, in quasi tutte le circoscrizioni. La ragione è chiara ed è identica a quella di coloro che ho citato in premessa: l’effetto trascinamento nei confronti degli aficionados. I sondaggisti dicono che il nome del leader vale tra l’uno e il due per cento e ciò per una forza che starebbe a malapena sopra la soglia del 4% potrebbe essere importante.

Lo dicono loro, ma non mi convincono perché oltre agli aficionados ci sono le persone serie e quelle potrebbero anche incazzarsi. E’ stata la mia reazione la sera del 1° maggio quando ho sentito Mentana dare la notizia. La prima reazione è stata del tipo, mi hai deluso ancora una volta e quindi non vado a votare (rottura del progetto con Calenda anche se poi in Europa si finisce nello stesso raggruppamento, balletti finali sulle candidature).

Poi è arrivato qualche elementoi di tranquillizzazione sia nelle ricostruzioni fatte da Bonino circa le decisioni dell’ultimo minuto sia nelle solenni dichiarazioni di entrambi secondo cui i candidati parlamentari italiani di “Stati Uniti d’Europa” si dimetteranno se eletti.

Bene; mi rimane un dispiacere relativo al comportamento di Renzi. Se pensavi di passare in Europa avresti potuto dirlo un mese fa quando si cercava faticosamente di costruire questa lista e lo penso ancora dopo aver letto la sua newsletter che riporto qui sotto.

Sia Renzi, sia Bonino in Europa non andranno certamente a discutere del colore della etichetta dei formaggini e in parlamento si faranno sentire: revisione dei trattati, difesa europea eliminazione del diritto di veto, passaggio alla unità politica.

Ecco un estratto della newsletter di Renzi:

Davanti alle guerre, al calo demografico, alla crisi identitaria e culturale noi diciamo Stati Uniti d’Europa. Siamo gli unici che mettono il progetto politico nel simbolo. Gli altri ci mettono i loro cognomi, accecati dal loro bisogno di apparire leader. Ma i veri leader non mettono il cognome nel simbolo: chiedono ai cittadini di scrivere loro il cognome nella scheda. E se i cittadini li eleggono, poi loro li rappresentano. Andando a Bruxelles, non prendendo i voti per scappare.

Noi sul simbolo ci mettiamo Stati Uniti d’Europa. È una proposta di Emma Bonino, una donna molto diversa da me per storia e formazione culturale. Ma se ci mettiamo insieme – con tanti altri – non lo facciamo sul passato, lo facciamo sul futuro. Pensiamo che senza una battaglia alta e nobile per gli Stati Uniti d’Europa i nostri figli staranno peggio. Lo pensiamo per l’elezione diretta del Presidente della Commissione, lo pensiamo per il diritto di veto da togliere a Orban, lo pensiamo per l’esercito europeo e per la politica estera che sia davvero politica estera e non burocrazia estera. Lo pensiamo per la sanità, per l’intelligenza artificiale, per le infrastrutture, per la cultura, per una sostenibilità ambientale che non sia mera ideologia.

E siccome io credo che senza la battaglia per gli Stati Uniti d’Europa saremo tutti messi peggio, sento il dovere di correre anche io. Corro in ultima posizione, non in prima. Corro senza cognome nel simbolo, se volete il cognome lo scriverete voi. Corro con la certezza che se eletto al Parlamento Europeo lascerò il Senato della Repubblica. E mi costa lasciare questo ufficio, caspita se mi costa. L’ho detto in questo video.

Ma noi non siamo quelli della comodità. Sono quindici anni che a ogni bivio rischiamo e rilanciamo. Una volta ci è andata male, al referendum. Altre volte ci è andata bene. Ma abbiamo messo sempre il coraggio prima della comodità.




voto PD e chiedo

Sarò pure un superficiale, ma non mi interessa granché sapere se la Schlein si presenta capolista alle elezioni europee o se il suo nome appare nel simbolo del PD. A me interessa sapere COSA andranno a fare in Europa i candidati del PD che farò eleggere nel Parlamento Europeo.

In particolare mi interessano due cose: la guerra in Ucraina e la politica energetica. Sembrano due problemi lontani fra di loro, ma hanno in comune la parola futuro: il futuro di pace dell’Europa e il futuro di serenità della vita dei nostri figli e nipoti.

GUERRA IN UCRAINA

Siamo tutti d’accordo che “dobbiamo aiutare l’Ucraina”. Ottimo! Ma cosa significa?
Zelensky lo dice chiaramente: “Il nostro obiettivo è riconquistare tutti i territori, compresa la Crimea, e fare pagare alla Russia i danni di guerra“. È un obiettivo chiaro e preciso.

DOMANDE – E’ anche l’obiettivo che in Europa sosterranno i parlamentari del PD?
Per realizzarlo sosterranno una partecipazione diretta della NATO? Coinvolgeranno i soldati italiani? Sosterranno il dispiegamento di missili nucleari in Polonia? In caso contrario quali altri strumenti hanno in testa per raggiungere l’obiettivo? In quanti anni? A quali prezzi accettabili?

NOTA – Forse sono un po’ distratto, ma non ho capito quali risposte mi dà il PD a queste domande. Come elettore ho diritto di avere risposte chiare. Altrimenti cosa voto a fare?

POLITICA ENERGETICA

Siamo tutti d’accordo che “dobbiamo ridurre le emissioni fossili“. Ottimo! Ma cosa significa?

Di fronte al dramma contemporaneo dei cambiamenti climatici a causa antropica il futuro del pianeta dipende in gran parte dalla riduzione dei gas serra provocati dalle fonti energetiche combustibili.

Il risparmio energetico e la definizione di un nuovo modello di sviluppo sono indispensabili, ma non sufficienti. Le principali alternative energetiche sono il solare, l’eolico, il geotermico, il nucleare e l’idroelettrico.

DOMANDE – I parlamentari che farò eleggere sosterranno l’idea di un futuro energetico “tutto fonti rinnovabili”? Sosterranno l’abolizione dei veicoli a benzina dal 2035? L’abolizione comprenderà anche camion, navi e mezzi militari?

Sosterranno il NO al nucleare pensando che le sole rinnovabili saranno sufficienti per sostenere la domanda futura di energia elettrica? Hanno un progetto di potenziamento delle linee elettriche necessarie per convogliare l’energia eolico-solare prodotta prevalentemente al Sud e utilizzata al Nord? Continueranno o rifiuteranno di importare energia elettronucleare dai Paesi confinanti? A quali costi massimi? Hanno un progetto credibile dei costi economici del “tutto rinnovabili” confrontato con i costi economici del nucleare?

NOTA – Forse sono un po’ distratto, ma non ho capito quali risposte mi dà il PD a queste domande. Come elettore ho diritto di avere risposte chiare. Altrimenti cosa voto a fare?




Gli opportunisti d’Europa

 

Dopo anni di trattative il Parlamento Europeo ha approvato a grande maggioranza (con 359 voti favorevoli, 166 contrari e 61 astensioni) le nuove regole sul Patto di Stabilità cioè le regole che l’Europa impone ai paesi membri in ordine alle politiche di bilancio per evitare che il deficit vada fuori controllo e per imporre dei piani di rientro. Le regole erano state congelate nel 2020 per effetto della pandemia e vanno ora rimesse in essere.

Artefice di questo piano è stato il commissario europeo alla economia Paolo Gentiloni, esponente di primo piano del PD, già Presidente del Consiglio, riformista di lunga data. Lo ricordo ai tempi della segreteria Renzi per i suoi interventi alle riunioni di direzione, interventi sempre molto pacati ma contemporaneamente incisivi. Non menava mai il can per l’aia e per questa ragione era molto ascoltato.

Le trattative sono state lunghe e, nell’ultimo anno, le hanno condotte direttamente il ministro Giorgetti (Lega) e il capo del governo Giorgia Meloni. Entrambi, in più occasioni, si sono vantati di aver migliorato il progetto originale. Caro lei, ora ci siamo noi. Il parametro massimo previsto in Europa, per il quale si applicano misure graduali, ma stringenti,  di riduzione è del 5% ma proprio in questi giorni si è acclarato che per il 2023 tale deficit è stato del 7,3% (grazie allo scellerato bonus del 110% voluto da Conte e dalla banda degli sfascia bilanci).

Attenzione il deficit di bilancio è il rapporto percentuale tra la differenza tra spese ed entrate e il prodotto interno lordo. L’Italia da anni è in deficit e il debiti pubblico continua ad aumentare. Se non ricordo male solo i governi Prodi riuscirono a ridurlo (parlo del debito pubblico). Ora non solo non ci si pone tale obiettivo ma si considera iniquo il contenimento del disavanzo al di sotto del 5%.

E’ andata in questo modo: è partita lancia in resta la Lega, che si è astenuta invece di votare contro solo perché le trattative le aveva condotte il suo numero due Giorgetti (l’eterno secondo). A questo punto Forza Italia, competitor della Lega per il secondo posto nel centro destra, si è incredibilmente accodata e ha deciso di astenersi con dichiarazione del suo attuale leader e ministro degli Esteri fregandosene del voto compatto dei popolari europei.

Fratelli d’Italia, che viene da una storia euroscettica e la cui leader, oltre che capo del governo, presiede il gruppo dei conservatori e riformisti europei, ha dovuto cambiare linea e dopo aver contribuito a costruire in maniera determinante il compromesso proposto da Gentiloni, ed essersene vantata pubblicamente, ha innestato la retromarcia e dato la indicazione di astenersi. Il gruppo europeo si è spaccato e gli spagnoli e i polacchi hanno votato a favore.

Qualcosa di analogo è accaduto tra i socialisti europei che insieme ai popolari stanno nella cabina di regia dell’Europa. Il gruppo ha votato a favore, gli europarlamentari del PD, erano per questa posizione, ma Elly Schlein e il partito romano hanno dato la indicazione di astensione (e se non fosse stato per il partito europeo e per Gentiloni avrebbero votato contro).

Stessa solfa per Renew Europe, per quel poco che conta in Italia, Nicola Danti segretario regionale toscano di Italia Viva, si è astenuto (e io me ne ricorderò l’8 e 9 giugno), mentre ha votato a favore Sandro Gozzi ex PD dei tempi di Renzi, ma ora parlamentare europeo eletto in Francia con Macron.

Tutti gli astensionisti raccontana la balla che ci sarà modo con nuove trattative di migliorare il patto di stabilità. E l’ottimo Gentiloni, con il suo aplomb, ha ironizzato e affermato che siamo riusciti a mettere d’accordo l’Italia.

Velo pietoso sui contrari che si sa, sono per la spesa incontrollata, e hanno votato contro: Sinistra Italiana, Verdi e 5 stelle. Conte, maggior artefice degli sforamenti nel deficit di bilancio, ha chiesto la testa di Giorgetti. Complimenti.

Che dire? L’Italia ha fatto in Europa l’ennesima pessima figura motivata non dalla visione di Europa e nemmeno dall’interesse nazionale (a meno che si pensi che dobbiamo finire come la Grcia di qualche anno fa), ma esclusivamente da interesse di bottega in vista delle elezioni. Si aggiunga quanto ha ripetutamente affermato Prodi in questi giorni: se ti metti in lista lo fai per farti eleggere e poi in Europa ci vai. Prodi ha parlato nel deserto.

Se non erro l’unico che su questo punto è stato coerente sin dall’inizio è stato il leader di Azione Calenda che si è dichiarato contrario a mettere nelle liste i leader di partito già parlamentari italiani. Peccato però che, dopo essere stato eletto in maniera plebiscitaria parlamentare europeo nel 2019, si sia prevalentemente occupato poi di politica italiana fino a dimettersi nel 2022 per fare il parlamentare italiano. E che dire di Renzi che prima aveva dichiarato che era disponibile a fare il capolista in tutte le circoscrizioni (quando sembrava che Italia Viva si presentasse da sola) e si è convertito alla linea opposta dopo l’accordo elettorale con + Europa.

Insomma, e vale per tutti: le politiche di bilancio sono una cosa seria, il parlamento europeo è una cosa seria. Fare scelte sulle politiche di bilancio in base a beghe di cortile e pensando di prendere l’1% in più è roba da miserabili.

 




e basta !

Giovedì 28 marzo ho ricevuto via email la newsletter di Matteo Renzi che annunciava l’avvenuto accordo tra Italia Viva e Più Europa per una lista unitaria alle elezioni europee (ne ho trattato in Stati Uniti d’Europa).

Nella news letter scriveva tra l’altro Renzi, dopo aver descritto le caratteristiche del progetto con riferimento all’Europa e ai compiti che attendono i riformisti:

“Raggiungere questo obiettivo ha richiesto e richiede tanta fatica. La costruzione di operazioni politiche complicate si fa nel silenzio, lavorando, per mesi. Non con tweet sguaiati e aggressioni agli alleati come fanno in tanti, anche nel campo degli ex compagni di strada. Io questo so fare: politica. Non chiedetemi di fare la guerra nel fango, rispondendo alle fakenews, alle illazioni, agli insulti: non è il mio. Non mi troverete nelle risse di condominio di chi preferirebbe uno scontro tra riformisti in Italia pur di affermare il proprio ego. Non risponderò a chi si dichiara liberale ma aggredisce la mia vita professionale e personale con metodi grillini.”

Erano già nell’aria le polemiche sulla presunta partecipazione alla lista di personaggi legati a Totò Cuffaro e si sapeva che l’ex Sindaco di Parma Pizzarotti stava tirando il freno a mano da dentro Più Europa vista la sua preferenza per Azione; ma la dichiarazione di Renzi mi semprava portatrice di sereno e di serenità.

E invece Renzi, dopo 24 ore, interviene sul Corriere in modo sprezzante nei confronti dei problemi di democrazia interna che Pizzarotti sta ponendo a Più Europa e scrive:

«L’idea che un progetto chiamato Stati Uniti d’Europa possa saltare per il veto di tal Pizzarotti da Parma mi sembra lunare. Facciamo questa scelta per togliere il diritto di veto a Orbán, non per darlo a un ex grillino iscritto al Movimento Cinque Stelle quando Beppe Grillo chiedeva di uscire dall’euro».

E’ dai tempi del referendum che Renzi predica bene e razzola male. Le battute gli vengono bene, ma spesso, oltre che far gioire gli aficionados, le sue battute fanno male al progetto unitario ed è quanto accaduto anche questa volta. La replica di Pizzarotti, offeso sul piano personale, è stata altrettanto netta ma con un filo di ironia:

«Caro Matteo Renzi», ha scritto dunque sui social oggi Pizzarotti «sono diventato sindaco del Movimento 5 stelle nello stesso anno in cui tu facevi il rottamatore del Partito democratico. Eravamo entrambi “anti-sistema” e nel sistema siamo entrati per provare a cambiarlo e migliorarlo. Io continuo a farlo: proviamo a rispettarci evitando il bullismo mediatico. Come +Europa parteciperà alle elezioni europee lo decideranno gli organi del partito secondo le regole che ci siamo dati, non in base alle tue interviste. Non sono mai stato No-Euro. Sia io che te abbiamo fatto parte di partiti di cui non abbiamo condiviso la linea e da cui siamo usciti. Firmato: tal Pizzarotti da Parma»