a proposito di Europa e armamenti

Ci risiamo: nellla sinistra di derivazione comunista di sinistra si tratta di una tradizione consolidata. Appena c’è il rischio di discutere di armi, anche quando si tratta di rispondere ad una aggressione, salta fuori la bandiera della pace, il vogliamoci bene, noi avremmo fatto diversamente, bisogna convincere l’aggressore e via … compagnia cantando. Naturalmente si dimentica la resistenza e la si pensa solo intermini di bella ciao. Così sfruttando il tradizionale antiamericanismo di derivazione antimperialista si convocano le manifestazioni pro-Putin al grido di “no alla difesa comune” (slogan di Potere al Popolo contro l’effetto Serra).

Naturalmente poichè a sinistra non ci si fa mancare mai nulla, esiste anche la posizione intermedia: bisogna aiutare Zelensky ma … come ha dichiarato Michele Serra “la proposta armigera di Ursula von der Leyen cozza tristemente con i valori fondativi della comunità europea“. Insomma il fatto di non aver in mano il pallino consente sempre di sputare nel piatto e persino la segretaria del PD si è esercitata in questi sport dicendo ai suoi eurodeputati che dovevano schierarsi contro il progetto Ursula nonostante il punto di vista favorevole del gruppo socialista europeo di cui fanno parte. E vai contro le spese militari che attaccano lo stato sociale in un bell’abbraccio qualunquista con Salvini.

L’Europa è nata intorno ad un progetto alternativo-competitivo a quello dei due blocchi (nato per la lungimiranza di alcuni leader democristiani e per lo sguardo lungo di alcuni azionisti e liberal-socialisti); ha una dimensione di popolazione, di mercato e di PIL assolutamente competitiva, ma non compete e conta poco perchè quando c’è da decidere parlano in 27 e quando c’è da discutere di problematiche di politica internazionale in Asia o in Africa guarda caso contano di più la Turchia, la Francia e l’Inghilterra.

C’è tutta una discussione aperta sui bilanci degli stati europei in materia di difesa. Hanno fatto i conti e dicono che l’Europa, già oggi, spende più della Russia. Credo che nel fare quel conto abbiano trascurato qualche elemento se penso alla flotta russa e ai sommergibili nucleari oltre che alle testate nucleari ed ai missili di diverso tipo. Probabilmente hanno usato un foglio excel e sommato un po’ di numeri prescindendo dal fatto che lo stato russo non è il massimo della trasparenza e che quanto vale un rublo in dollari dipende da che tipo di calcolo stai facendo.

Tolto questo sassolino, direi che bisogna integrare, e per integrare gli eserciti, bisogna avere un comando politico-militare unico ovvero bisogna farla finita con la euro-burocrazia, altra faccia delle decisioni alla unanimità.

Cosa fare nei prossimi anni? Muoversi su diversi piani:

  • risolvere la questione della guida politica e del potere decisionale anche a costo di perdere qualche pezzo
  • razionalizzare, integrare e incrementare le spese militari riaprendo le porte al Regno Unito
  • mantenere la NATO in funzione provvisoria come strumento in cui l’Europa si integra con il resto del mondo occidentale (aldilà delle boutade di Trump ricordiamoci che ci sono sia nasi Nato sia basi americane con missili e testate)
  • incominciare ad occuparsi seriamente dei BRICS
  • mettere la Cina e l’India in termini di parità nelle politiche commerciali con quei paesi (tipo USA) che attuano politiche protezionistiche.

Per chiudere due parole sulla Russia. L’era di Putin è caratterizzata da un tentativo di costruire una fascia di stati tampone, che non siano Russia in senso stretto, ma lo siano dal punto di vista delle scelte importanti (Bielorussia).

Poiché certe cose sono già accadute nel corso del 900 non dobbiamo meravigliarci che si tratta di un tema su cui, alcuni paesi sono particolarmente sensibili (stati baltici, paesi scandinavi, Romania, Polonia, Moldova) ed è questa la ragione per la quale l’Europa ha bisogno di una sua deterrenza.

 

 

 

 




a proposito di Ucraina ed Europa

Da sempre in politica, la politica estera è una discriminante perché ha a che fare con la storia.

C’è chi dice che il piano di Ursula von der Leyn sia poca cosa, o meglio, che sia una grande cosa in termini economici e una piccola cosa in termini politici perché, dicono i contrari, il vero problema è quello dell’Unità politica necessaria per poter procedere alla unità militare.

Si tratta, a mio parere, di una posizione da anime belle tipica di coloro che non capiscono che in qualunque processo l’asse dei tempi sia una cosa importante e che, se mai si comincia, mai si realizza. È una posizione assolutamente identica a quella di quegli ambientalisti contrari al nucleare con la scusa che ci vorranno anni per arrivarci e dunque non vale la pena di incominciare.

Su un altro fronte vedo la posizione di coloro che osteggiano assolutamente la possibilità di colloqui di pace sulla Ucraina con la scusa che Trump è un porco. Uso la parola porco a ragion veduta per indicare un personaggio senza scrupoli e senza principi che bada solo all’interesse economico dello schieramento che rappresenta.

Trump esprime un volto nuovo del capitalismo basato sulla economia della informazione, della intelligenza artificiale, delle nuove tecnologie e del controllo delle materie prime strategiche. Ci saranno tempi e modi per vedere se sia Trump a comandare su Musk o viceversa.

Per tutte queste ragioni l’Europa deve incominciare a ragionare anche di armamenti se vuole incominciare a contare nello scacchiere della politica internazionale. Non sono certo che il processo innescato dal Rearm Europe riuscirà a funzionare ma è comunque l’unico possibile.

La Russia, anche per effetto degli errori commessi in occidente subito dopo il crollo dell’URSS e anche successivamente, si è ristrutturata secondo gli schemi storici dell’imperialismo zarista prima e sovietico poi. Ha bisogno di un contorno di stati cuscinetto che la garantiscano sul piano militare e nel suo isolamento, garantito dalla estensione territoriale enorme e dal patrimonio di materie prime, si avvia ad una fase di sopravvivenza basata sulla autosufficienza.

Sulla questione Ucraina leggo molte superficialità sia da parte di coloro che, con la scusa della Pace, strizzano l’occhio a Putin e dunque sostengono che l’Ucraina sia un paese che, dal punto di vista culturale e linguistico, è affine alla Russia, sia da parte di coloro che sostengono la non esistenza di un problema russofono in Ucraina e assimilano questo paese all’Occidente.

Consiglio in proposito di andarsi a vedere l’andamento delle elezioni in Ucraina dal 91 in poi con risultati spesso contraddittori:
  • partiti che si affermano e subito dopo svaniscono per essere sostituiti da una nuova stella, sparizione o irrrilevanza delle forze politiche egemoni nel momento della indipendenza (incluse quelle russofile o ex comuniste)
  • instabilità di governo e progressivo ridursi della questione delle nazionalità a favore di una maggiore unità culturale e linguistica.

Forse ho allargato troppo il discorso e dunque riassumo:

  • sono favorevole al fatto che l’Europa inizi ad armarsi in maniera più autonoma rispetto agli USA
  • difendo la necessità che questo processo non si limiti a realizzare eserciti nazionali più efficienti e più dotati di mezzi ma vada di pari passo con la unità politica
  • ritengo opportuno che all’interno dell’Europa si crei uno zoccolo duro di paesi che credono agli ideali dei padri fondatori e che impongano il superamento di quella autentica stupidaggine che si chiama decisione alla unanimità
  • sono favorevole allo svolgimento di negoziati diretti secondo lo schema di sblocco posto da Trump ma che preveda una decisa voce in capitolo da parte della Ucraina. In questo quadro è opportuno che ci sia il coinvolgimento dei popoli in qualche modo coinvolti dal riassestamento (Polonia,e paesi Baltici) e ci sia una garanzia internazionale sulla esistenza di livelli di autonomia all’interno (politiche regionali) e verso l’esterno (definizione dei confini)
  • penso che sia inopportuno l’ingresso dell’Ucraina nella NATO mentre sono favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Europa politica.

Ci si interroga sulla sensatezza dell’esistenza o meno della NATO. Il problema non si porrebbe se, in questi anni, l’Europa si fosse dotata di una deterrenza militare adeguata. Non è così: l’arsenale nucleare di Francia ed Inghilterra è 1/10 di quello russo, l’esercito europeo non esiste e l’Europa è in ritardo anche su ciò che riguarda le tecnologie dello spazio legate alla difesa. Dunque la NATO serve e ci garantisce tra l’altro la presenza, oltre agli USA tentati da un disimpegno parziale, di Canada, Regno unito e Turchia.

Naturalmente, su scala mondiale esistono molti altri problemi: la la competizione economica e il commercio estero, lo sviluppo e il primato nelle nuove tecnologie della informazione dove Formosa, insieme alla Corea del Sud, sta staccando cinesi e americani, la crisi delle organizzazioni internazionali, la scommessa dei BRICS, la competizione CINA-USA. Non li ho domenticati ma qui volevo parlare di Europa politica ed Europa militare.

 




la botte piena e la moglie ubriaca

Faccio una premessa: non tratterò qui della intera vicenda del torturatore libico (tribunale dell’Aja, gestione da parte di G. Meloni, reticenze, …) mi limito a dire che siamo sotto ricatto (per ragioni di approvvigionamento energetico e per la presenza di uomini a rischio che abbiamo in Libia) e dunque la cosa migliore sarebbe stata mettere il segreto di stato.

Ho ascoltato Nordio e Piantedosi.

Nordio è stato bravo nel motivare giuridicamente le ragioni del suo comportamento. In buona sostanza ci ha detto: non sono un passacarte, per via del mio passato di cose giuridiche me ne intendo, il mandato di arresto nella sua prima formulazione era gravemente carente sul piano formale (errori gravi nella datazione) al punto di essere nullo e per questa ragione non ho potuto esprimere immediatamente al tribunale di Roma la mia richiesta di convalida. Quel che dico è talmente vero che uno dei tre giudici dell’Aja si è dissociato e il tribunale, in un secondo momento, ha corretto gli errori di datazione.

Tutto ok salvo che avrebbe potuto chiedere al tribunale di Roma una dilazione motivata, visto che afferma che se avesse trasmesso le carte al tribunale di Roma esso non avrebbe convalidato la richiesta di arresto per le medesime ragioni. Non lo ha fatto. Qualcosa non ha funzionato nella comunicazione tra ministro e tribunale e tra governo e corte dell’Aja.

E veniamo a Piantedosi, il burocrate di Stato, l’uomo che non rischia e non prende decisioni. Vediamo: il torturatore libico, dice, era un uomo pericoloso e pertanto per ragioni di sicurezza l’ho espulso dopo la revoca del mandato di arresto. Un momento, se è pericoloso, esistono o no esigenze cautelari che ti obbligano a trattenerlo? O che so riportarlo alla frontiera da cui è entrato in Italia?

E’ su queste cose che si è vista la assenza di Giorgia Meloni.

Il resto, le urla, Pinocchio, il gatto e la volpe,  il Coniglio, …, non mi interessa e, se non ho capito male, l’opposizione si è limitata a gridare o ironizzare. Amen.

 




su certe cose sono sgangherati

Ieri sera quando ho visto comparire al telegiornale Giorgia Meloni con il suo foglietto in mano mi sono cadute in un attimo tutte le mie speranze sulle sue capacità di statista.

Sulla questione del torturatore libico il governo si è mosso male e l’ha fatta grossa: non ha avuto il coraggio di dire i nostri interessi in Libia non ci consentono di fare diversamente e così si è imbastita una sceneggiata: a) tocca alla magistratura b) prepariamo l’aereo c) Nordio prende tempo, deve leggere le carte e non interviene d) la magistratura revoca l’arresto perché Nordio non è intervenuto e) Piantedosi (ex burocrate di stato) dice che il tipo è pericoloso e poiché si trova a piede libero bisogna espellerlo f) parte l’aereo e il problema è risolto.

Ma:

  • Un avvocato presenta un esposto alla procura contro presidente del consiglio e ministri coinvolti e la procura manda agli interessati l’avviso di apertura indagini come prevede la legge in vista della eventuale trasmissione degli atti al tribunale dei ministri
  • Meloni: questo avvocato è un amico di Prodi ed è famoso per aver difeso dei mafiosi; il procuratore è lo stesso che ha indagato Salvini – (l’avvocato Li Gotti ha difeso mafiosi ma si è anche occupato di caso Moro e di piazza Fontana – è stato nel MSI, poi con Di Pietro e ora si dichiara vicino al PD )
  • centro destra a più voci: si tratta della vendetta della magistratura contro la riforma del governo
  • ANM: non c’è stata nessuna iniziativa della procura ma un atto dovuto a fronte di una denuncia da parte di un terzo

e vai con i balletti. L’unico risultato sembra essere il fatto che non ci srà la prevista informativa al Parlamento.

Giorgia Meloni si è mossa bene sulla questione Sala-Iran: velocità e spirito di iniziativa; continua a muoversi bene in politica estera vedi Arabia Saudita e USA perché risponde all’immobilismo con azioni a vantaggio dell’Italia.

Ma sulla questione Libia non poteva far molto: il torturatore ha girato mezza Europa in tourneè calcistica; lo hanno identificato in Germania ma il tribunale dell’Aja non aveva ancora emesso il mandato e l’Aja si è mossa quando è arrivato in Italia.

Era un trappolone? Erano i tempi di questi organismi sovranazionali?

Era la scelta, a parte gli interessi ENI, di non pagare il dazio a chi in LIbia fa il gioco sporco aprendo e chiudendo il rubinetto dei barchini e gommoni?

In ogni caso non è stata all’altezza


Ho trovato interessante questo post su FB dell’avvocato Giandomenico Cajazza già presidente delle “Camere penali”

Che quella di non eseguire l’ordine di arresto internazionale contro una persona accusata di spaventosi crimini contro l’umanità sia stata una precisa (e sciagurata) scelta politica del Governo e del Ministro Nordio -invano informato il 19 gennaio dalla Digos e di nuovo il 20 dalla Procura Generale di Roma- è semplicemente indiscutibile. Ma un Governo risponde delle sue scelte politiche al Parlamento ed ai cittadini, non ad una Procura della Repubblica o al Tribunale dei Ministri, solo perché una persona sostiene in un esposto che, con quella decisione, siano stati commessi dei reati. Nessun atto giudiziario, per quanto “dovuto”, può essere compiuto senza una preventiva valutazione di “non infondatezza”. Basta ipocrisie. La storia repubblicana degli ultimi 30 anni è piena di “atti dovuti” con i quali la magistratura ha indebitamente invaso la sovranità della politica.




Le elezioni in Francia

Mai avuto dubbi sul fatto che la decisione di Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale, all’indomani delle elezioni europee, fosse una scelta dovuta. E non solo per la ragione “tattica” che di lì in avanti non gli sarebbe convenuto stare sulla graticola, mentre per i prossimi due anni la Le Pen avrebbe potuto ogni giorno soffiare sulle braci.

La scelta aveva alla base una motivazione democratica sostanziale: se i Francesi avevano consegnato una maggioranza relativa del 34% a Madame Le Pen, conquistata sulla base di proposte molto chiare – abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, ritorno di sovranismo, filo-putinismo… – allora che i Francesi la mettessero alla prova.

Il risultato finale non ha confermato le intenzioni di molti Francesi. L’alta partecipazione al voto non è stata certo favorita dal meccanismo elettorale del doppio turno, che tende ad abbassare la partecipazione al secondo. Semplicemente il lepenismo è minoranza. Marine Le Pen si è consolata, affermando che la sua è una marea che continua a salire inesorabile. Occorre solo ricordare che maree si alzano e poi si abbassano. Dipende dalla “luna” degli… elettori.

Di qui in avanti incomincia di nuovo in Francia la politica quotidiana, molto simile in tutti i Paesi europei, salvo che in Inghilterra: quella della contrattazione delle alleanze. L’auspicio di noi europei è che la deradicalizzazione delle frange estreme, consentita dal meccanismo del doppio turno, porti alla formazione di un governo capace di riconsegnare un ruolo alla Francia nella costruzione dell’Unione europea e nella difesa delle ragioni dell’Ucraina.

A noi Italiani l’asse franco-tedesco non è mai piaciuto moltissimo. Resta tuttavia che, fino ad oggi, questo asse ha tenuto in piedi il discorso europeo, finché noi non sappiamo farlo meglio. Un governo Bardella molto probabilmente lo avrebbe indebolito ancora di più.

Le attese e le paure

Lasciando a Macron le sue pene, quali insegnamenti derivano dalla vicenda francese a noi Italiani per affrontare le nostre?

Per rispondere a tale domanda è necessario fendere la nebbia del dibattito politico-politologico per vedere più in basso e più da vicino che cosa si agita nella società civile europea, al netto delle differenze culturali e politiche di ciascun Paese.

Ciò che si percepisce immediatamente è una frammentazione socio-economica crescente, accompagnata da un’acuta autocoscienza del fenomeno da parte dei soggetti sociali coinvolti. La frammentazione viene spesso descritto con l’uso esclusivo di categorie pauperistiche, soprattutto da chi cerca incessantemente un nuovo soggetto della liberazione umana.

Eppure, c’erano minori diseguaglianze socio-economiche e culturali prima dell’accensione dei processi di globalizzazione? Si stava meglio prima o si stava peggio? La risposta è: c’erano maggiori diseguaglianze, fino alla fame vera e propria, la gente stava peggio e moriva prima.  Oggi si sta meglio.

Solo che uno dei meccanismi attivati dallo sviluppo socio-economico e tecnologico e dal globalismo della comunicazione è stato quello della crescita continua delle attese e delle pretese.

E della conseguente domanda di eguaglianza nella distribuzione dei benefici e della ricchezza. Perché loro sì e noi no? Perché lui sì e io no?  Ecco perché dall’Africa partono i più “ricchi” e non i più poveri. Perché “ci hanno visti”! E le attese si sono trasformate in “diritti di…”.  Così si sono mischiati due fatti: un aumento della velocità oggettiva dello sviluppo ineguale e di nuove opportunità di sviluppo, cui non tutti possono immediatamente accedere allo stesso modo, e un elevamento delle attese e pretese soggettive di tutti. L’espressione ZTL – Zona a Traffico Limitato – è diventata la sintesi simbolica di queste contraddizioni.

Così, per tornare alla Francia, Parigi è rappresentabile come un’unica ZTL rispetto all’intera Francia. Fenomeni analoghi – sotto il dualismo città-periferia, città-campagna, pianura-montagna, pianura-zone interne – sono visibili in Italia.

Le ragioni sociali e psicologiche del sovranismo

L’altro meccanismo – psicologico – che si innesca è quello dell’inquietudine e della paura. Anche se noi, in quanto individui e gruppi in situazione, puntiamo a conservare la tranquilla stabilità del nostro mondo, è esattamente questo mondo che sta velocemente cambiando.

Gli adulti invecchiano, i ragazzi mancano. Quelli nuovi arrivano in barcone, quando ce la fanno, dotati di altre culture, abitudini, religioni diverse e spesso ostili. Le nostre chiese si svuotano, i tetti cadono a pezzi. Stiamo perdendo il controllo del nostro presente e del nostro futuro.

Il sovranismo “bianco” non è un’invenzione della politica, è la reazione socio-culturale alla perdita di sovranità sulla propria vita quotidiana. Ci sono classi sociali e intellettuali che hanno la corrente a favore – e sono una minoranza. Ci sono classi e gruppi e individui che restano indietro – e sfiorano la maggioranza. Se la politica non riesce a far intravedere speranze, nessuna meraviglia che appaiano all’orizzonte venditori di almanacchi e di illusioni, che, in cambio di voti e di potere, annunciano nuovi paradisi terrestri di sovranità nazionale e di pace universale, purché restiamo tranquillamente al caldo delle nostre comunità locali, dentro i nostri confini nazionali e custodiamo le nostre tradizioni.

I periodi di transizione sono più difficili

Perciò tentare di cavarsela solo con l’antica dialettica antifascismo-fascismo non porterà lontano. I periodi di transizione sono storicamente i più difficili da governare, ma anche i più fecondi di novità. La transizione ci riconsegna un nuovo lancio dei dadi, che qualcuno aveva gettato prima di noi.

La transizione: esige la messa al bando di approcci fondamentalisti rispetto a questioni quali la transizione energetica, la crisi climatica, il fenomeno dell’immigrazione, l’avvento dell’Intelligenza artificiale, il disordine geopolitico mondiale… Non è più il tempo degli slogan semplificatori.

Se la politica dà voce solo a chi corre, quelli che restano indietro a chi si affideranno? E poiché “politica” coincide, almeno in Europa, con “democrazia” e “statualità nazionale”, il rischio già evidente è che i settori fuori dalla ZTL si rifugino nell’antipolitica e nell’anti-democrazia.  Ha incominciato ad accadere già dal 2008. È ora di apprendere un’altra lezione.




Le Pen solo terza

Oggi era san Claudio, nessuno mi ha fatto gli auguri, ma quelli più sinceri me li ha fatti il popolo europeo che, da sempre, amo più di ogni altro.

C’era il pericolo che vincesse una estrema destra, molto più estrema, di Fratelli d’Italia e invece la Le Pen arriva terza, vince il fronte popolare, subito tallonato dal partito di Macron e fanno un bel risultato anche i repubblicani ex gollisti.

Ho appena avuto il tempo di esultare ed è comparso in video Melanchon con una dichiarazione abbastanza arrogante: niente accordi, niente consultazioni, niente macroniani, dobbiamo governare noi. Come se questo riusultato molto positivo non fosse figlio del patto di desistenza.

Ho sentito qualche commentatore più informato di me affermare che la sinistra moderata francese aveva già chiarito che l’accordo con Melanchon sarebbe finito a scrutinio effettuato perché la tradizione progressista francese non si fonda su derive estremiste e in quel caso il via alle danze lo avrebbe dato proprio quello che doveva evitare certe sparate.

Da domani si vede. Sembra comunque che stasera Salvini si sia bevuto una cassa di bottiglie di Cynar nella speranza di attenuare gli effetti del travaso di bile.

 

 




elezioni Europa

Il quadro in Europa nel suo complesso evidenzia un leggero spostamento a destra. Il PPE cresce di 8 seggi e va a 184, la socialdemocrazia è stabile con 139, calano i liberali (-23) per le sconfitte in Francia, Spagna e Italia e vanno a 79, perdono i verdi (-19) con 52, crescono i due gruppi di destra (+ 9 e +4) con 73 e 58.

Non dimentichiamo che si è votato in 27 paesi con storie, culture, problematiche diverse che determinano risultati tra loro contradditori (gli scandinavbi sono molto diversi dai polacchi e questi dagli slovacchi).

Dal punto di vista numerico ci sono tutte le condizioni per riconfermare la coalizione Ursula ma ci sono problemi politici grossi che riguardano le ripercussioni interne su Germania e Francia. In puro sile presidenzialista e repubblicano, Macron ha sciolto il Parlamento dicendo ai francesi scegliete il governo che preferite, anche se la costituzione francese mette comunque il presidente in una posizione di forza per i prossimi anni.

La sperata svolta che potesse indurre una spinta in avanti dell’Europa non c’è stata e sarà un avanti piano con Judicio altro che Stati Uniti d’Europa.

Sono contento per il risultato del PD e di quello (opposto) dei 5 Stelle. Il PD tiene e avanza su un messaggio semplice (ma debole) per gli elettori: noi teniamo duro e diciamo questo no, questo no, … La sinistra, con Ilaria Salis, ha fatto il botto (ben per loro e bene per Ilaria). I sondaggi degli ultimi mesi, come al solito, hanno visto in maniera strabica.

Detto ciò due paroline su Italia Viva (3.7 %), che ho votato, e su Azione (3.3%). Mi pare che il progetto, in mano alla coppia più bella del mondo, sia finito in maniera definitiva ed è bene che se ne vadano a casa al più presto. Se le realtà locali saranno in grado di ricostruire un progetto bene; se no, fine della storia. Il centro del centro sinistra ha un bacino potenziale del 10%. Quel bacino è’ stato mandato al macero e mi aspetto qualcosa di simile anche per Firenze con lo spoglio che inizia oggi pomeriggio; Stefania Saccardi appare molto, molto, molto lontana dal ballottaggio.




il bivio dell’Europa

Nella campagna elettorale, ormai agli sgoccioli, per il Parlamento europeo, la più sguaiata di tutte quelle finora svolte e la più drammatica per le condizioni geopolitiche in cui accade, è stato difficile per gli elettori capire quali fossero le posizioni dei partiti rispetto alla questione fondamentale: quale destino per quell’entità storico-culturale e spirituale che è l’Europa? Quale assetto politico-istituzionale necessario per l’Unione europea? I leader di partito – in particolare dei partiti maggiori – si sono cimentati in squallide baruffe pseudo-identitarie.

L’effetto prevedibile? Il disinteresse, la fuga, l’astensione degli elettori. Tanto meglio per i partiti. Se vanno al voto i fidelizzati e gli incerti stanno lontani dalle urne, allora la gara è tra tavole di valori. E le culture politiche e i programmi in cui i valori si incarnano? C’è il rischio che siano troppo “unitivi”.

Tuttavia, in questa nebbia di propagande, confuse e reticenti, occorre riconoscere a due partiti minori – Lega Salvini e Stati Uniti d’Europa (+Europa, Italia viva, Radicali, Psi, Volt, Libdem) – il merito di aver proposto con chiarezza il bivio che la UE e i suoi  elettori devono affrontare: “Più Europa o Meno Europa?”.

Perché “Meno Europa”?

È divenuta egemone, in questi anni, una narrativa, secondo la quale la UE è diventata un Moloch burocratico oppressivo per le sovranità nazionali, uno strumento di prepotenza dei Paesi nordici e – antica versione di sinistra – catena di trasmissione del dominio capitalistico americano.

La UE minaccia i nostri interessi nazionali. Perciò bisogna tornare indietro sulla strada dell’integrazione europea. E per essere coerenti fino in fondo, bisognerebbe uscire dall’Euro. La “sovranità europea” è una bestemmia e se il Presidente Mattarella la pronuncia, Salvini chiede che si dimetta. Questa è l’ultima “salvinaggine” ignorante dei Trattati e dell’art. 11 della Costituzione. NdR. il neutrale correttore automatico di Google propone di sostituire il neologismo con asinaggine!.

Tuttavia, è vero che l’architettura istituzionale europea è sbilenca, che la separazione dei poteri e i loro check and balance sono incerti. Come ha osservato con una battuta G. Amato: Montesquieu non si è mai visto a Bruxelles.

Il fatto è che le istituzioni europee sono il risultato di un lungo bricolage istituzionale, avviato con i Trattati di Roma del 1957, che ha sovrapposto gli organismi, tentando di conciliare le pretese delle sovranità nazionali con il livello sovranazionale. Questa struttura istituzionale barocca non è la causa, ma l’effetto di un assetto politico intergovernativo e confederale, regolato dai Trattati, senza una Costituzione europea, e fondato sul principio di unanimità per le decisioni strategiche. Al punto che l’abolizione del principio di unanimità deve essere decisa all’unanimità. La risultante è la paralisi.

A questo punto, la via più semplice appare essere la rinazionalizzazione delle strutture istituzionali e politiche. Se di fronte alle sfide del momento quali la guerra, l’immigrazione, la concorrenza americana e cinese, il clima, l’Intelligenza Artificiale, il potere “sovrannazionale” europeo è muto e impotente, tanto vale che si torni ai rapporti bilaterali.

C’è anche una seconda narrativa liberale, a-sovranista. Poiché la storia europea è una storia di frammentazione, almeno dalla caduta dell’Impero romano, e di sangue, dalle guerre di religione del ‘500, alla Guerra dei Trent’anni fino alle ultime due guerre mondiali, non esiste un “popolo europeo”. Perciò è impossibile costruire un Stato-nazione europeo. L’unico assetto possibile è quello intergovernativo e confederale. È già molto. Teniamocelo stretto e procediamo prudentemente sulla “Via dei Trattati”, senza europeismi escatologici, applicando il principio di sussidiarietà ogni volta possibile.

Perché “Più Europa”?

Chi propone “Più Europa” muove dal contesto geopolitico attuale. Il ciclo storico della pace in Europa, che datava dal maggio del 1945, è finito bruscamente il 24 febbraio 2022 con l’aggressione russa dell’Ucraina.

E questa guerra ha facilitato il pogrom di Hamas e l’accensione di un focolaio di guerra in Medioriente. La storia europea ha fatto un salto drammatico. Benché le minacce nucleari di Putin servano a spaventare solo i pusilli, a quanto pare con successo, è evidente che stiamo camminando sul crinale sottile e tagliente pace/guerra.

Le singole sovranità nazionali europee sono deboli rispetto alle sfide, ma la sovranità europea non c’è: né sul piano geopolitico e della sicurezza, né su quello economico. Sul piano culturale, il suo capitale cristiano-liberale viene eroso dalla cancel culture, dal wokismo e dal politically correct.

Pertanto i sostenitori di “Più Europa”, disseminati nella società civile e nei vari partiti, pensano che sia necessario un salto quantico dalla UE intergovernativa e confederale alla UE federale, alla quale i singoli Stati sovrani conferiscano poteri sovrani in materia di politica estera, di difesa, di un bilancio – oggi al di sotto del 2% del Pil europeo – di fisco, di sistema bancario, di mercato dei capitali, di concorrenza… Come arrivarci?

La via più realistica è quella di un’Europa a due velocità, con un nucleo di Paesi – Group of friends?  Triangolo di Weimar? Cooperazione rafforzata? –  che incominci a progettare e a praticare un assetto federale. Gli altri o ci arriveranno o cadranno, in nome della difesa della sovranità nazionale, nell’orbita di “potenze straniere”.

Le libertà europee

Queste discussioni non hanno appassionato gli elettori, benché riguardino il loro personale destino, perché la volgare campagna elettorale in corso non ha fatto emergere la posta in gioco del presente: la difesa delle libertà europee.

L’attuale configurazione politico-istituzionale della U.E. non è in grado di garantire la difesa delle libertà – sbocciate dall’humus classico, cristiano, illuministico, liberale e socialista – contro l’imperialismo russo e cinese e contro il fondamentalismo islamico, che punta all’egemonia nel Medioriente e in tutta l’Africa, a Nord e a Sud del Sahara.

Né l’attuale UE è in grado di “domare la potenza che sgorga dalla scienza e dalla tecnica”, come auspicava Romano Guardini in “Europa. Compito e destino”, richiamando al substrato cristiano dell’Europa.

Né di imbrigliare le potenze della  globalizzazione. Essa sta erodendo e fratturando gli Stati-nazione e le loro basi socio-culturali: una parte di società civile è sempre più attratta dal magnete globale, costituito da idee, consumi, stili di vita, social-media, mentre un’altra parte si è serrata a difesa di ciò che sono o si pretende che siano le tradizioni nazionali. La Nazione e le identità individuali e collettive, esaltate da Johann Gottfried Herder nel ‘700, tornano a separarsi, dopo 500 anni. Serve pertanto uno nuovo schema politico-istituzionale.

 




Ilaria Salis + o –

Ilaria sorridente e non ammanettata

Ieri si è tenuta la prima udienza di merito del processo a Ilaria Salis e l’abbiamo vista arrivare in taxi accompagnata dai genitori, finalmente senza manette e catene.

Ho cercato di documentarmi sul processo,  ma l’unica cosa che sembrava fare notizia era la protesta del padre circa il fatto che il tribunale ha reso pubblico il suo domicilio.

Astrattamente si potrebbe pensare ad un rischio di pericolosità (indirizzo già presente sui social della estrema destra ungherese) ma se come pare, Ilaria arriva in Taxi e non ha particolari protezioni da parte delle autorità, a qualunque mal o ben intenzionato bastava una mezza giornata di ricerca per capire da dove arrivava. Mi pare dunque che questo sia un elemento da far decadere. Ormai si sa e da oggi i giornalisti inizieranno a presidiare la zona.

In aula sono stati sentiti due testimoni e una delle vittime e nessuno di loro ha riconosciuto Ilaria; riconoscimento difficile visto che la aggressione sarebbe avvenuta a viso coperto e alle spalle e dunque gli elementi a favore o sfavore di Ilaria andrebbero cercati in elementi di dettaglio corporeo.

Prossima udienza a settembre e, per quanto ho capito, l’accusa cercherà di seguire la linea del processo indiziario; per questa ragione sarà importante da parte della difesa procedere a contro-interrogatori accurati e presentare prove del tipo “a quell’ora e quel giorno Ilaria stava in quest’altro posto e dunque non poteva essere parte del commando di pestatori“.

In assenza di dati descrittivi più dettagliati ho visto il video con la lunga dichiarazione di uno dei suoi due avvocati italiani e in essa ci sono degli elementi convincenti e altri che lo sono meno.

costituzione fuori termine

Zoltan Toth, l’aggredito sentito oggi non era previsto in questa udienza perché a gennaio, quando è scaduto il termine per farlo, non si era costituito e oggi la corte ha deciso di accoglierne la richiesta fuori termine. Lo stesso Zoltan ha presentato un referto per tre costole rotte redatto tre mesi dopo la aggressione mentre a caldo, l’ospedale di Budapest non aveva riscontrato nulla. Sembra di capire che l’aggredito ci marci, visto che contemporaneamente ha presentato, sempre fuori termine, una cospicua richiesta di risarcimento. Al giudice monocratico, che più che un giudice terzo sembra un PM tutto ciò va bene perché serve ad avvalorare la imputazione di lesioni che, potenzialmente, avrebbero potuto condurre a morte.

Come sanno tutti, il rispetto delle procedure in un processo, è la base della civiltà giuridica.

atti in ungherese

Gli atti continuano ad essere disponibili solo in ungherese; la corte dichiara che non ci sarebbe alcun problema perché in udienza Ilaria dispone di un interprete. Ma il rito ungherese è di tipo inquisitorio e non accusatorio. E’ l’accusato a dover dimostrare la sua innocenza e non il contrario e dunque le carte sono importanti, molto importanti, perché vanno eventualmente contestate, bisogna impedire che siano a disposizione del solo giudice e non delle parti creando uno squilibrio palese, bisogna poterle usare durante la testimonianza di vittime e testimoni. Attualmente tutto ciò lo fa il giudice che ha anche il potere di emettere ordinanze inappellabili.

la linea difensiva del rinvio

L’avvocato protesta ma, contemporaneamente, fa una dichiarazione che mi ha lasciato allibito: abbiamo incaricato della traduzione una società specializzata di Milano e le traduzioni saranno disponibili solo a novembre. Su questa baseaveva richiesto il rinvio a novembre del dibattimento. Ora io mi rendo conto che nel regno del bollo tondo bisogna mettere a posto tutti i bolli, ma non credo che ci voglia più di una settimana per tirar fuori quello che conta ai fini processuali, tradurlo e prepararsi al controinterrogatorio; a settembre mancherà qualche timbro e qualche atto inessenziale ma la difesa si dovrebbe poter fare senza grandi problemi.

Ho avuto difficoltà a raccogliere notizie. Lo ha fatto solo il Manifesto. Mi chiedo se i quotidiani italiani abbiano inviato a Budapest dei cronisti giudiziari o degli esperti di cronaca rosa: le manette, la diffusione dell’indirizzo e le proteste del padre. Sul merito del processo nulla.

Io sono dalla parte di Ilaria, del suo diritto ad un processo giusto e rapido, ma non sono per la linea  del fare di ogni erba un fascio. I fasci li lascerei ai fasci e alle demokrature. Se ci saranno novità significative aggiornerò questo articolo.




la bandiera europea non è un elastico

bandieraufficiale

Il ministro degli esteri Tajani ha giustamente polemizzato con le dichiarazioni di Borghi che si presenta alle europee e contemporaneamente propone di eliminare la esposizione della bandiera europea a fianco di quella italiana.

La motivazione, però, mi ha fatto però sobbalzare e la riporto integralmente:

Quella bandiera rappresenta la nostra identità e le nostre radici cristiane. Le dodici stelle non sono gli Stati, sono le dodici stelle che cingono il capo della Vergine, rappresentano le dodici tribù di Israele, e la bandiera è azzurra perché il manto della Vergine è azzurro. Quella bandiera indica chiaramente quali sono le nostre radici. Per quello va rispettata. Su questo credo debba esserci rispetto e cercare di capire bene chi siamo, perché più sappiamo chi siamo più siamo forti“.

Mi sono detto, non ci avevo mai pensato, e sono andato a documentarmi anche perché la storia delle stelle che cingono il capo della vergine mi sembrava grossa. Potete documentarvi qui perché il processo decisionale è stato lungo e le proposte, incluso il numero delle stelle, sono state molte.

Al di là del lungo iter procedurale Il 25 ottobre del 1955 l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, considerate opinioni e riserve espresse, favorì il disegno di Heitz, ma scelse di apporre dodici stelle sul drappo blu e raccomandò che i rappresentanti dei governi l’adottassero, cosa che i 14 Stati allora membri (Belgio, Danimarca, Francia, Germania fed., Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Turchia) fecero l’8 dicembre 1955 con il seguente testo:

«Sullo sfondo blu del cielo del Mondo occidentale, le stelle rappresentano i popoli dell’Europa in un cerchio, simbolo di unità… proprio come i dodici segni dello zodiaco rappresentano l’intero universo, le dodici stelle d’oro rappresentano tutti i popoli d’Europa – compresi quelli che non possono ancora partecipare alla costruzione dell’Europa nell’unità e nella pace.»

Non ci sono le 12 tribù di Israele, non c’è la Madonna ma in compenso c’è il numero 12 che dalla civiltà assiro-babilonese in poi è stato considerato il numero piccolo pù semplice perchè è divisibile oltre che per 1 e per 12, anche per 2, 3, 4, 6. Per la stessa ragione sono 12 i mesi dell’anno, inizialmente pensato di 360 giorni (altro numero crucuiale per la divisione) che viene scelto come misura dell’angolo giro in ° e questi a loro volta hanno dei sottomiuultipli in sessantesimi. E’ probabile che le tribù di Israele siano state 12 per la stessa ragione per cui il 12 è un numero speciale.

Come vedete la Madonna non c’entra e semmai i culti si cristiani sono adeguati ad una prassi più antica. Trecentosessanta è divisibile per 2,3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 15, … in un mondo in cui non si conoscevano i numeri decimali.

Il sito ufficiale della UE precisa che “Le 12 stelle in cerchio simboleggiano gli ideali di unità, solidarietà e armonia tra i popoli d’Europa.“. OK

E questa immagine che sintetizza viene direttamente da Bruxelles e Strasburgo.

bandiera europea